Firenze: Daniele Gatti e l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino tra pathos e spiritualità

Firenze, Teatro Maggio Musicale Fiorentino: Stagione 2023-2024 Gennaio – Marzo 2024
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniele Gatti
Franz Joseph Haydn: Sinfonia n. 44 in mi minore (Trauer-Symphonie); Paul Hindemith: Nobilissima visione; Richard Wagner: “Parsifal”: «Incantesimo del Venerdì Santo» (atto III)
Firenze, 16 marzo 2024
Per riferire l’esito del concerto, realizzato nella sala Mehta (quasi sold out), basterebbe considerare il battito dei piedi e delle mani del pubblico alla fine del concerto al punto che, in una percezione più musicale ed inclusiva, poteva sembrare un ‘contrappunto’ doppio unito alle ‘voci’ dei musicisti dell’orchestra. Se, in generale, le prime parti si caratterizzavano per un vivido virtuosismo, smagliante fraseggio ed espressività, la compagine strumentale era talmente duttile da riuscire ad offrire un suono diverso per ogni partitura. La Sinfonia n. 44 di Haydn, nota come la Trauer-Symphonie (Sinfonia funebre) per desiderio (non sicuro) del compositore di far eseguire l’Adagio durante le sue esequie, ha evidenziato molti aspetti interessanti. La riduzione degli archi, il fagotto all’unisono ‘mimetizzato’ tra i violoncelli, effetti d’eco, ecc., annunciavano una certa attenzione alla filologia e alla prassi esecutiva della musica del XVIII secolo, mentre il principio, in senso lato, della variazione, già presentato all’inizio dell’ Allegro con brio, faceva presagire la volontà di Haydn di ‘stupire’ e gli stessi equilibri sonori sembravano proiettarsi verso una percezione più antica e grazie ad un’interpretazione ‘affettiva’ veniva restituito il senso più espressivo della partitura. All’orchestra bastava ascoltarsi e al direttore più che ‘dirigere’ gli occorreva una chironomia essenziale (spesso era solo la mano sinistra a modellare il melos e fraseggi) per restituire sonorità particolarmente suggestive e architetture formali inequivocabili. In questa insolita ‘tonalità classica sinfonica’ (mi minore), ecco la chiarezza dei due oboi che spesso raddoppiano i violini, i due corni che contribuiscono al ‘ripieno’ dell’armonia così come il perentorio incipit (mi-si, mi-re#) che, già dalla prima apparizione, sembrava annunciare la sua singolarità e volontà di rimanere fedele al monotematismo, pur lasciandosi cullare nell’alveo della forma sonata. Talmente significativo che non rinunciava a conservare alcuni tratti retorici barocchi come nell’ultima enunciazione del tema (dopo l’intervallo di quinta ascendente [mi-si]: inizio del canone in epidiapente) in cui bassi e viole portano avanti la linea cromatica discendente, autentico rimando allo stato d’animo del dolore (Passus duriusculus). Il principio contrappuntistico tra le voci era godibile e facilmente percepibile anche nel Menuetto Allegretto – Canone in diapason (mi minore) e Trio (mi maggiore), ove, come si evince dal testo, si intende la ‘canonica’ articolazione formale (minuetto seguito dal trio) e l’insistenza della tecnica contrappuntistica con un canone (distanza di una battuta e di un’ottava inferire) tra voci superiori e inferiori. Poi finalmente, quasi momento di tenerezza e di grande morbidezza sonora, anche grazie all’uso della sordina negli archi, l’Adagio (in mi maggiore) in cui Gatti riusciva a proporre, fin dall’unisono dei violini, una ‘calma’ proiettata verso la grande serenità d’animo. Con il Finale Presto vi è un ritorno all’unità (tonalità d’impianto, scrittura contrappuntistica, monotematismo, ecc.). L’inizio (mi – sol# – mi – re# – mi – fa# – la) presenta affinità con il I movimento e continua a non rinunciare alla forza e rigore contrappuntistico tanto che gli applausi degli ascoltatori sembravano dettati dall’ impulso sonoro iniziale, foriero di belle emozioni. Con Nobilissima visione Orchester-Suite (Suite per orchestra dal balletto omonimo) di Hindemith (prima esecuzione nel 1938) ci spostiamo di ca 160 anni: altro linguaggio e mondo sinfonico con un organico più ampio (coppia di legni, anche ottavino, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, basso tuba, una grande varietà di percussioni e il quintetto d’archi). Pur di fronte ad una tavolozza sonora così ricca colpisce già il primo movimento Einleitung und Rondo in cui il melos è suonato dai clarinetti insieme agli archi (unisono con i primi violini) e solo successivamente (Rondò) entra il flauto fino ad aggiungersi altri fiati evidenziando grande considerazione per il colore ora inteso non solo come arte dell’orchestrazione ma anche con riferimento all’arte pittorica. Infatti, pensando all’ispirazione del compositore tedesco tratta dagli affreschi giotteschi sulla vita di San Francesco d’Assisi in occasione della sua presenza (1937) nella Basilica fiorentina di Santa Croce, potremmo affermare che l’opera è in stretta relazione con la tecnica dei loci ove la percezione delle «imagines agentes», nell’interpretazione di Gatti, restituivano una serie di numeri che, nella traduzione sonora dell’orchestra, si trasfigurava in un autentico itinerario vitae del Santo di Assisi. Musica coinvolgente tanto che nella Marsch und Pastorale è bastato il solo dell’ottavino ad invitare altri solisti e le diverse sezioni dell’orchestra. In questo movimento centrale il direttore ha cercato la cura di ogni dettaglio, mentre l’orchestra restituiva tonalità delicate e appropriate. Il momento più rasserenante, nonostante la complessità della scrittura, è stato l’ultimo movimento (Passacaglia) in cui una luminosa sezione degli ottoni (4 corni, 2 trombe e 2 tromboni) apriva con il monumentale melos (guida sicura per tutto il movimento) che, nella sua reiterazione arricchito dalle numerose variazioni, per la chiarezza del fraseggio non è sfuggito a nessuno dei presenti in sala. Anche in questa occasione abbiamo notato una gestualità essenziale del direttore, la stessa semplicità francescana che, espressa mediante un linguaggio più consono, diventava luce talmente radiosa, serena, gaudiosa e necessaria per concludere con il wagneriano «Incantesimo del Venerdì Santo». Come il cavaliere Parsifal è alla ricerca del Santo Graal così la poetica ed intensa conduzione di Gatti, insieme alle vibranti note dell’orchestra, era sempre volta a fondere in un crogiuolo mitologia, fede e bellezza in un viaggio (dal poema medioevale Parzival alla realizzazione wagneriana) pur di ‘incantare’ il pubblico.