Milano, Teatro Elfo Puccini, Stagione 2023/24
“TRE DONNE ALTE”
di Edward Albee, traduzione di Masolino D’Amico
Donna A IDA MARINELLI
Donna B ELENA GHIAUROV
Donna C DENISE BRAMBILLASCA
Figlio STEPHAN HABAN
Regia Ferdinando Bruni
Scene Francesco Frongia
Costumi Elena Rossi
Luci Michele Ceglia
Suono Gianfranco Turco
Produzione Teatro dell’Elfo
Milano, 01 marzo 2024
Nel non esaltante panorama teatrale nostrano, talvolta avvengono dei piccoli miracoli, che, a dirla tutta, miracoli non dovrebbero essere, ma la normalità: spettacoli ben scritti, prodotti e recitati, a vari livelli; ancora più raramente assistiamo a spettacoli ottimamente scritti, prodotti e recitati; possiamo solo immaginare l’opportunità più unica che rara di essere presenti a spettacoli perfettamente scritti, prodotti e recitati, una fortuna vera. Ora, il caso di “Tre donne alte” di Edward Albee, messo in scena al Teatro Elfo Puccini di Milano, in fondo, non è così difficile da individuare: il testo è un Premio Pulitzer (il terzo) di un autore tra i maggiori del Novecento americano (secondo solo a Tennessee Williams e Arthur Miller, coi quali forma una specie di “sacra triade”); la regia è affidata a uno dei fondatori dell’Elfo, Ferdinando Bruni, cui non sempre le ciambelle riescono col buco, ma che comunque le sa sempre condire puttosto bene; il cast coinvolge tre attrici, di cui due non necessitano presentazioni: Ida Marinelli – recentissimo Premio Franca Valeri, ultimo dei molti riconoscimenti di una vita – ed Elena Ghiaurov – Premio Ubu e Premio Duse. Eppure i dati oggettivi non bastano a spiegare l’effettiva magia di questa produzione: occorre perlomeno citare anche le scene di Francesco Frongia e le luci di Michele Ceglia, che danno movimento a un testo di per sé piuttosto statico e trasportano tutto in una dimensione altra, interiore, senza ricorrere a éscamotage troppo cerebrali; e una menzione va fatta ai costumi di Elena Rossi, semplicissimi, è vero – forse si sarebbe potuto osare di più – ma funzionali ai momenti del dramma; e la terza attrice, la giovane Denise Brambillasca, non contribuisce forse a questa riuscita? La sua Donna C (giacché così Albee chiama i suoi personaggi, Donna A, B e C) ha la grazia e naturalezza dei vent’anni imbevute dell’ipocrisia lieve, dell’impercettibile cinismo dell’alta società americana; il consapevole corpo flessuoso, l’andamento accademico del parlato, gettano evidenti e necessari ponti verso le sue più esperte colleghe, contribuendo a quell’omogeneo femminino che Albee si augurava di ricreare in scena. Senza dubbio, nemmeno le altre due performance vanno date per scontate: la Donna A di Ida Marinelli, ad esempio, è di soprendente vispezza e comicità nel primo atto, quanto di accorata ispirazione nel secondo – e non poteva essere altrimenti, giacché la Marinelli è giunta a un punto tale di esperienza per cui ci si aspetta che i personaggi interpretino lei e non più viceversa; ma anche la Donna B di Elena Ghiaurov sorprende, anche coloro (come chi scrive) che già da anni apprezzano l’attrice: il suo monologo del secondo atto è senza alcun dubbio il pezzo di bravura par excellence di “Tre donne alte”, eppure la Ghiaurov riesce a tavalicare i limiti del gioco al massacro (in cui Albee era maestro – ricordate “Chi ha paura di Virginia Woolf?”) per portare il suo dramma davanti a noi, nudo, semplice e palpitante nel suo eloquio caramelloso e vagamente sbirignato, aspro e artefatto allo stesso tempo. Ancora, non possiamo non godere delle geometrie puntuali create con queste “Tre donne alte” dalla regia di Bruni, che tradiscono sì la bravura un filo manierata delle interpreti, ma non il sottilissimo lavoro di costruzione scenica, che resta nascosto nella fitta e per nulla rarefatta trama della maestria drammaturgica. Già, la drammaturgia di Albee: vecchia di trent’anni, questa pièce non solo ancora ci parla (di donne, di uomini, di famiglie, di disparità sociali, di solitudini, di cuori spezzati, di capitalismo), ma oggi più che mai ci urla in faccia la sua critica distaccata e divagante, il suo invito a vivere il momento; oggi più che mai, che sentiamo di non essere più usciti dal – o mai entrati davvero nel – Novecento, le “Tre donne alte” di Albee ci indicano chiaramente tutte quelle tappe – per lo più vergognose, orribili, eppure anche perversamente seducenti – del secolo che abbiamo toccato e su cui continuiamo a passare, come le caselle di un gioco dell’oca nel quale non riusciamo a vincere né a perdere: queste tre bambole bionde sono contemporaneamente Marilyn Monroe e Margherita Hack, Sylvia Plath e Madonna, Moana Pozzi e Hillary Clinton; nel 1994, prima delle quote rosa, del politicamente corretto e della woke culture, Albee ci aveva già spiegato che donne saremmo state. Forse è anche per questo che difficilmente quest’anno vedrete qualcosa di migliore in un teatro milanese. Foto Laila Pozzo