ParmaDanza 2024: “Rhapsody in Blue”

Teatro Regio di Parma, ParmaDanza 2024
“RHAPSODY IN BLUE” – CCN/ATERBALLETTO
“YELED
Coreografia e musica Eyal Dadon
Pianoforte Samuel van der Veer
Scene e luci Fabiana Piccioli
Costumi
Bregje van Balen
produzione CCN, Teatro Regione, Ambasciata di Israele
“RHAPSODY IN BLUE”
Coreografia Iratxe Ansa, Igor Bacovich
Musica George Gershwin e Bessie Jones
Scene e costumi Fabio Cherstich
Luci Eric Soyer
Prima assoluta
“SECUS”
Coreografia Ohad Naharin
Musiche di Autori Vari
sound design ed editing Ohad Fishof
Costumi Rakefet Levy
Luci Avi Yona Bueno
Parma, 17 febbraio 2024
Insomma c’è quella cosa che ti aspetti e sei sempre accontentato quando assisti alle performance del Centro Coreografico Nazionale Aterballetto. Il fatto che la compagnia non manca mai di lasciarti impressa negli occhi la meraviglia dei colori dei costumi dei suoi balletti. Non c’è coreografia che non sia una tavolozza, o meglio un “pantone” di tonalità, alle volte marcate, altre sfumate, dal pennarello al pastello: un insieme di grafica del movimento e dosaggio delle luci. Già questo è spettacolo che entusiasma, e il pubblico del Regio, esigente e competente, non ha mancato di esprimere gratitudine con prolungati applausi. In “Yeled” una porticina apre al mondo dell’infanzia; il luogo che conserviamo dentro di noi, che non è esattamente abitato dal fanciullo che per Giovanni Pascoli sa meravigliarsi delle cose, ma uno spazio-tempo in cui guardiamo a come abbiamo appreso ciò che siamo. Per l’israeliano Eyal Dadon, il bambino (yeled, in ebraico) è un’entità che porta con sé ciò che impara e lo forma, negli atteggiamenti e nelle relazioni. In scena, contrapposta al pertugio sta la porta che dà sulla vita adulta; un’apertura dalla quale entrano i nostri sguardi nostalgici e indagatori. Ciò che vediamo dentro questo spazio scenico, che il sottofondo musicale carica di aspettative, sono gesti: il braccio col pungo chiuso, qui inteso come simbolo di forza e sfida, i musi lunghi, gli sberleffi e le interminabili urla di pianto, ma anche rappresentazioni di reminiscenze, quando la TV ci faceva da baby-sitter, per cui i danzatori si raggruppano a (ri)comporre ciò che all’interno delle porte degli armadi appiccicavamo: i ritagli dei giornaletti per ragazzi a creare una sorta di totem dei nostri miti. Poi se vogliamo, in “Rhapsody in blue” ritroviamo ancora questo spirito triste ma agitato, introverso ma altruista del fanciullo, stavolta “recitato” in musica dall’inconfondibile sinfonia di Gershwin. Quel celeberrimo assolo iniziale di clarinetto (agitazione) che viene accolto da un’orchestra di archi (tristezza) e di seguito da un potente fraseggio sincopato di pianoforte (introspezione), che si evolve in un via vai di alti e bassi, moderati e veloci (altruismo), fino all’epico ensemble finale. Sul palco 16 ballerini riproducono pedissequamente l’espressionismo lirico di quest’opera, con composizioni coreografiche molto plastiche e astratte, affatto minimaliste, che in alcuni momenti assomigliano ai veloci movimenti dei martelletti del pianoforte. Quel cerchio luminoso che sovrasta la scena e abbaglia, cambiando colore, è il punto statico di Kandinsky e i danzatori, che sotto di esso si agitano in controluce, non sono che la manifestazione dei nostri stati d’animo: costume giallo per la rabbia, rosso per la forza, blu per la tranquillità (che per Gershwin è “Blues”, per la sonorità). Tuttavia, dal bellissimo booklet per la stampa, apprendiamo che il disco luminoso di “Rhapsody” è ispirato alle opere di Olafur Eliasson, un artista danese-islandese, in cerca di connettere l’uomo e la natura, famoso per le istallazioni permanenti in luoghi pubblici (Bilbao). Infatti, tutta questa coreografia ha un gusto ancestrale: un’ominazione del comportamento, che è il processo evolutivo della nostra psiche, dall’infante all’adulto. L’impegno sociale dei coreografi, la coppia Iratxe Ansa e Igor Bacovich, è tutta svelata, anzi offerta, anzitempo alla prima del Regio, con una dimostrazione aperta agli allievi delle scuole di danza, in omaggio a ParmaDanza. Chiude “Secus” creato da Ohad Naharin per la Batsheva Dance Company, qui riallestito dalla compagnia di Reggio Emilia. Un prezioso e ricco potpourri di virtuosismi tecnici su un martellante mash-up techno, tra cui spicca per bellezza ed eleganza un duo maschile, quest’ultimo accompagnato dal melodico “Na Tum Jano Na Hum” (dall’Hindi: “né tu né io lo sappiamo”) di Lucky Ali. Vera meraviglia per l’azzardo delle prese possenti, alternate a slanci a peso morto: quando la fiducia nell’altro va oltre l’intesa di coppia, ma giustamente risiede nell’aiuto solidale al cospetto delle avversità. Foto Christian Bernard