Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore e pianoforte Myung-Whun Chung
Violino Roberto Baraldi
Violoncello Emanuele Silvestri
Ludwig Van Beethoven: Concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra in do maggiore op. 56; Johannes Brahms: Sinfonia n. 4 in mi minore op. 98
Venezia, 22 marzo 2024
Due giganti della musica si confrontavano nel recente concerto – svoltosi al Teatro Malibran, nell’ambito della Stagione Sinfonica 2023-2024 della Fondazione Teatro La Fenice –, che vedeva il ritorno sul podio di uno dei beniamini del pubblico veneziano, il Maestro Myung-Whun Chung nella doppia veste di solista e direttore. Un confronto particolarmente intrigante, che ha messo in evidenza quanto sia riduttivo considerare Beethoven l’antesignano del romanticismo e dell’individualismo e Brahms il paladino del classicismo, in antitesi rispetto ai “moderni” Liszt e Wagner.
Tutt’altro che romantico, infatti, è il Beethoven del Triplo Concerto, una partitura ancora volta al passato sia perché nata su commissione sia perché concepita per più solisti, analogamente al Concerto Grosso, e dunque senza la contrapposizione fra strumento solista e orchestra, tipica del romanticismo. Nonostante i suoi primi abbozzi siano annotati sullo stesso quaderno dove andavano prendendo forma l’Eroica e il Fidelio, questo ampio lavoro del 1804 è ancora immerso nel mondo luminoso e sereno della musica del Settecento. Scritto per esaudire il desiderio di un esponente dell’aristocrazia – il fratello dell’imperatore Francesco II: l’arciduca Rodolfo d’Asburgo-Lorena, appassionato di musica, nonché allievo dello stesso Beethoven – la parte del pianoforte è adeguata alle limitate possibilità del nobile rampollo. Così la parte pianistica è piuttosto semplice, ma nel contempo brillante, per non penalizzare l’esecutore rispetto agli altri due solisti. Proprio il carattere “leggero” del lavoro non rimanda al cliché del Beethoven titanico, dai toni contrastanti. Un pianismo diffusamente nitido e brillante, scattante ed espressivo è stato offerto da Myung-Whun Chung, che ha dialogato – dimostrando un’accattivante autorevolezza – con Roberto Baraldi al violino ed Emanuele Silvestri al violoncello, i quali hanno affrontato con musicalità e padronanza tecnica le loro parti più virtuosistiche, dalla tessitura piuttosto acuta. Nell’Allegro iniziale – dove i due temi principali, accompagnati da numerosi temi secondari, sono piuttosto affini a livello ritmico e melodico, a stemperare la dialettica della forma sonata – i solisti si sono scambiati il materiale melodico in un raffinato edonismo. Nel Largo – una parentesi contemplativa di estrema brevità fra i massicci blocchi dei tempi estremi – si sono imposti i due strumenti ad arco, sostenuti dagli arpeggi del pianoforte. Senza soluzione di continuità è seguito il Finale, un Rondò alla polacca, che ha introdotto una nota di colore, con un refrain incisivo e elegante, che si è alternato ad episodi diversificati, trasformando umoristicamente il proprio metro da 3/4 a 2/4, subito prima della Coda. Applausi finali da parte di un pubblico divertito e riconoscente. Un fuoriprogramma: l’Andante con moto tranquillo, dal Trio in re minore op. 49 di Felix Mendelssohn.
Venendo a Brahms, il grande amburghese era rappresentato dalla sua ultima sinfonia: un capolavoro in cui un mirabile costruttivismo, mutuato dai classici, non esclude, anzi finisce per accentuare le istanze del sentimento. In altre parole, la struttura formale, pur diffusamente riconoscibile, sembra talora travolta dall’urgenza della più intensa espressività. Assolutamente magistrale la lettura proposta dal maestro coreano – con cui l’orchestra fenicea ha ormai un rapporto simbiotico –, che ha saputo portare alla luce il grande pathos racchiuso in questa sublime partitura, pur valorizzandone la ricordata perizia costruttiva. Il suo gesto ampio ed icastico ha ottenuto dagli strumentisti – in gran forma – una preziosa qualità del suono, nel corso di un’esecuzione intensamente espressiva, caratterizzata da cambi improvvisi dei livelli sonori, inaspettati scarti nel ritmo dal sapore zigano-ungherese, oltre che da una veste armonica sempre cangiante. Struggente l’iniziale Allegro non troppo, che è esordito con una suggestiva cellula tematica, ai violini, carica di inquietudine – costituita da coppie di note, che variano in base a uno schema predefinito – e si è arricchito, nel prosieguo, di altri spunti tematici, che andavano dall’eroico al lirico, fino al titanico finale, dove il primo tema ha assunto un carattere maestoso, culminando sulle tessiture altissime dei violini, fino alla perentoria, percussiva cadenza conclusiva. Un’atmosfera sognante ha avvolto inizialmente il secondo movimento, Andante moderato, con lo scarno motivo magnificamente intonato dai corni, cui seguivano un primo tema – esposto dal clarinetto e ravvisabile, in un momento successivo, nell’appassionata melodia degli archi – e poi un secondo tema, un canto dolcissimo dei violoncelli, contrappuntato dai violini. Grande energia ha sprigionato l’Allegro giocoso, assimilabile a uno Scherzo, percorso da una spensierata gioia di vivere, con l’intermezzo di uno squarcio bucolico dominato dai corni. Il magistero compositivo di Brahms si è imposto nella grande costruzione contrappuntistica dell’Allegro energico e passionato, con cui si è conclusa la sinfonia e con essa la produzione sinfonica del sommo maestro: un esempio mirabile di quella tecnica brahmsiana – che rimanda all’antica forma strumentale della ciaccona, assai praticata in età barocca –, in base alla quale il tema viene presentato dalle voci più acute di una serie di accordi dei fiati e poi più volte variato, così da riproporlo con tratti sempre diversi, in un continuo divenire del materiale musicale, che riscatta la schematicità della forma con la libertà dell’invenzione. Pubblico entusiasta e grandi applausi per il direttore e l’orchestra nelle sue diverse sezioni.