Roma, Teatro Argentina: “Ciarlatani”

Roma, Teatro Argentina
CIARLATANI

di Pablo Remón
traduzione italiana di Davide Carnevali da Los Farsantes
con Silvio Orlando
e con (in o.a.) Francesca Botti, Francesco Brandi, Blu Yoshimi
regia Pablo Remón
scene Roberto Crea
luci Luigi Biondi
costumi Ornella e Marina Campanale
aiuto regia Raquel Alarcón
Roma, 07 Marzo 2024
Nell’ambito teatrale contemporaneo, spicca per originalità e profondità di riflessione la commedia “Ciarlatani” di Pablo Remon, recentemente adattata da Davide Carnevali e messa in scena al Teatro Argentina. Quest’opera si colloca al crocevia tra critica sociale e analisi psicologica, offrendo al pubblico uno spettacolo al contempo acuto e brillante, che esplora con ironia e spirito critico le manie, le distorsioni, le ambizioni infondate e gli ideali frustrati che caratterizzano la figura dell’impostore, rappresentato emblematicamente dall’attore. La premessa dell’opera, che vede l’attore come un maestro nell’arte della menzogna, viene elevata da Remon a una riflessione più ampia sull’autenticità e sull’inganno, facendo eco a una visione dell’attore come un “ciarlatano” non solo sul palco ma nella vita, capace di suscitare ammirazione quanto più abilmente sa ingannare. Al centro della narrazione, troviamo figure complesse e sfaccettate: Anna è un’attrice di teatro la cui carriera è in declino. Diego è un regista affermato di film commerciali. Apparentemente rappresentano i due estremi della professione artistica: il successo e il fallimento. Entrambi stanno attraversando una crisi personale e le loro storie sono collegate da una figura comune: il regista cult degli anni ’80 Eusebio Velasco, padre di Anna e maestro di Diego, scomparso e isolato dal mondo.
La commedia si distingue per la sua struttura narrativa, che intreccia le vicende personali e professionali dei personaggi in un “montaggio alternato” reso con maestria dalla regia di Remon stesso. Questo approccio consente di creare una polifonia comica e multiforme, popolata da personaggi variopinti tra cui produttori dipendenti da cocaina, sceneggiatori plagiari, attori underground e attrici invecchiate nel ruolo, disegnando un affresco vivace e a tratti surreale del mondo dello spettacolo. Oltre alla narrazione principale, l’elemento distintivo di “Ciarlatani” risiede nella peculiare caratterizzazione dei suoi personaggi, ognuno dei quali è delineato attraverso un approccio narrativo unico, sia per stile che per tono. La vicenda di Anna, ad esempio, è imbevuta di un’estetica cinematografica, dove un narratore orienta il pubblico attraverso un tessuto narrativo in cui il confine tra sogno e realtà si sfuma, creando una dimensione quasi onirica. Al contrario, il racconto di Diego assume le forme di una rappresentazione teatrale più tradizionale, ambientata in scenari che tendono a una maggiore aderenza al realismo. Inoltre, si inserisce nell’opera una sorta di autofiction, un interludio in cui l’autore stesso interviene per riflettere sulle accuse di plagio che gravano sulla sua creazione. Questo elemento funge da parentesi riflessiva, contribuendo a una stratificazione tematica dell’opera. Queste diverse narrazioni procedono in parallelo, intrecciandosi e nutrendosi reciprocamente, fungendo da specchio per gli stessi temi centrali. La struttura dell’opera, perciò, pur mantenendo un impianto fondamentalmente teatrale, si avvicina per composizione e spirito a quella di un romanzo, arricchita da digressioni che le conferiscono una dimensione cinematografica. “Ciarlatani” si propone così come un’esperienza teatrale innovativa, che aspira a una narrazione ibrida, attingendo liberamente dal vocabolario espressivo del cinema e della letteratura per arricchire e amplificare la sua portata emotiva e concettuale. Emerge così come un’opera teatrale di rilevante impatto, che con sottile umorismo e penetrante introspezione smaschera le illusioni e le ipocrisie dietro la ricerca della fama e del successo nel mondo dell’arte e dello spettacolo. Allo stesso tempo, lo spettacolo invita gli spettatori a riflettere sulla natura dell’autenticità, sul valore dell’arte e sulla perenne tensione tra essere e apparire, offrendo un’esperienza teatrale ricca di significati e di spunti di riflessione. L’allestimento scenico realizzato da Roberto Crea, che gioca abilmente con la tridimensionalità attraverso l’uso di luci e ombre, si unisce magnificamente all’opera di Luigi Biondi, il cui talento nell’illuminotecnica arricchisce la scena, conferendo profondità e spazio. Questa collaborazione artistica permette al pubblico di immergersi nella storia con una facilità sorprendente, grazie a un linguaggio visivo che, pur nella sua apparente semplicità, nasconde una complessità e una raffinatezza di fondo notevole. Di notevole ricercatezza per taglio e materiali i bei costumi di Ornella e Marina Campanale. Silvio Orlando si rivela un vero pilastro in questo spettacolo, portando stabilità con la sua presenza scenica e la capacità di navigare le complessità di una trama intenzionalmente frammentata. La sua interpretazione, piena di sfumature affascinanti, guida lo spettatore attraverso le peculiarità di una commedia che flirta con l’assurdo, senza mai sopraffarla, ma piuttosto esaltandone il cammino verso un significato più ampio, che riflette le competizioni e l’indifferenza verso l’individuo della nostra era. Orlando, con una recitazione espressiva e un tempismo comico senza pari, che attinge dalla tradizione partenopea, si fa portavoce di queste tematiche insieme a Francesca Botti, Francesco Brandi e Blu Yoshimi. Insieme, danno vita a venti personaggi, trasformando le sfide della narrazione in opportunità per esplorare la vita attraverso il teatro. Le vicende si snodano tra momenti di profonda riflessione e leggerezza comica: dall’apparizione sorprendente dell’autore della commedia, in una svolta metateatrale legata al plagio, fino alle gag memorabili, come l’assegnazione dei premi David a un’attrice che dimentica il film per cui viene premiata, o le critiche taglienti di un giovane verso un’attrice che non lo ha convinto nel ruolo della strega in un pezzo per bambini. Il cerchio si chiude con la saggezza di un barista del Kazakistan, sempre Orlando, che offre una perla di saggezza sulla resilienza: a volte, toccare il fondo è necessario per risalire e ritrovare la serenità. La platea si lascia andare a sonore risate, sebbene alcuni spettatori sembrino sfuggire le più sottili venature dell’opera, un saggio quasi politico intriso di ironia. Nonostante ciò, l’accoglienza è calorosa, traducendosi in un divertimento palpabile e in un applauso generoso che riempie il teatro. Photocredit@AndreaVeroni.