Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman, Stagione 2023 2024
“ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE” (MURDER IN THE CATHEDRAL)
di Thomas Stearns Eliot
regia Guglielmo Ferro
Con Moni Ovadia, Marianella Bargilli
e con Agostino Zumbo, Alice Ferlito, Viola Lucio, Rosario Minardi, Pietro Barbaro, Giampaolo Romania, Giovanni Arezzo, Plinio Milazzo, Giuseppe Parisi
musiche Massimiliano Pace
scene Salvo Manciagli
costumi Sartoria Pipi
Produzione ABC produzioni in collaborazione con Teatro Quirino di Roma
Roma, 13 Febbraio 2024
“Debbo io, che tengo le chiavi Del cielo e dell’inferno, solo supremo in Inghilterra, Che lego e sciolgo, con il potere del Papa, Abbassarmi a desiderare un potere più meschino? Delegato a lanciar la condanna della dannazione, Condannare i Re, non servire fra i loro servitori, È mio chiaro ufficio.” (T.S.Eliot, Murder in the cathedral)
Il capolavoro di Eliot del 1935, ispirato dall’assassinio dell’Arcivescovo di Canterbury Thomas Becket nel 1170, ci trasporta nel cuore delle tragedie antiche con una struttura drammatica che promette eventi misteriosi e terribili. Con un’unica figura centrale, Becket stesso, alle prese con il suo tormento interiore di fronte alla morte imminente, e cori di sacerdoti, tentatori, cavalieri e donne di Canterbury che agiscono come voci della sua coscienza, questa rappresentazione offre un’esperienza teatrale avvincente. L’azione scenica è essenziale, concentrandosi sul crescendo drammatico e lasciando spazio alla contemplazione della sofferenza, al dibattito psicologico e all’evocazione di parole ed immagini potenti. Questo dramma, carico di significati politici, si staglia come una critica sfumata ma potente contro i regimi autoritari del suo tempo, soprattutto nell’era in cui il fascismo guadagnava terreno in Europa centrale. Nato dall’assassinio dell’Arcivescovo Thomas Becket avvenuto nella Cattedrale di Canterbury nel lontano 1170, si trasforma in una metafora poetica che sfida apertamente il regime nazifascista, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto con la Chiesa cattolica. Becket viene ucciso da quattro cavalieri al servizio del re Enrico II d’Inghilterra, ma la diretta responsabilità del sovrano non è mai stata provata, poiché sembra che i quattro abbiano agito per propria iniziativa. Diviso in due parti separate da un interludio, il dramma si svolge in modo quasi rituale, con un coro che richiama i modelli del teatro greco e con un discorso centrale che assume la forma di un’omelia pronunciata dall’arcivescovo poco prima del suo assassinio. Questo allestimento si distingue per il suo straordinario fascino emotivo e creativo, ponendo poca enfasi sulle aggiunte musicali o di costume e quasi ignorando la ricostruzione storica in favore di una ricerca più profonda nei recessi dei nostri timori più oscuri, quelli che da sempre ci accompagnano tra terra e cielo, tra materia e spirito, tra tempo ed eternità. Nel suggestivo scenario di questo spettacolo teatrale, infatti, la scena si presenta essenziale: gli attori, vestiti con abiti d’epoca, sono gli unici a popolare il palcoscenico, trasportandoci immediatamente in un preciso contesto temporale. L’impianto scenico ideato da Salvo Manciagli ci avvolge in un classico intreccio di archi gotici, dove volute e rosoni si intrecciano creando un’atmosfera drammatica e suggestivo. E’ però grazie alla magia delle luci che lo spazio prende vita: esse conferiscono profondità al palco, espandendo o restringendo gli ambienti a seconda delle necessità, e aggiungono un tocco di verticalità ai momenti più intensi e lirici, creando un corridoio privilegiato per i versi recitati, dove le emozioni si esprimono con tutta la loro potenza. Il dramma di Thomas Stearns Eliot vede Moni Ovadia e Marinella Bargilli come protagonisti, sotto la sapiente direzione di Guglielmo Ferro. Moni Ovadia si cala nel ruolo con il canto struggente dell’eroe inglese attraversato dalla fede cristiana. Si tratta del lamento profondo di un uomo diviso tra la rinuncia e l’incarnazione del Cristo, tra il desiderio di potere e la fede incondizionata in Dio. L’interpretazione di Moni Ovadia ha dato nuova luce a un’idea già affascinante: quella di un attore ebreo che si immedesima nel ruolo di un cristiano assassinato. L’eroismo, espresso attraverso questa dualità tra l’uomo comune e l’uomo di chiesa, ha raggiunto vette emozionali, soprattutto durante uno splendido intermezzo in cui un sermone toccante e attuale ha descritto la ricerca eterna e drammatica della pace divina e umana, una ricerca che per molti ancora oggi rimane insoddisfatta. La bravissima Marinella Bargilli, invece, offre una doppia interpretazione: quella di una Corifea e del Quarto Visitatore, ovvero il Demonio. Nel doppio ruolo del coro e della tentazione, infatti, si manifesta un’anima irrazionale, nutrita da sensazioni viscerali e enigmatiche. La scelta del regista di affidare questo complesso ruolo alla straordinaria attrice toscana non è casuale, poiché solo una donna in grado di bilanciare sensibilità e razionalità avrebbe potuto interpretare con successo questa dimensione liminare. Il resto del cast ha brillato sul palcoscenico, con particolare rilievo per le performance di Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Rosario Minardi nei rispettivi ruoli di tentatori. Il pubblico ha risposto con calorosi applausi, riconoscendo l’impegno e il talento degli attori. Qui per le altre recite.