Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2024
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma storico La Tosca di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca CARMEN GIANNATTASIO
Mario Cavaradossi ROBERTO ARONICA
Il barone Scarpia GABRIELE VIVIANI
Cesare Angelotti CHRISTIAN BARONE
Il Sagrestano PAOLO MARIA ORECCHIA
Spoletta PAOLO ANTOGNETTI
Sciarrone NICOLÒ CERIANI
Carceriere CHRISTIAN BARONE
Un pastorello CAMILLA BARAVELLI SABENA
Orchestra, Coro e Coro delle Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Direttrice Oksana Lyniv
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Maestro del Coro delle Voci Bianche Alhambra Superchi
Regia Giovanni Scandella
Scene Manuela Gasperoni
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Daniele Naldi
Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 26 aprile 2024
Francamente rinunciabile questa Tosca. Soprattutto quand’è, com’è, la terza in tre anni, a Bologna. Aggravante: delle tre sorelle, le ultime due sono siamesi, l’allestimento essendo il medesimo, regia di Giovanni Scandella. Figlio d’arte (e quale! Il padre Mischa, venezianissimo a dispetto del nome, di battaglia prima e d’arte poi, è stato fra gli ingegni massimi del nostro Novecento), qui abdica ad ogni ambizione per adempiere all’ingrato compito di cuciniere cui è stato chiamato. L’immagine culinaria ce la suggerisce lui nell’intervista ad Andrea Maioli pubblicata nel programma di sala: “Ma se Napoleone avesse perso quella battaglia, esisterebbe comunque il Pollo alla Marengo?”. Chissà. Frattanto, però, a Marengo rischia di andarci l’opera. Gli ingredienti vengono freschi freschi dalla vecchia dispensa del Comunale: la scena, ordinatamente organizzata da Manuela Gasperoni, è un collage frutto di un disperatissimo saccheggio dal sovraccarico allestimento di Hugo De Ana. Più ricercati sono i costumi storici di Stefania Scaraggi, ma si badi bene: Tosca indossa non un rosso abito classico, ma il classico abito rosso, e qui la permutazione degli aggettivi fa una bella differenza. C’è tutto quello che la cosiddetta tradizione prescrive, soprattutto il consueto attrezzistico “accozzagliume”: lunghi pennelli, secchi di vernice schizzati dei colori più improbabili, paniere farcito, gran “candelabroni”, caravaggesca coppa di frutta, frangibile calice specifico per vin di Spagna, coltellaccio retrattile in bella vista e baionette. Insomma, una regia che rima con attrezzeria dimostra empiricamente quanto breve sia il passo fra gusto dell’orrido e del grottesco (che è proprio di Tosca/Fosca) e il ridicolo. Irresistibili poi le caricature di Spoletta e Sciarrone, e vagamente imbarazzante la gambetta molle del barcollante plotone d’esecuzione: sembreranno sciocchezze, ma lo spettacolo d’opera di queste cose è fatto, e non di altre. Se poi si va a cercare il dritto della medaglia nell’esecuzione musicale si resta delusi. Oksana Lyniv (come si è già tentato di insinuare in altre occasioni) ti rovescia addosso un gran “valangone” di sonorità, sì, ma a fascino zero. Il gesto è molto schematico, con attacchi inspiegabilmente lanciati da dietro la schiena, e prosaico, con una sinistra dalle dita incollate che fende l’aria come una paletta senza espressione. Altro che umidità svogliata dell’alba teverina: qui di poesia non c’è l’ombra, perché il “poema” è tutto schiacciato dal “sinfonico”. Le povere voci ricevono ben poche attenzioni, fra una buca esuberante e un complesso musicale di palcoscenico fracassone quant’altri mai. Le povere voci sono quelle del solito Roberto Aronica, che si trascina le solite difficoltà nell’emissione, purtroppo non confortate neanche dal fraseggio piuttosto generico, che inficiano l’originaria qualità del timbro. Quella della protagonista Carmen Giannattasio: voluminosa, ben timbrata nei centri e dai buoni esiti anche con risonanza di petto, ma gravemente insicura nel registro acuto. E quella dell’inevitabilmente più interprete, più attore, più interessante per varietà d’accenti e sfumature espressive: lo Scarpia di Gabriele Viviani, maestro anche di trucchi ed escamotages tecnico vocali confinanti con la gigioneria. Paolo Maria Orecchia è un Sagrestano di misurato temperamento e di specchiata dizione. Nelle parti di fianco, Spoletta viene smacchiato di ogni alone di ilarità dalla solida sonorità di Paolo Antognetti, impresa che riesce meno a Nicolò Ceriani col suo Sciarrone pur vocalmente in forma; mentre è discontinua e malferma la prova di Christian Barone, diviso fra Angelotti e il Carceriere. Davanti al foglio bianco, Mario non sa da dove cominciare il suo addio a Tosca. E Puccini con lui: tenta alcuni temi di reminiscenza dal duetto del prim’atto, ma non va. Finché non lo soccorre il clarinetto. Allora anche la canuta messa in piega sobbalza, con dindinindare di orecchini gravanti i cedevoli lobi: “Eccola! Eccola!”. Ma ben altro più che questo può e deve essere il teatro musicale. Foto Andrea Ranzi