Torino, Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto: MusicAeterna & Teodor Currentzis interpretano Mozart

Torino, Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto
MusicAeterna
Direttore Teodor Currentzis
Fortepiano Olga Pashchenko
Soprano Elizaveta Sveshnikova
Controtenore Andrey Nemzer
Tenore Egor Semenkov
Basso Alexey Tikhomirov
Wolfgang Amadeus Mozart: Concerto per fortepiano e orchestra n.24 in do minore kv.491; Requiem in re minore per soli coro e orchestra kv.626.
Torino, 16 marzo 2024
La cinquantina di musicisti e la quarantina di coristi di musicAeterna, nelle mani del loro demiurgo Teodor Currentzis, sono una falange artistica che a definire semplicemente formidabile le si fa torto. Diversamente da altre occasioni, dopo avere diffuso la moda del suonare in piedi, in questa nuova circostanza, al Lingotto, suonano comodamente seduti. Anche l’organico strumentale ha subito interventi vistosi con l’introduzione di ottoni, corni, trombe e tromboni rigorosamente raddoppiati ma alla barocca, naturali senza pistoni. I legni sono ovviamente di legno e di foggia settecentesca, come i timpani smilzi e sonorissimi e i violoncelli sono trattenuti tra le ginocchia, come viole da gamba. Nel centro della compagine è steso un monumentale fortepiano che, diversamente da quanto affermato dalla solista, la validissima Olga Pashchencko, non è uno strumento utilizzato da Mozart ma una copia di un Paul McNully del 1792. Il mozartiano Concerto n.24 in do minore kv 491,che apre la serata, si rivela essere una prima delusione perché, in una sala così grande e molto affollata, il flebile suono del fortepiano si perde. L’orchestra, seppur “alla barocca”, attacca con un forte risoluto, di piglio assolutamente veemente e sonoro, come si trattasse di un pezzo beethoveniano; in questo rigoglio di suono, il timido tintinnio dei martelletti dello strumento antico si perde. È questo uno dei famosissimi ultimi concerti “per pianoforte” di Mozart e da troppi anni siamo abituati ad ascoltarlo dalle mani dei più grandi della tastiera, con dosaggi calibrati di suono e di sfumature che qui non esistono. La sola meccanicità visiva delle mani sulla tastiera è inefficace a vincere le barriere orchestrali e a imporsi come protagonista e anche le cadenze solistiche si risolvono in un timido mulinare di scale dal fraseggiare indistinto. La responsabilità della delusione non va imputata alla solista, ma alle scelte complessive di organizzatore, orchestratore di  Currentzis che si sono rivelati inefficaci ed inadatti al contesto e all’ambiente. Pareva di cogliere la presenza di diffusori acustici, posti sotto al corpo del fortepiano, ma, se presenti, in sala non se ne son colti gli effetti. Probabilmente la medesima esecuzione, in ambiente dalle dimensioni più contenute o in sala di registrazione, avrebbe certamente potuto rivelare maggiore preziosità di ricerca e più autenticità di approccio. A riscatto delle doti di Olga Pashchencko, inequivocabilmente penalizzate, lei stessa annuncia due fuori programma volti ad esaltane la consistenza. Dello sconosciuto Dmitry Bortnyansky (1751-1825) il Concerto per clavicembalo ed archi in un unico movimento, e di Beethoven Il Rondò all’ungherese (Collera per il soldino perduto) op 129. Entrambi sono stati eseguiti, con grande destrezza ed abilità, dalla Pashchenko, così da farle meritare l’ovazione che il generoso ed abbondante pubblico del Lingotto le ha tributato.
La seconda parte della serata è tutta spesa ad inscenare il
Requiem kv.626, estrema e non-finita composizione mozartiana. Qui la rappresentazione esasperatamente drammatica che Currentzis mette in atto prevale su qualsiasi istanza di fedeltà alla lettera e allo spirito dell’opera. Siamo ben oltre alla drammaticità dei Don Giovanni di Furtwängler, di Klemperer e di Mitropoulos, anche se a quest’ultimo, forse per la comune origine greca, Currentzis parrebbe essersi volto. La rappresentazione che suona effettivamente contradditoria rispetto agli strumenti barocchi dell’orchestra, si avvia con i tempi larghissimi imposti all’attacco che sublimi oboi e corni di bassetto fanno della Musica funebre massonica kv 477/479 a, forzatamente imposta, come il successivo Requiem gregoriano, a mo’ di pronao del lavoro mozartiano. La sala viene precipitata in un buio assoluto, mentre una parte del coro maschile intona il mestissimo e suggestivo Graduale gregoriano. Si riaccendono progressivamente, con accorta regia, le luci e, senza pause, con un lentissimo Introito si avvia il mozartiano Requiem k626. Orchestra e coro, con una prestazione stellare, ne drammatizzano inverosimilmente, con tempi e sonorità tirate all’eccesso, il testo. Con un’ammirevole raggiunta compattezza, viene data una continuità che fa dimenticare la frammentarietà originaria conseguente al non-finito mozartiano e al completamento di Süssmayer, è superato anche il fastidioso effetto ripetitivo dato da alcuni fugati, dispersi nelle varie sezioni. Si intuisce come gran parte del numeroso pubblico sia in preda a una forte emozione che lo fa scatenare in un immediato applauso finale che Currentzis blocca (seccato?) sul nascere imponendo una lunghissima e opportuna pausa di silenzio. Formidabile le prestazioni di orchestra e coro, oggettiva testimonianza di una preparazione meticolosissima e di un accordo formidabile, a cui vanno associati i solisti di canto: Elizaveta Sveshnikova soprano dal timbro tagliente e penetrante, a cui non sempre riesce il pieno controllo della morbidezza degli acuti; Andrey Nemzer, controtenore, che ben illumina le sue frasi con voce bianca, dal morbido timbro infantile; Egor Semenkov sfoggia un chiaro e piacevole timbro di tenore lirico e ricorda alcuni Lenskij russi della storia del disco; Alexey Tikhomirov basso di buona tradizione dell’est presenta correttamente, in concorrenza con un affannato trombonista, il Tuba Mirum, ineludibile momento topico dell’opera. Il pubblico è quello delle grandi occasioni e così il successo incondizionato si manifesta con applausi prolungati, sostenuti e più volte replicati. Foto© Mattia Gaido