Roma, Teatro Sala Umberto
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE
Di Luigi Pirandello
drammaturgia Francesco M. Asselta, Michele Sinisi
regia Michele Sinisi
aiuto regia in scena Nicolò Valandro
con Stefano Braschi, Marco Cacciola, Gianni D’Addario, Sara Drago, Marisa Grimaldo, Stefania Medri, Donato Paternoster, Marco Ripoldi, Michele Sinisi, Adele Tirante
scene Federico Biancalani
assistente alle scene Elisa Zammarchi
Direzione tecnica Rossano Siragusano
Con il contributo di NEXT-Laboratorio delle Idee & Festival Castel dei Mondi di Andria
Produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
Roma, 29 Febbraio 2024
E’ trascorso un secolo e quei sei protagonisti persistono, avvolti nel loro limbo tra le quinte e la platea, suscitando interrogativi che s’intrecciano al cuore stesso del teatro, schiudendo riflessioni ancora irrisolte. Era il 9 maggio 1921, nel solenne scenario del Teatro Valle di Roma, quando si consumava l’esordio di “Sei personaggi in cerca d’autore”, capolavoro di Luigi Pirandello. In quell’epoca, l’autore siciliano destava più clamore come drammaturgo, che non come mero scrittore, conferendo primato alla magia dell’interpretazione teatrale rispetto alla fredda pagina scritta. Nel nucleo di questa opera mastodontica, una famiglia in frantumi s’inchinava dinanzi a una compagnia teatrale in prova, ambendo a vedere manifestata la propria tragedia sui tavoli del palcoscenico. E sebbene la struttura drammatica brillasse di maestria per gran parte dell’opera, Pirandello inciampava lievemente nella fase conclusiva, ma il tema centrale persisteva immutato: il passaggio dalla finzione alla realtà, ossessione autoriale intrisa di profonde sfumature filosofiche. Fu in quel momento che un’onda di sconcerto si scagliò tra gli spettatori, alcuni dei quali, forse turbati nell’animo, abbandonarono la sala esclamando “Manicomio! Manicomio!”. E furono necessari quattro anni affinché Luigi Pirandello consegnasse al pubblico una prefazione essenziale, un tentativo di rischiarare le nebbie che avvolgevano la genesi e le forme dell’opera. Tuttavia, queste spiegazioni furono digerite, assimilate e talvolta impropriamente reinterpretate dalla scena teatrale contemporanea, rimanendo materiale di discussione e interpretazione ancora oggi. Michele Sinisi, con sincero ardore intellettuale e determinazione, si assume l’onere di rendere attuali e rilevanti i temi universali di quest’opera attraverso un linguaggio teatrale attuale, ma anche personalissimo. Nel Teatro Sala Umberto, regista e attori si muovono con disinvoltura tra gli spettatori e il palcoscenico, tessendo un’atmosfera di convivialità e familiarità. Sulla scena, un tavolo con un computer funge da epicentro per la selezione di playlist musicali da YouTube e la proiezione di immagini e testi, plasmando un’ambientazione multimediale dinamica e cangiante. Nel contempo, lo scenografo Federico Biancalani si dedica con zelo alla realizzazione di una gigantesca scarpa da tennis, un elemento scenografico che aggiunge un tocco contemporaneo e familiare all’intero contesto, e che acquisirà un significato chiaro e pregnante nel corso dello spettacolo. Eppure, questo stravagante equilibrio viene immediatamente scosso quando Stefano Braschi, emerge dal pubblico, rivelando la sua identità di Capocomico. Gli attori così, in un balletto di identità sfaccettate, si scambiano ruoli, confondendo i confini tra finzione e realtà, coinvolgendo attivamente la platea attraverso l’interazione sui social media e l’ingresso di ospiti a sorpresa. La performance si trasforma in una sorta di dispositivo aperto, flessibile, in grado di adattarsi e di evolversi grazie alla partecipazione attiva del pubblico. Tutto sembrerebbe funzionare sennonché l’approccio di Sinisi sembra arrestarsi alla superficie, senza penetrare in profondità nei temi proposti, lasciando gli spettatori smarriti di fronte a dichiarazioni d’intenti ambiziose ma poco chiare. Lo spettacolo improvvisamente si configura come un turbine di creatività sfrenata e senza proiezione, dove idee, segni e linguaggi si scontrano e sovrappongono, molto spesso offuscando lo spettatore. La presenza ingente di attori, seppur dotati di grande talento, appare squilibrata, con ruoli poco bilanciati e quel caos iniziale, con le riprese video e il trambusto dei cameramen, che rappresenta un’esperienza teatrale che cerca di immergere il pubblico in una realtà caotica, rischia di soffocarlo invece di coinvolgerlo. Le trovate sceniche, come l’introduzione di DJ, cantanti e personaggi vari, sembrano accumularsi senza un fine preciso, annullandosi reciprocamente anziché contribuire alla coesione dell’opera. E sebbene si viaggi attraverso una molteplicità di temi, dalla tecnologia alla tragedia umana, dalla vita quotidiana alla cultura popolare, questa ricchezza rischia di disperdersi senza trovare un filo conduttore chiaro. Le performance degli attori oscillano tra momenti di grande intensità e altri più pacati. Le immagini sul megaschermo sfrecciano: bocca di coccodrillo, scimpanzé allo specchio, il volto dolorante della Madonna al lamento di una madre sofferente, il corpo della bambina annegata, il discorso sulla pandemia Covid 19. L’introduzione di voci fuoricampo e cammei di personaggi esterni alla compagnia fissa aggiunge ulteriore complessità alla narrazione, rischiando di confondere anziché di chiarire. Infine, sul palco, al gran finale, il pubblico è chiamato a fare una scelta cruciale, selezionando tra tre contenitori, ciascuno custode dell’urlo disperato di una madre che ha perso un figlio in circostanze tragiche. Tuttavia, al momento della svelatura, nessun grido squarcia l’aria, poiché ogni spettatore può essere l’artefice del proprio destino, poiché, alla fine, l’unica direzione possibile è quella che emerge dalla soggettività, dall’esperienza individuale. E così, la mancanza di coerenza in questo gioco può essere interpretata come un caos irrazionale di suggestioni o come una ragionevole allegoria dei nostri tempi, mentre il carattere contraddittorio può essere frutto di una dialettica efficace o di un eccesso di elementi mal gestiti. L'”infinita rifrazione” potrebbe essere l’unica spiegazione plausibile o un escamotage narrativo sconsiderato. In un’epoca come la nostra, dominata dalla riproducibilità digitale, ci troviamo di fronte a interrogativi cruciali: dove giace la realtà e dove risiede la dimensione virtuale? È forse concepibile che l’immagine digitalizzata dell’uomo possa conferirgli un’unicità oggettiva, capace di rappresentarlo pienamente nella società contemporanea? È proprio questo il nucleo dell’interpretazione che Sinisi propone con “Sei personaggi in cerca di autore”? Il pubblico applaude, captando il messaggio e, anche quando non riesce a comprendere appieno, applaude comunque, come segno di apprezzamento verso gli attori e la regia, in un gesto di partecipazione più che di completa comprensione. PhotoCredit @LucaDelPia. Qui per tutte le informazioni.