Opera in due atti su libretto di Eugene Scribe. Patrick Kabongo (Guillaume), Emmanuel Franco (Joli-Cœur), Eugenio Di Lieto (Fontanrose), Luiza Faytol (Térézine), Adina Vilichi (Jeannette), Kraków Philharmonic Chorus, Marcin Wróbel (Maestro del coro);Kraków Philharmonic Orchestra, Luciano Acocella (direttore).Registrazione: Offene Halle Marienruhe, Bad Wildbad, 13-15 luglio 2021. 2 CD Naxos 8.660514-15
Uno strano destino sembra incombere su una parte della produzione operistica di Auber, quello di essere tratta da soggetti che saranno poi ripresi con maggior fortuna da altri compositori. Così per “Gustave III” sullo stesso soggetto di “Un ballo in maschera” verdiano, per “Manon Lescaut”, per “Leicester, ou Le château de Kenilworth” e anche per “Le filtre” tratta dal medesimo vaudeville di Scribe che ispirerà a Donizetti e Romani “L’elisir d’amore”. Per quanto la fortuna non abbia particolarmente arriso a questi titoli non è tempo perso ascoltarli perché non solo documentano forme diverse di approccio ad analoghi soggetti ma non mancano di piacevolezza d’ascolto anche se non si possono certo definire pienamente capolavori.
“Le filtre” fu tra i maggiori successi del compositore provenzale con ben 243 rappresentazioni solo a Parigi nel XIX secolo e quindi si accoglie con interesse questa registrazione, effettuata dal vivo presso il festival di Bad Wildbad, di un’opera che ha goduto di notevole popolarità. L’ascolto permette di capire facilmente le ragioni del successo. La musica è ottimamente scritta, con quella raffinatezza orchestrale che era cifra caratteristica del teatro musicale francese. Il tono complessivo è brillante e scanzonato con punte di civetteria galante – specie nel personaggio di Térézine – non prive di fascino. Le melodie sono forse un po’ facili ma di sicura presa, i ritmi trascinanti e quasi ballabili. L’ascolto rivela però anche il limite che ne impediva la possibilità di reggere il confronto con l’opera donizettiana. La mancanza di un tratto più autentico e umano, di sentimenti più veri, di un nucleo più consistente sotto una vernice luminosa ma tutta superficiale.
Opere di questo tipo per brillare autenticamente avrebbero bisogno di cast di prima grandezza. Il festival di Bad Wildbad ha tanta buona volontà e un ammirevole coraggio ma di certo non eccelle per risorse il che si ripercuote inevitabilmente sugli artisti presenti. Nulla di particolarmente negativo, anzi una buona professionalità generale ma il vero colpo d’ala latina assai.
La principale delusione viene dalla parte orchestrale Luciano Acocella alla guida dei complessi polacchi della Krakow Philarmonic in altre registrazioni aveva ben convinto qui invece non riesce a trovare il bandolo della matassa. La colpa più che del direttore – che appare attento e preciso nelle dinamiche e curato nell’impostazione generale – sembra proprio dell’orchestra la quale non ha nelle sue corde la sorridente leggerezza richiesta da questa musica. I tempi sono si brillanti ma il suono sempre pesante, con un retrogusto marziale che se ben si adatta alle scene di Joli-Coeur – dove comunque un po’ più di sorridente ironia non avrebbe guastato – ma di certo non appare troppo in linea con il resto dell’opera.
I limiti dell’orchestra creano ovviamente qualche difficoltà a una compagnia di canto composta di giovani che avrebbero avuto bisogno di un maggior sostegno. Corretta nel complesso la prova del coro.
Il migliore ci pare decisamente il Guillaume di Patrick Kabongo. Unico francofono del cast – è la cosa si nota non poco – il giovane tenore di origini congolesi mostra un materiale decisamente interessante. Voce chiara ma ottimamente controllata, linea di canto naturalmente elegante, buona facilità sugli acuti. Per quanto lontano dall’umanità di Nemorino Guillame ha tra i pochi squarci lirici dell’opera – l’aria “Philtre divin!” e gli interventi nel duetto con Térézine “Je sais d’avance son langage” – dove fa valere una buona sensibilità espressiva.
Al suo fianco Térézine è Luiza Fatyol soprano rumeno discutibile sul piano della dizione ma di buona presenza vocale e dal canto attento e sicuro. Il timbro presenta qualche asprezza ma la cantante riesce a giocarci con intelligenza usandola per rendere frivolo e la coquetterie del personaggio, molto più marcata che nell’Adina donizettiana. Nell’aria di apertura “La reine Yseult” coglie bene il carattere arcaicizzante del racconto della regina Isotta.
Voce timbricamente più chiara – con buona differenziazione rispetto alla Faytol – e canto leggero e brillante per la Jeannette di Adina Vilichi. Ruolo decisamente più consistente rispetto all’analoga donizettiana e chiamata a esibirsi in brillanti couplets – “Habitants du bord de l’Adour” – durante il finto matrimonio.
Eugenio Di Lieto è un Fontanrose – il corrispondente di Dulcamara – di buona presenza vocale e di una certa simpatia, manca forse delle doti affabulatorio del personaggio ma nell’insieme risulta ben centrato per il ruolo. Emmanuel Franco affronta con baldanza e un pizzico di non impropria guasconeria il sergente Joli-Cœur. Entrambi non brillano per dizione anche se a risentirne è soprattutto Di Lieto per le caratteristiche della parte.