Il ritorno di Juraj Valčuha con l’orchestra RAI

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Juraj Valčuha
Pianoforte Dmytro Choni
Johannes Brahms:Concerto per pianoforte e orchestra in re minore n.1 op.15; Robert Schumann: Sinfonia n.2 in DO Maggiore op.61.
Torino, 22 febbraio 2024
Il rapporto artistico di Schumann con Brahms potrebbe essere assimilato a quello tra Johan Sebastian e Carl Philip Emanuel Bach, una continuità nell’evoluzione stilistica, se non ci fossero di mezzo, a renderlo meno lineare, altre ardite complicazioni dei rapporti interpersonali. Il primo concerto per pianoforte dell’amburghese è comunque strettamente connesso a “casa Schumann”. In origine c’erano gli abbozzi, gli sforzi, lo studio per completare una prima sinfonia che lo collegasse, lui ventenne, ai miti della musica germanica. Quattro anni di gestazione e di travagliate versioni alternative, con un parto sempre più dilazionato, lo convincono, o forse lo convince la grande pianista e (non solo) amica Clara Wieck-Schumann, la moglie di Robert, a metamorfizzare le pagine in un Concerto per pianoforte e orchestra. Vi rimane comunque, anche nella versione definitiva, soprattutto nel primo movimento Maestoso, il marchio sinfonico che, grazie ad un’orchestra con un percorso ben sviluppato, lascia spazi risicati all’estroversione del solista. Il pianista riconquista una certa centralità nei successivi Adagio e Rondò, ove condivide equamente il primato coi colleghi alle sue spalle. Anche in questa esecuzione, con la sempre eccellente Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, sotto la guida dell’amatissimo, in città, Juraj Valčuha, non è stato facile per il giovane pianista ucraino Dmytro Choni emergere. Nel primo tempo, valanghe di suono orchestrale gli incombevano possenti sulla tastiera. Emerso e rassicurato nell’Adagio mediano, trovandovi nella sua elegante classicità terreno propizio, ha poi brillato con divertita vivacità nel finale Rondò. Choni non era il pianista originariamente designato e ha sostituito, in ultima istanza, il titolare indisponibile. Si dice che sia la chiamata che il programma fossero per lui una sorpresa; se così fosse: diventano giustificabilissime le inevitabili timidezze e cautele iniziali. Al solista si richiede sempre un bis e Choni non vi si è sottratto eseguendo un brillante, salottiero e incantevole “Bel Danubio blu” di Strauss, in una trascrizione per pianoforte, con variazioni allegate, del non notissimo Adolf Schulz-Evler. Dita magiche, souplesse da atleta ed eleganza da dandy hanno scatenato applausi rivelatisi purtroppo inefficaci a costringerlo a un desiderato secondo “encore”. Ci si augura che, dopo questa rottura del ghiaccio, si trovi, nelle società musicali della città, chi di Dmytro Choni promuova un ritorno, meglio se con un programma solistico. Durante i sette anni in cui Valčuha è stato il Direttore Principale dell’OSN RAI, il pubblico torinese, oltre ad apprezzarne la profonda intesa con l’Orchestra, ha sempre ammirato le brillanti esecuzioni di musiche genericamente slave o comunque defilate dal classicismo austro-tedesco, nutrendo sulla resa di queste ultime delle caute riserve. I dubbi si ripresentano ora con la seconda sinfonia di Schumann in programma. Tra la Turingia di Schumann e la Slovacchia di Valčuha non c’è poi una grande distanza per cui potrebbe essere ritenuto non del tutto ingiustificato il volgersi più al colore orchestrale che alla struttura della forma, come appunto si trova nell’interpretazione di Valčuha. Anche in Schumann la vena melodica popolareggiante convive con l’accademismo formale e la ricerca d’altre strade che contemplino paesaggi venati da abbandoni e da turbative psicologiche. Grazie ad un’Orchestra che ormai ci siamo abituati a sentire sempre sopra le righe, sia per maestria tecnica che per bellezza di suono, la sinfonia si dispiega su pagine di splendore fonico, con melodie sia accennate che messe in bell’evidenza. Corni e legni fissano un clima, colto appieno da Valčuha, di racconto romantico che ben sopporta la messa in secondo piano dell’architettura formale della sinfonia. Spigliatezza e facilità esecutiva tengono il campo e promuovono questo accostamento disinibito che mai denuncia quelle debolezze di orchestrazione che un tempo venivano attribuite all’opera sinfonica schumanniana. Il buon successo era scontato e così è stato, senza indecisioni. Il numeroso pubblico ha espresso soddisfazione ed apprezzamento applaudendo con entusiasmo sia l’orchestra che le sue prime parti e, con rinforzata intensità, il Maestro Valčuha.