Roma, Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Sala Petrassi, Festival Equilibrio 2024
“FIRMAMENTO”
Compagnia “La Veronal”
Ideazione e direzione artistica Marcos Morau
Coreografia Marcos Morau in collaborazione con i danzatori
Interpreti Àngela Boix, Jon López, Núria Navarra, Lorena Nogal, Marina Rodriguez, Shay Partush
Testo Carmina S. Belda, Pablo Gisbert
Voice-over Victoria Macarte, Nataniel Ansbach
Direzione tecnica e disegno luci Bernat Jansà
Stage manager ed effetti speciali David Pascual
Sound design e musica originale Juan Cristóbal Saavedra
Musica Laurie Anderson
Scene Max Glaenzel
Costumi Silvia Delagneau
Illustrazioni animate Marc Salicrú
Marionette Martí Doy
Coproduzione Fondazione Musica per Roma/Festival Equilibrio
Roma, 24 febbraio 2024
Danzatori che si muovono freneticamente come automi attorno ad una consolle luci ed audio con braccia raccolte vicino al petto, passi fitti e teste chine. Indossano gilet rossi, berretti e tute da lavoro che sommati al costruttivismo delle scene parrebbero richiamare vagamente un certo teatro avanguardista di primo Novecento. In effetti, nello spettacolo Firmamento, presentato a chiusura del Festival Equilibrio diretto da Emanuele Masi, pare di ravvisare un certo fervore creativo e un vivo entusiasmo per gli avanzamenti tecnici che fa dell’autore Marcos Morau un visionario cantore del progresso. Non è la danza il suo unico focus, ad interessarlo è principalmente il legame del movimento con l’immagine e del teatro con le altre arti, in primis cinema e fotografia. Per la sua compagnia La Veronal, fondata nel 2005 a Barcellona, è sia coreografo che scenografo, light designer e costumista. Nella presente produzione si avvale però delle scene di Max Glaenzel, dei costumi di Silvia Delagneau, del disegno luci di Bernat Jansà e degli effetti speciali di David Pascual per creare uno sbalorditivo affresco della modernità dipinta come espressione dello slancio adolescenziale nel passaggio dai sogni alla realtà. Fascinosa è l’introduzione di una marionetta dai tratti senili, accompagnata dai testi di Carmina S. Belda e Pablo Gisbert. Un rimando al mondo dell’infanzia e ai sogni fanciulleschi che rimangono sempre vivi nell’uomo adulto guidandolo nelle sue diverse scoperte, da esperire con maturità per non trasformarsi in esperienze allucinanti. Una riflessione, inoltre, sul divenire degli esseri umani strumento a volte di una drammaturgia imposta dall’alto. È il caso dei visori di realtà aumentata che ci immergono nel metaverso, collocandoci in una posizione ambigua tra protagonisti e spettatori di una realtà virtuale. Da qui il gioco delle scene che si trasformano gradualmente in scatole cinesi, la disposizione di file di sedie come in un cinema e l’interazione con le illustrazioni animate di Marc Salicrù. Si parte da scenari quotidiani per spostarsi lentamente nella dimensione della spettacolarità. In questa visione i desideri divengono fantasie utopiche in cui, pur lanciandosi con un paracadute, si viene trasportati sempre più in alto dal vento dell’immaginazione, arrivando più in alto delle nuvole, fino a Dio. Ecco che la propria intima realtà, le case, gli amici, diventano troppo piccoli per esser visti, finendo per non esistere più e per dover essere reinventati. Ma repentinamente accade anche il contrario. Il vento riporta a terra e si osservano cambiamenti climatici, carestie e inferni quotidiani, che ci riavvicinano ai nostri simili nella realtà più prossima. Un invito, dunque, a lasciarci sì andare al firmamento di sogni capaci di condurci a vette di bellezza inimmaginabili nel cammino verso il futuro. Ma con un monito che coniuga il progresso alla sostenibilità, l’intelligenza artificiale alla riscoperta dell’umanità. Come del resto avviene durante la serata grazie all’idea di permettere al pubblico cieco e ipovedente di godere dello spettacolo tramite un’audiodescrizione poetica a cura della drammaturga Camilla Guarino e dell’artista Giuseppe Comuniello. Una conclusione eloquente ed esemplare per un Festival inclusivo che con sapienza spinge a scrutare le stelle per poi riportarci a terra senza fratture. Foto Fondazione Musica per Roma/MUSA