Roma, Teatro India: “Fratellina” di Spiro Scimone

Roma, Teatro India
FRATELLINA
di Spiro Scimone

tratto da Soli al Mondo, presentazione di Jean-Paul Manganaro
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
In collaborazione con Istituzione Teatro Comunale Cagli
produzione Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Scimone Sframeli
Roma, 18 Febbraio 2024
“Noi, adesso, come grazia, vorremmo avere un semplice tocco…vorremmo avere un tocco leggero, come una carezza” (da “Fratellina”)
In un palcoscenico sospeso tra il reale e l’assurdo, due anime erranti, Nic e Nac, si risvegliano in un mondo sconvolto dai colpi drammatici del destino. Dai confini di due grandi letti a castello, osservano con occhi sgomenti la commedia umana che si dipana davanti a loro. Desiderosi di un riscatto, sognano una realtà che risplenda dei veri valori dell’umanità, ormai perduti nell’oblio dei tempi. Ecco che l’incontro con Fratellino e Sorellina, tra risate scomposte e paradossi sferzanti, diviene l’antidoto contro l’ansia e la disperazione che li assediano. In questo teatro della vita, tra le pieghe della commedia e del tragico, trovano la forza di ridere di sé stessi e delle loro fragilità, abbracciando l’ironia come baluardo contro il naufragio dell’anima. E così, tra il denunciare le miserie umane e l’abbracciare la bellezza delle piccole cose dimenticate, Nic e Nac danzano sulla corda tesa della vita, con la speranza di ritrovare la luce che illumini il loro cammino smarrito. La Compagnia Scimone Sframeli è nota per il suo stile di scrittura unico, caratterizzato da dialoghi vivaci e densi di riferimenti e modi espressivi che si sono radicati nell’immaginario collettivo degli spettatori nel corso degli anni. Opere come “Nunzio”, “Bar”, “Pali”, “Giù” e “Amore” hanno accompagnato il pubblico sin dal 1984, offrendo un racconto continuo che richiama le atmosfere di Samuel Beckett e il realismo magico, con un mondo al margine della società, ma mai giudicato con sufficienza da Spiro Scimone e Francesco Sframeli. La loro visione è permeata da una dolcezza infinita, punteggiata da momenti di grottesca autoironia, richiamando persino i toni pasoliniani de “La terra vista dalla luna”. Il loro lavoro, “Fratellina“, presentato al Teatro India Di Roma, non fa eccezione. Il palcoscenico si trasforma in un mondo derelitto, diviso in due parti, ricreato con la consueta semplice grazia da Lino Fiorito. Qui incontriamo Nic e Nac, i protagonisti che decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca di un luogo dimenticato, dove le cose perdute possano essere ritrovate. Durante il loro percorso, Nic e Nac si imbattono in Fratellino e Sorellina, anch’essi confinati su due letti a castello. Fratellino, interpretato da Gianluca Cesale, e Sorellina, interpretata da Giulia Weber, fungono da contraltare, manifestando un desiderio costante di esistere attraverso il continuo richiamo reciproco dei loro nomi. Nonostante la loro apparente ritrosia e l’autoisolamento, anche Fratellino e Sorellina si confrontano con sentimenti di inadeguatezza e repulsione verso se stessi, rivelando una profonda umanità. Sono esseri respinti dal mondo esterno, desiderosi di essere accolti e amati, ma costretti a confrontarsi con la propria fragilità e l’impossibilità di realizzare pienamente i loro desideri. L’arrivo improvviso di un vecchio armadio, misteriosamente riapparso e con un uomo intrappolato al suo interno, potrebbe essere il colpo di scena che cambierà per sempre il destino dei protagonisti: Nic, Nac, Fratellino e Sorellina. O forse saranno le semplici carezze che potranno scambiarsi reciprocamente a segnare la svolta nelle loro vite? Qualunque sia la risposta, l’importante è che possano finalmente uscire e guardare di nuovo le stelle, quelle autentiche. Le scene curate da Lino Fiorito  compongono l’ambientazione dello spettacolo, un raro arcipelago di suggestioni minimaliste che si riflette nei dialoghi essenziali tra Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale e Giulia Weber. Le performance dei quattro attori , infatti, sono un vero spettacolo per gli occhi e per l’anima, con un gioco serrato e impeccabile nei tempi, arricchito da risposte che possono sembrare superficiali ma che nascondono un’intensità bruciante. Nella messa in scena, le luci curate da Gianni Staropoli assumono un ruolo cruciale nel delineare la realtà dei personaggi, proiettandoli in un’atmosfera diffusa di chiarezza che non lascia spazio per zone oscure, ma in cui le sfumature di ombra sono sempre in agguato. La metafora del sole di cartapesta e della falce di luna sbilenca serve a rafforzare il tema centrale della ricerca di una realtà alternativa, da raddrizzare come la luna stessa. La rappresentazione, pur nella sua apparente semplicità, si muove con maestria nelle atmosfere di Beckett e Kafka, svelando una profondità inesplorata. Nonostante la scarna trama dei dialoghi, è proprio il vuoto e ciò che non viene esplicitamente detto a trasmettere una ricchezza di significati: un accenno fugace alla prigionia del cognato rivela l’esistenza di una forza antagonista, ponendo lo spettatore nell’orbita della distopia. Il disinteresse meticoloso dei personaggi nel confrontarsi con queste forze latenti, tacitamente accettate come inevitabili, trasforma la quarta parete in uno specchio improvviso in cui ci si ritrova a contemplare la propria immagine riflessa solo dopo un istante di riconoscimento. Le tematiche di isolamento, ricerca di realtà alternative e conflitto tra apparenza e realtà hanno affascinato il pubblico, offrendo un’esperienza teatrale che va al di là della superficie per toccare le corde più profonde dell’animo umano. Da non perdere. PhotoCredit Gianni Fiorito. Qui per le altre date.