Venezia, Teatro La Fenice: Ivor Bolton interpreta Cherubini, Haydn e Mozart

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Ivor Bolton
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Valentina Farcas
Mezzosoprano Cecilia Molinari
Tenore Mauro Peter
Basso Milan Siljanov
Luigi Cherubini:”Lodoïska”: ouverture; Franz Joseph Haydn: Sinfonia n. 95 in do minore Hob.I:95; Wolfgang Amadeus Mozart: Requiem in re minore per soli, coro e orchestra KV 626
Venezia, 1 marzo 2024
Ivor Bolton – uno dei più illustri direttori nel campo del repertorio barocco e classico – ha guidato l’Orchestra e del Coro del Teatro La Fenice in un concerto dove si confrontavano Cherubini, Haydn e Mozart. Di Luigi Cherubini oggi sopravvivono solo pochi titoli: Medée e qualche composizione sacra, oltre all’ouverture di Lodoïska, che apriva la serata. Nato a Firenze nel 1760, questo musicista ha un posto rilevante in Europa tra fine Settecento e inizio Ottocento. Dopo gli anni di formazione si trasferisce, pressoché venticinquenne, a Londra e quindi, dal 1786, in Francia, dove collabora con Giovambattista Viotti, celere violinista, nonché impresario di una compagnia teatrale. Il 18 luglio del ’91 si svolse nella Salle de la Rue de Feydeau – dove si esibivano gli artisti di Viotti – la prima della comédie héroïque Lodoïska di Cherubini: “opéra à sauvetage” come il Fidelio di Beethoven, grande ammiratore di Cherubini. Assai suggestiva è stata la lettura proposta da Bolton di questa ouverture – che nobilmente preannuncia il clima della vicenda – facendone pienamente emergere la dimensione “sinfonica”, grazie a un’intensità espressiva, che derivava in particolare dall’impiego di un’ampia gamma dinamica e agogica. Lo si è colto nell’Adagio, solo all’apparenza rasserenante, che in effetti anticipa la tensione a venire, annunciato da un doppio richiamo dei corni, cui fanno eco i legni; nell’Allegro vivace dallo slancio quasi beethoveniano; nel breve movimento conclusivo in tempo Moderato, aperto dal rasserenante tema del clarinetto solo, ripreso dagli altri legni. Haydn era rappresentato dalla la Sinfonia in do minore n. 95. Nel 1790 il sessantenne Haydn, messo a riposo dagli Esterházy, accetta l’offerta, proveniente da Londra, di comporre nuove sinfonie per l’orchestra di Salomon. Nasce così una serie di partiture, dalla scrittura pienamente sinfonica in senso moderno, tra cui questa. Datata 1791, essa presenta – come altre sinfonie “londinesi” – numerosi passaggi solistici, mentre per altre caratteristiche – il modo minore e la mancanza di un’introduzione lenta – rappresenta un “unicum”. Ricca di contrasti e sfumature è risultata l’interpretazione del maestro inglese, coadiuvato da un’orchestra di “solisti”. Dopo l’Allegro moderato – aperto da un inciso in fortissimo di cinque note all’unisono in do minore, di perentorietà beethoveniana, cui contrastava il secondo tema in do maggiore, più vivace e rasserenante –, l’Andante ha visto imporsi il violoncello e i violini, impegnati nelle variazioni, caratterizzate dal contrasto do minore/do maggiore, sul semplice tema d’apertura. Il violoncello era protagonista assoluto nel Trio, all’interno del classico Minuetto, aperto da una danza paesana. Nel breve finale, Vivace, si è apprezzato il raffinato gioco contrappuntistico, che fa pensare alla Jupiter di Mozart: ci riferiamo all’ampio e gioioso primo tema in do maggiore, elaborato in una breve fuga, e al secondo tema, trattato con altrettanto virtuosismo polifonico, prima della concisa conclusione con il ritorno del tema iniziale. Terzo titolo in programma: il Requiem di Mozart, che risale al 1791, l’anno della morte del Salisburghese. Nell’estate egli riceve la visita di un oscuro personaggio, che gli commissiona una messa funebre. Mozart accetta e richiede un compenso di 50 ducati. Alcuni giorni dopo, l’inquietante messaggero si ripresenta con la somma richiesta, promettendo altrettanto denaro a lavoro ultimato, a patto che non si indaghi sull’identità del committente. Al ritorno da Praga – dove aveva curato la rappresentazione della Clemenza di Tito – Mozart si dedica subito al Requiem, ma ben presto, a causa delle sue condizioni di salute, è costretto a interrompere la composizione, chiedendo all’allievo Süssmayr di proseguire in sua vece. Il 4 dicembre tenta di riprendere a scrivere, ma il giorno seguente muore. Chiarito l’enigma della commissione del Requiem – il messaggero vestito di grigio era l’economo del conte Welsegg che voleva dedicare un Requiem alla memoria della moglie defunta – la vedova Constanze affidò il completamento dell’autografo – in cui solo le prime due sezioni erano completamente di Mozart – a musicisti legati all’entourage del marito: principalmente a Süssmayr. Variegata negli accenti, attenta alle ragioni del canto e alle istanze formali era la lettura di Bolton, egregiamente supportato dall’Orchestra, dal Coro e dal quartetto vocale. Un’assoluta chiarezza nel fraseggio, un’espressività di forte impatto emotivo, ma senza affettazione, una perfetta coordinazione tra le voci e l’orchestra hanno dominato in questa esecuzione, in cui l’agogica era diffusamente alquanto spedita. Nell’Introitus, dall’atmosfera lugubre, il tema del Requiem, esposto dai corni di bassetto e dai fagotti, si stagliava su un accompagnamento sincopato degli archi; più oltre ha incantato l’intervento del soprano, alle parole “Te decet hymnus”.
Il coro ha brillato nel
Kyrie, una doppia fuga con due soggetti rielaborati in modo geniale, e nel drammatico Dies irae. Nel Tuba mirum il trombone ha dialogato suggestivamente con il basso, prima del lieve concertare delle voci soliste e del celestiale intervento del soprano verso la fine, mentre nel Rex tremendae risultava particolarmente efficace l’alternanza (e la sovrapposizione) dei ritmi puntati degli archi e della massa corale. Nei tre brani successivi – Recordare, nuovamente affidato ai solisti; Confutatis, con la contrapposizione tra coro maschile e femminile; Lacrymosa, dove il coro ha reso l’incanto sofferto di questa pagina – la preghiera si è fatta sempre più fervente. L’esecuzione è proseguita in modo encomiabile fino al conclusivo Lux aeterna, che riprende la musica dell’Introitus.
Caloroso successo per tutti.