Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e balletto 2023/24
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale NICOLA ALAIMO
Norina MARIA GRAZIA SCHIAVO
Ernesto ANTONINO SIRAGUSA
Dottor Malatesta SIMONE DEL SAVIO
Un notaro MARCO SPORTELLI
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Alessandro De Marchi
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Regia Ugo Gregoretti
Ripresa di regia Riccardino Massa
Scene e costumi Eugenio Guglielminetti
Luci Vladi Spigarolo
Torino, Teatro Regio, 27 gennaio 2027
Trentasei anni e non sentirli, questa potrebbe essere la sintesi della ripresa del “Don Pasquale” donizettiano allestito da Ugo Gregoretti nel 1988 e ora riproposto da Riccardino Massi e che mantiene tutta la sua irresistibile freschezza. Gregoretti all’epoca ribaltava in modo radicale l’impostazione dell’opera. Pur rispettandone le coordinate ambientali e temporali la rovesciava come un guanto. Opera di interni borghesi e di spazi chiusi “Don Pasquale” diventava per Gregoretti opera en plain air il cui spazio scenico diventava il vicolo di fronte alla casa di Don Pasquale, spazio ideale in cui le vicende dei personaggi si fondevano con l’interminabile andirivieni della vita romana del tempo. A sfilare è tutta la composita umanità della Roma papalina dei primi decenni dell’Ottocento tra ecclesiastici e finti mendicanti, artisti in cerca di fortuna, ladri e gandtouristi che sembrano far da contraltare alle vicende private dei personaggi. Assistere a questo spettacolo e come perdersi in quei vicoli di una Roma ormai scomparsa in cui si perdeva il giovane Albert de Morcerf nelle coeve pagine del “Conte di Montecristo”. Si può forse obbiettare che questa esuberanza vitalistica può risultare anche eccessiva e innegabilmente ci sono punti in cui un maggior raccoglimento sui personaggi sarebbe stato gradito ma – anche grazie all’ottima ripesa – lo spettacolo non ha perso nulla della sua energia ed entusiasma il pubblico presente esaltando le doti di una compagnia di autentici cantanti-attori. Mattatore assoluto è Nicola Alaimo nei panni del protagonista. Perfettamente a suo agio nel personaggio il baritono siciliano non solo fornisce una prova vocalmente sontuosa ma si dimostra soprattutto incontenibile animale da palcoscenico. Sul piano vocale si resta colpiti dall’ampiezza della cavata e della robustezza del mezzo che gli permette di sfoggiare acuti impressionanti per volume e tenuta eseguiti senza alcun sentore di sforzo. I sillabati sono rapidissimi, precisi, senza alcune sbavatura nella miglior tradizione dei grandi buffi italiani. Sul piano scenico è d’irresistibile personalità, recita benissimo e interagisce con il pubblico facendolo partecipe della vicenda. Diverte e si diverte regalando a tutti un pomeriggio di autentica gioia musicale.
Simone del Savio (Malatesta) è la perfetta spalla di Alaimo. Vocalmente molto efficacie, forse solo un po’ troppo scuro timbricamente portando quasi – considerando anche il carattere prettamente baritonale della voce di Alaimo – a un rovesciamento timbrico tra i due ruoli si fa apprezzare per un’interpretazione attenta e puntale, capace di valorizzare al meglio il valore espressivo della parola. Perfettamente inserito nel gioco scenico con Alaimo – e lo stesso De Marchi – contribuisce in modo essenziale al duetto del III atto bissato a furor di popolo.
Antonino Siragusa (Ernesto) non in perfette forma fisica gioca un po’ sulla difensiva sfruttando esperienza e musicalità. Nel primo atto è alquanto prudente ma con il prosieguo la voce si scalda e si fa più sicura, l’aria del II atto è cesellata con gusto ed eleganza anche nel registro acuto affrontato con una certa preoccupazione. Il III atto si è distinto per gusto ed eleganza.
Maria Grazia Schiavo è una Norina dalla vocalità ricca e corposa. Bel timbro, emissione solida, voce ricca di armonici che soprattutto nei momenti più lirici emerge con dovizia. Scenicamente molto ben centrata fraseggia con gusto tratteggiando un personaggio simpatico e comunicativo, persin bonario in certi accenti verso Don Pasquale. Qualche saltuario indurimento sugli estremi acuti non pregiudica la riuscita complessiva della prova. Il tutto è guidato con mano sicura e impeccabile gusto da Alessandro De Marchi. Il direttore piemontese viene da lunga militanza barocca e ha la capacità – anche con un’orchestra moderna – di ottenere un suono stilisticamente informato. I ritmi sono brillanti ma mai forzati, il suono leggero, arioso, sembra respirare con i cantanti; gli interventi solisti sono cesellati con cura. Il risultato è una lettura leggera e vivace, in cui la melonconia è alleggerita da un sorriso e l’ironia si addolcisce di una delicata umanità. De Marchi insiste – anche nell’interessante intervista sul programma di sala – sull’andamento danzate di molti momenti della partitura che qui è reso in modo magistrale con un uso sapiente dei rubati e una naturale predilezione per l’abbandono melodico.
Oltre a dirigere De Marchi partecipa al gioco scenico creando spassosissime scenette con Alaimo e Del Savio. Sala purtroppo non gremita ma successo autenticamente trionfale per tutti gli interpreti. Foto Andrea Macchia