Venezia, Teatro La Fenice: Rudolf Buchbinder in concerto

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore e pianoforte Rudolf Buchbinder
Ludwig van Beethoven: Concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in do minore op. 37; Concerto per pianoforte e orchestra n. 5 in mi bemolle maggiore op. 73 “Imperatore”
Venezia, 7 marzo 2024
Lo spirito della più insigne tradizione musicale viennese pareva aleggiare fra gli ori e i decori della Sala del Selva, nel corso del settimo concerto della Stagione Sinfonica 2023-2024 del Teatro La Fenice: ad evocarlo era un grande musicista, che ha saputo raccogliere e rinnovare quel prezioso retaggio. Ci riferiamo al pianista Rudolf Buchbinder – cèco per nascita, ma viennese per formazione: ammesso eccezionalmente a soli cinque anni alla Musikhochschule della capitale austriaca – uno dei massimi interpreti del repertorio beethoveniano, l’unico, tra l’altro, cui sia stato concesso di suonare presso il Wiener Musikverein, nel corso di un’apposita rassegna, tutti i cinque concerti per pianoforte di Beethoven, rispetto ai quali è verosimilmente l’interprete di riferimento. Nessuno meglio di lui poteva interpretare i titoli in programma per questo concerto, nella duplice veste di solista e direttore. Hanno davvero impressionato la “facilità”, la padronanza tecnica, l’adeguatezza stilistica, con cui Buchbinder ha affrontato due tra i concerti per pianoforte più riusciti e complessi del genio di Bonn, caratterizzati da un rapporto equilibrato tra l’orchestra e il pianoforte, che acquisisce una dimensione “sinfonica”, un’imponenza e una massa di suono, assenti dai concerti classici, mentre potenzia la propria espressività – aldilà del fattore virtuosistico – anche grazie all’uso del pedale.
Un suono di cristallina trasparenza, ma anche improntato a un beethoveniano vigore, ha caratterizzato l’esecuzione, precisa e misurata, del Concerto per pianoforte e orchestra n.3 in do minore – composto fondamentalmente tra il 1800 e il1803 –, che segna la conclusione del concerto classico e contemporaneamente apre a nuove esperienze. In essa il virtuosismo trascendentale del solista, nel affrontare trilli, abbellimenti e agilità, si integrava perfettamente all’impeto drammatico o all’espansione lirica di certi passaggi, in un proficuo rapporto dialettico con la compagine orchestrale, sempre assolutamente in sintonia. In particolare, nel primo movimento, al carattere “militare”, attestato dal tema iniziale, si univa un afflato drammatico, cui contribuivano il tono contrastante dei due temi principali – vigoroso il primo, cantabile il secondo –, l’avvicendarsi di timbri diversi, l’uso espressivo dei silenzi nell’esposizione, in doppie ottave, del primo tema. Dopo la cadenza, con il dialogo sommesso tra pianoforte e timpani, il movimento è culminato nella coda, apertasi in un clima di instabilità tonale. Introdotto da un assolo del pianoforte, il movimento centrale – un tenero Largo – ha visto il solista abbandonarsi a lunghi passaggi cantabili in doppie terze, mentre nella parte centrale, ha accompagnato l’orchestra, creando un morbido tappeto sonoro, sul quale si stagliavano gli assolo di flauto e fagotto. Nel movimento finale – un Rondò percorso da un giocoso refrain, che si alterna ad episodi dai caratteri contrastanti – il solista ha convertito la pienezza di suono, diffusamente esibita in precedenza, in brillantezza tecnica, fino al quando, interrompendosi l’orchestra, il pianoforte ha attaccato una piccola concitata cadenza interamente scritta, in do maggiore, a concludere in modo brioso la propria performance. Analogamente straordinaria è apparsa l’esecuzione del Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore – anch’esso legato al genere della “battaglia”, fiorentissimo tra il 1780 e il 1815 –, cui Beethoven lavorò tra 1808 e il 1810, dando un contributo fondamentale all’evoluzione della scrittura pianistica. Se rimane incerta l’origine del titolo di “Imperatore” – anche se probabilmente allude a Napoleone –, si trovano, annotate sugli schizzi del primo movimento, alcune esplicite espressioni “bellicose”, che potrebbero essere in relazione con il risveglio del nazionalismo tedesco – promosso da Fichte –, cui si assiste dopo il bombardamento e l’occupazione di Vienna, durante la guerra austro-francese del 1809. Anche nel corso di questa esecuzione il solista ha brillato dalla prima all’ultima battuta. Nel primo movimento, Allegro, si è messo subito in rilievo, insieme all’orchestra, con una serie di accordi, a cui seguivano i suoi eleganti interventi virtuosistici. Si è imposta poi l’orchestra, esponendo il trionfale primo tema, affidato ai violini primi, al quale si è contrapposto il secondo tema, dal procedere saltellante – complice lo staccato dagli archi –, per diventare in seguito più sensuale grazie al legato dei corni. Più oltre il pianoforte si è prodotto in straordinarie variazioni sul primo tema, mentre il secondo tema si è ripresentato in una tonalità lontana. Dopo lo sviluppo – con i temi rielaborati dall’orchestra e variati dal pianoforte – il solista, in assenza della cadenza conclusiva del movimento, ha nobilmente dialogato con gli altri strumenti in una situazione di parità. Un’aura solenne, venata di religiosità, ha pervaso il secondo movimento, Adagio un poco mosso, fin dall’iniziale tema di corale, affidato agli archi. Dopodiché ha fatto il suo “sorprendente” ingresso il pianoforte, intonando uno struggente tema in terzine, prima di anticipare, successivamente alla ripresa, il tema iniziale del movimento successivo. In quest’ultimo, Allegro – dove la forma del Rondò convive con quella del tema con variazioni – lo stupendo refrain, scintillante e gioioso, veniva reiterato con accenti delicati dal pianoforte, cui rispondeva imperiosa l’orchestra, in un dialogo, che è divenuto dopo la ripresa sempre più stretto, fino alla stringata coda, che ha chiuso in modo trascinante il concerto. E il pubblico si è lasciato davvero trascinare, salutando poi con lungo fragore d’applausi ed entusiastiche ovazioni il maestro Buchbinder e l’orchestra.