“Il Campiello” di Wolf-Ferrari al Teatro Filarmonico di Verona

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024
“IL CAMPIELLO”

Commedia lirica in tre atti su libretto di Mario Ghisalberti
Musica di Ermanno Wolf-Ferrari
Gasparina BIANCA TOGNOCCHI

Dona Cate Panciana LEONARDO CORTELLAZZI                                                      Lucieta SARA CORTOLEZZIS                                                                                Dona Pasqua Polegana SAVERIO FIORE                                                                Gnese LARA LAGNI
Orsola PAOLA GARDINA
Zorzeto MATTEO ROMA
Anzoleto GABRIELE SAGONA
Il Cavaliere Astolfi BIAGIO PIZZUTI
Fabrizio dei Ritorti GUIDO LOCONSOLO
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Ommassini
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Federico Bertolani                                                                                      Scene Giulio Magnetto
Costumi Manuel Pedretti
Luci Claudio Schmid
Nuovo allestimento di Fondazione Arena di Verona

Verona, 17 marzo 2024
A due anni da “Il segreto di Susanna” Verona torna ad omaggiare Wolf Ferrari con una delle sue opere più celebri, in un nuovo allestimento di Fondazione Arena. La passione del compositore per il teatro di Goldoni, coltivata sin dall’infanzia e di cui aveva già musicato altre quattro commedie, portò a compimento questa deliziosa vicenda umana e collettiva che porta in piazza aspirazioni, passioni e vicissitudini personali di un microcosmo qual è per l’appunto il campiello veneziano che fagocita il singolo nel vortice di un rituale popolaresco. Goldoni stesso definì la sua commedia “un intreccio di poco impegno e una peripezia poco interessante” dove i suoi personaggi sono incardinati nel tessuto sociale popolare veneziano eppure permeati di una certa universalità tale da rendere realistica la vicenda anche oltre la dimensione lagunare; sebbene gli usi e i costumi siano propri della realtà veneziana sono comunque comprensibili da ognuno. Ecco che il piccolo mondo evocato dal commediografo, quasi sospeso nel tempo e nello spazio, trova nella musica di Wolf-Ferrari, “goldoniano per disperazione” una dimensione che scorre al di là della semplice vicissitudine umana; egli affida all’orchestra ciò che non può dare ai cantanti, costretto dal testo nei declamati cerca rifugio nel respiro sinfonico degli intermezzi. L’opera lirica fu composta durante il ventennio fascista; nonostante il regime perseguisse l’idea di una sola ed unica lingua nazionale, riconosceva nel lessico teatrale di Goldoni una forte connotazione italiana. L’equilibrio tra il tono popolaresco e la malinconia pervasiva, quale tratto fondamentale, offrono un delizioso quadretto di vita familiare, una sorta di cartolina offerta alla miope e superficiale visione nazionalistica; significativo l’addio di Gasparina all’odiata vita del campiello nel quale riconosce tuttavia il forte legame esistenziale. L’idea registica di Federico Bertolani parte proprio dal parallelo tra la storia da cortile, con le beghe e i litigi eppure sospesa nella sua fissa immobilità, e la storia universale che invece scorre inesorabile; nella scena irrompono alcune finestre temporali che mostrano scene di storia veneziana che culminano nel volere mostrare la fragilità della città: l’acqua alta con le paratie del Mose e l’ingombrante sagoma di una grande nave che compare e che è in qualche modo si collega al turismo selvaggio che la soffoca. Tutto ciò pero, all’interno di uno spettacolo tradizionale nell’ambientazione, a nostro parere non necessita di ulteriori invenzioni, tanto meno di trovate registiche discutibili che suonano come delle forzature. In realtà Bertolani sembra che con questi interventi voglia per forza dare un tocco di originalità in uno spettacolo già di per sé completo disturbando lo spettatore  proprio nei momenti più intensi e lirici di abbandono ed espressione musicale. Tale disturbo è tanto più fastidioso proprio nel momento più atteso, quel “Buondì Venezia cara”, di forte richiamo belliniano, un fermo immagine dove la malinconia infinita e la nostalgia prendono il sopravvento; momento intenso e struggente, tristemente vanificato dall’assalto di turisti a caccia di selfie. Questa incursione moderna nella realtà settecentesca veneziana, seppur attuale nel turismo lagunare, ha finito tuttavia per privare l’opera del suo finale naturale. Gradevoli le scene di Giulio Magnetto – un campiello soffocato dalla parete di fondo che si apre per mostrare le citate scene “storiche” e che, francamente di veneziano hanno un po’ poco, se non lo scorcio delle scale di un ponte), i costumi appropriati di Manuel Pedretti, mentre le luci di Claudio Schmid solo occasionalmente hanno creato un’atmosfera. La compagnia di canto si è dimostrata compatta ed affiatata pur senza brillare particolarmente nella componente attoriale e nella caratterizzazione. È pur vero che l’opera non gode di particolari momenti di distensione vocale (a parte l’aria finale) ma tra i solisti un buon rilievo si è avuto con il baritono Biagio Pizzuti (già ascoltato ne Il parlatore eterno di Ponchielli), un Cavalier Astolfi fiero ed aristocratico e dalla Gasparina di Bianca Tognocchi che, a dispetto del momento disturbato di cui riferiamo sopra, regala al pubblico un’intenso momento lirico nel commiato dal suo campiello. Le due coppie di amanti, formate l’una da Sara Cortolezzis (Lucieta) e Gabriele Sagona (Anzoleto) e l’altra da Lara Lagni (Gnese) e Matteo Roma agiscono con buona scena tra i sospetti e i pettegolezzi di piazza ma, in assenza di pagine vocalmente impegnative ci si poteva aspettare una maggiore presenza scenica. A completare il cast Guido Loconsolo (Fabrizio dei Ritorti), Leonardo Cortellazzi (Dona Cate Panciana), Saverio Fiore (Dona Pasqua Polegana) e Paola Gardina (Orsola). L’orchestra e il coro della Fondazione Arena erano diretti dal veronese (ma veneziano di nascita) Francesco Ommassini il quale ha portato in fondo la rappresentazione con buon mestiere ma senza evidenziare talune preziosità timbriche e sinfoniche di cui la partitura è disseminata; forse bisognoso di un maggior lavoro di approfondimento che avrebbe dato esiti musicalmente più scavati e profondi. Corretto come sempre l’apporto del coro (il cui intervento era comunque ridotto ad un interno nel secondo atto e al finale dell’opera), diretto da Roberto Gabbiani. Pubblico abbastanza numeroso e prodigo di consensi per questo allestimento che chiude la prima parte della stagione invernale, in attesa del festival areniano. Repliche venerdì 22 e domenica 24 marzo. Foto Ennevi per Fondazione Arena