Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Don Pasquale” (cast alternativo)

Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Stagione lirica 2024
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti. Libretto di Michele Accursi, Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti da Angelo Anelli

Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale MARCO FILIPPO ROMANO

Dottor Malatesta MATTEO MANCINI
Ernesto LORENZO MARTELLI
Norina NIKOLETTA HERTSAK
Un notaro ORONZO D’URSO
Tre voci soliste VALERIIA MATROSOVA, MASSIMILIANO ESPOSITO, CARLO CIGNI
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Jonathan Miller ripresa da Stefania Grazioli
Scene e costumi Isabella Bywater
Luci Jvan Morandi realizzate da Emanuele Agliati
Allestimento del Maggio Musicale Fiorentino

Firenze, 23 marzo 2024
Serata particolare al Teatro del Maggio in concomitanza di gioiosi e tristi eventi illustrati prima della recita dal Responsabile Ufficio Stampa Paolo Antonio Klun che ha annunciato la nomina di Carlo Fuortes a Sovrintendente «da oggi il teatro può continuare a guardare avanti», ricordato le vittime dell’«attentato terroristico in un teatro a Mosca» e la scomparsa di Maurizio Pollini, il «grande artista che aveva il pianoforte nel cuore e lo trasferiva nelle mani» dedicandogli la recita. Lo spettacolo presentava tutti gli ingredienti per una buona riuscita: la bella regia – comprese le scene, i costumi e le luci – e la spumeggiante realizzazione musicale hanno offerto un ottimo insieme di idee ed immagini. Donizetti scrivendo al cognato Toto: «Questa buffa non mi costò che undici giorni, in tre atti» (Parigi, 27 novembre 1842), induce a pensare che il comporre richieda meno tempo rispetto all’allestimento di un’opera, ma alcuni brani che confluiranno nell’opera erano già esistenti e il tempo utilizzato per scrivere concerneva la bozza della partitura che aveva avuto bisogno di ripensamenti come l’ ‘aggiustamento’ del libretto con il coinvolgimento di Donizetti. A raccontare il Don Pasquale è il compositore, rivolgendosi a Gautier riguardo alla première parigina del 3 gennaio 1843: «Lo zio, rappresentato da Lablache […] molto scontento di quel birbante di suo nipote [Ernesto che preferisce sposare Norina, giovane vedova di modeste condizioni, della quale è innamorato, piuttosto che la ricca e nobile zitella come desierebbe lo zio tanto da volerlo diseredare]. […] Malgrado i suoi sessant’anni e […] la gotta, don Pasquale si considera ancora abbastanza arzillo […] da poter procreare eredi meno collaterali di Ernesto [tanto da consultare] il dottor Malatesta [il quale gli promette] di portargli una bella ragazza, dolce e timida». Si tratta del solito cliché: una persona attempata (don Pasquale) osteggia l’amore di due giovani (Ernesto e Norina) ma, grazie all’intervento di un altro personaggio che fa saltare il ‘diabolico’ piano (Malatesta), i due innamorati possono finalmente coronare il loro sogno (omnia vincit amor).
Sono bastate le 5 battute iniziali dell’Allegro della Sinfonia per evidenziare la compattezza dell’orchestra e la cantabilità dei temi che, già dall’intervento del violoncello e la reiterazione con il fagotto nell’Andante mosso (anticipazione della Serenata di Ernesto: «Com’ è gentil la notte a mezzo») o nel Moderato (anticipazione della cavatina di Norina «So anch’io la virtù magica») hanno rivelato e anticipato la cantabilità delle prime parti dell’orchestra in una partitura in cui la narrazione e ricchezza di sfumature convergeva nel colore generato dal ruolo di certi strumenti. In una concezione più ampia essi erano altre voci che si univano ai cantanti e la cui bella espressività ricca di nuances, oltre a confermare l’ottima prestazione dell’Orchestra, implicava la raffinata concertazione e fervida fantasia di Daniele Gatti. Pertanto la tendenza ottocentesca di molti compositori a rendere quasi più ‘protagonisti’ gli strumenti (la stampa specificava “a scapito delle voci”) così come l’acustica racchiusa in uno spazio (casa delle bambole) spiegano il perché, in alcuni momenti, la percezione vocale poteva risultare meno appariscente. La visione interpretativa mirava a valorizzare le giovani voci dell’Accademia del Maggio, in un’opera che non risparmia ironia, leggerezza e perfezione teatrale unitamente ad un’attenzione per ogni dettaglio della partitura. Il risultato è stato un autentico connubio in cui a tenere insieme il tutto era l’armonia intesa come proporzione e corrispondenza. Il ritmo teatrale guardava sempre con rispetto quello musicale, mentre il movimento e caratterizzazione dei personaggi (anche quando salivano e scendevano le scale dell’abitazione disposta su tre piani), rendeva tutto più vivido (comprese le loro emozioni) e coinvolgeva gli spettatori lasciando loro una mutevolezza di partecipazione emotiva manifestata con il silenzio o piccole risate. A chi invece voleva cogliere e godere determinate sfumature doveva predisporsi ad una percezione più gestaltica in cui riconoscere il principio della figura-sfondo, relazioni significative tra i vari linguaggi artistici presenti nell’opera e la capacità di percepire, anche nell’essenzialità della scrittura musicale, la corrispondenza tra suono e ambiente o gli effetti onomatopeici come nella scena in cui Norina dà uno schiaffo a don Pasquale (Atto III) ove il gesto, concepito all’interno di una battuta con un accordo colmo di tensione (settima di dominante), accompagnato dall’intonazione di «prendi», non casualmente su due note (fa-si, intervallo di quinta diminuita discendente) produce scompiglio percettivo e crea altrettanta confusione nella definizione di “Dramma buffo”. Da evidenziare volentieri la bella, espressiva e agile vocalità, unita all’intelligenza interpretativa della talentuosa Nikoletta Hertsak così come quella sicura, spavalda e attenta di Matteo Mancini cui si aggiunge il coraggio di Lorenzo Martelli nell’affrontare il ruolo (forse poco valorizzato vocalmente da Donizetti) di Ernesto insieme alla maestria, acquisita dall’esperienza, di Marco Filippo Romano, senza dimenticare gli apprezzabili interventi di Oronzo D’Urso e di Matrosova, Esposito e Cigni. In questo “interminabile andirivieni” di personaggi, pur nei brevi interventi concentrati nel III Atto, una grande nota di merito al coro (ben preparato da Lorenzo Fratini) perché ha evidenziato sicura presenza scenica e una fervida musicalità. Il pubblico, molto numeroso, ha salutato gli interpreti con ripetuti applausi, decretando così un pieno successo alla rappresentazione.