Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino,Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Krzysztof Urbański
Pianoforte Jan Lisiecki
Wojciech Kilar (1832-2013): “Orawa”, per orchestra d’archi. Sergej Prokof’ev: Concerto n.2 in sol minore per pianoforte e orchestra, op16. Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n.4 in fa minore op.36.
Torino, 9 febbraio 2024
Con Orawa, pezzo che introduce la serata, il direttore polacco Krzysztof Urbański ci serve un assaggio della musica del compatriota Wojciech Kilar. Poco meno di 10 minuti che impegnano gli archi, tutti in piedi, in un coinvolgente intensificarsi e attenuarsi di suono. Non ci sono temi definiti e riconoscibili che durino più dello spazio di una battuta o di un suggerimento di ritmo. L’esperienza d’ascolto non è spiacevole e soprattutto non è urtante come sovente accade coi prodotti degli ex adepti dei corsi estivi di Darmstadt. Urbański che sfoggia un piglio comunicativo assai teatrale che incanta orchestra e pubblico, guida positivamente in porto un pezzo che avrebbe anche potuto suscitare incomprensione e rifiuto. Il non vasto pubblico ha applaudito, apparentemente, senza riserve. Il solista che si appresti a suonare il secondo concerto di Prokof’ev, viste le difficoltà tecniche che vi troverà, deve possedere un grande coraggio e una sconfinata fiducia nei propri mezzi. Jan Lisiecki, il pianista canadese, ma il nome tradisce le origini polacche, le possiede ambedue in abbondanza. Prokof’ev scrisse il concerto, tra l’Europa e la Russia, intorno al 1913, in una temperie culturale ovunque molto effervescente. Fu tacciato e rifiutato, alle prime esecuzioni pubbliche, come eccessivamente “futurista”. La partitura risultò poi dispersa e forse anche bruciata negli anni della rivoluzione e della guerra, Prokof’ev la ricostruì, a memoria, una decina d’anni dopo la creazione. C’è il forte sospetto che la ricostruzione sia stata addomesticata per ovviare a quanto ne aveva segnato il fallimento originario. L’autore, oltre che nella composizione, eccelleva nella tecnica pianistica e concepì quindi l’opera in modo funzionale per poterla eseguire lui stesso, mettendosi a disposizione una scrittura virtuosistica spettacolare che lo promuovesse per ulteriori commesse ed esibizioni. Jan Lisiecki, con tecnica e sensibilità straordinarie, ha catturato l’interesse ed ha suscitato l’entusiasmo del pubblico, coadiuvato anche dal fascino giovanile di una figura slanciata ed elegante. L’intesa con Urbański, confermata da precedenti incontri professionali, anche in sala di registrazione, pare perfetta. Il maestro si volge sovente al solista per cercarne l’accordo nei punti focali e gli lascia assoluta libertà di fraseggio nei molti tratti in cui è il pianoforte a condurre il cammino. Due lunghissime cadenze solistiche esaltano ulteriormente la tastiera. Non ci sono pause romanticheggianti o meditative ma, ugualmente, il pianista evita un’esecuzione eccessivamente percussiva privilegiando giocosità e vivacità dello spartito. L’esito, viste le premesse, non poteva che essere travolgente e vincente. Paolo Borciani, il grande primo violino del Quartetto Italiano, in un suo libro/manuale degli anni ’70, raccomandava assertivamente “è buona norma annunciare l’opera … che si esegue fuori programma”, accadendo ciò molto di rado, si diffonde nel pubblico la distrazione per le incertezze collegate al “totobis”. Lisiecki non annuncia il suo che, se per alcuni, fin dalle prime note, è il ben conosciuto Preludio op.23 n.5 di Rachmaninov, per altri moltissimi rimarrà non identificato a vita, niente registrazione RAI della serata, quindi niente RAIPLAY e Susanna Franchi a sciogliere l’enigma. Come per il Concerto, Lisiecki fa miracoli e quindi: applausi scroscianti ! Krzysztof Urbański sconcerta una buona parte del pubblico per il taglio che dà alla Quarta sinfonia di Čaikovskij. Pare infatti concentratissimo sulla bellezza del particolare ed assolutamente disinteressato al quadro complessivo. Il gesto, manifestamente autocompiaciuto, teatrale e modellato con bruschezza contrasta con il suono soffuso degli archi, quasi un soffice sfondo per legni e ottoni. Pare si tratti non di una sinfonia ma di un concerto-grosso barocco. Non sono balalaike contadine quelle pizzicate nello Scherzo, ma eleganti e discreti mandolini da posteggiatore. L’estetica e l’eleganza dominano per tutta l’esecuzione e i colpi di grancassa sono istantanee sorprese da fiera e lasciano momentaneamente Fato e Destino fuori dal recinto. Il pubblico, forse decimato dal maltempo, applaude.