Roma, Teatro Vascello
PROCESSO GALILEO
di Angela Demattè e Fabrizio Sinisi
drammaturgia di Simona Gonella
regia Andrea De Rosa, Carmelo Rifici
con Luca Lazzareschi, Milvia Marigliano
e con Catherine Bertoni de Laet, Giovanni Drago, Roberta Ricciardi, Isacco Venturini
scene Daniele Spanò
costumi Margherita Baldoni
progetto sonoro GUP Alcaro
disegno luci Pasquale Mari
una produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura, Emilia Romagna Teatro ERT, Teatro Nazionale
Roma, 19 Gennaio 2024
“Processo Galileo,” opera firmata da Angela Dematté e Fabrizio Sinisi, incanta il Teatro Vascello in un coinvolgente lavoro nato dalla collaborazione a quattro mani dei due autori. Un pregievole lavoro che s’erge, con elegante armonia, dalla collaborazione a quattro mani dei due drammaturgi e due registi Andrea De Rosa e Carmelo Rifici germinata in risposta all’oscura esperienza pandemica. In questo suggestivo dramma, Dematté e Sinisi intrecciano le trame delle loro ricerche sul rapporto tra l’umano e la scienza, trasmutando una casuale concomitanza in una sperimentazione teatrale di straordinaria innovazione. La scena teatrale si dipana narrando con maestria l’abiura dello scienziato, interpretato con intensità da Luca Lazzareschi, e le intricate vicende di Virginia, figlia di Galileo, magistralmente incarnata da Roberta Ricciardi, e dell’allievo Benedetto, delineato con vividezza da Giovanni Drago. Essi, con fervore e drammaticità, implorano l’autore de “Il saggiatore” di piegare la mente davanti alla rigida Santa Inquisizione. Il racconto storico dello scienziato si intreccia sapientemente con la trama di Angela, interpretata con vibrante profondità da Catherine Bertoni de Laet. Angela, immersa in una ricerca su Galileo, si trova a confrontarsi con la morte della madre, personificata con toccante grazia da Milvia Marigliano. Questo dialogo commovente tra ragione e fede, tra la visione razionale della figlia e il desiderio materno di persistere nella fede in Dio, aggiunge uno strato di profondità emotiva all’opera. A completare il quadro scenico, emerge la figura di un sorta di rivoluzionario, incarnato con efficace verve da Isacco Venturini. Proveniente dalle radici del luddismo e riverberante fino ai moderni attivisti il personaggio grida e canta la ribellione alla logica funzionale della tecnica e alla sua potenza autogenerante. Tale presenza scenica conferisce un tocco di contemporaneità e attualità, incanalando il fervore ribelle attraverso il tempo, dal passato remoto alle voci attuali di protesta. Così, in un intricato intreccio di storia e contemporaneità, “Processo Galileo” si erge come un affascinante panorama teatrale, in cui le sfumature delle emozioni umane si intrecciano con le sfide epocali della scienza, della fede e della rivolta contro il potere tecnologico. Le tre parti del dramma si dispiegano come un affascinante mosaico, sorprendendo lo spettatore, che viene trasportato con impetuoso balzo temporale dal XVII secolo ai giorni nostri, dall’Inquisizione agli eventi che scandiscono la contemporaneità. Sulla scena, creata con l’arte di Daniele Spanò e abilmente illuminata da Pasquale Mari, si staglia un panorama che rapisce l’attenzione con la sua suggestione visiva. La terra, fisicamente in scena, concreta e avvolgente nelle mani e nello sguardo degli attori, diviene il simbolo tangibile dell’evoluzione biologica, mentre una Terra più astratta si offre alle mani e agli occhi come un invito a perdersi, seguendo il corso dell’immaginazione e delle invenzioni umane (terra/Terra). I due paesaggi, uno sospeso in basso e l’altro dominante in alto, fungono da estremi entro i quali l’umanità si riconosce e si misura di fronte all’infinito dell’universo. La scena si anima con l’introduzione di strumenti ottici, dove il microscopio si erge a sfidare la supremazia del celebre cannocchiale di Galileo. Quest’ultimo, strumento rivoluzionario, avvicina l’osservatore al cuore del cosmo, portando con sé non solo il timore reverenziale di fronte all’ignoto, ma anche il desiderio ardente di superare ogni limite imposto dalla natura stessa. Il piano in legno dunque, con i suoi rialzi, non è soltanto un elemento scenico, ma un metaforico percorso costellato da ostacoli da superare, rappresentativi delle sfide che l’umanità deve affrontare nel suo continuo cammino. A definire l’area superiore del palcoscenico, con una maestria visiva incisiva, si impone l’efficace illuminazione di Pasquale Mari. Con una chiarezza lampante, l’illuminazione scenica si fa protagonista nel mettere in risalto l’intento di gettare una “luce” penetrante sull’intreccio complesso tra scienza e potere. Questa relazione intricata si sviluppa in trame tutto fuorché lineari, e la luce si erge a guida e metafora, diffondendo la sua chiarezza nei tortuosi meandri che legano l’indagine del sapere alle complesse dinamiche del potere. La regia di De Rosa e Rifici si amalgama con reciproca curiosità, mantenendo tratti distintivi e bilanciando con maestria la relazione tra gli attori e il sofisticato progetto sonoro di G.U.P. Alcaro. Quest’ultimo si muove dall’amplificazione dei suoni naturali nella prima parte a una rielaborazione computerizzata nella seconda, contribuendo a creare un’esperienza teatrale coinvolgente e multisensoriale. Luca Lazzareschi si erge come figura cardine in “Processo Galileo,” catturando l’attenzione con la sua presenza imponente e sfaccettata. Accanto a lui, Milvia Marigliano, impegnata in diversi ruoli, si distingue per la sua straordinaria intensità, completamente immersa nello spettacolo e coinvolgente in modo straordinario. Attorno a questi due protagonisti, un gruppo di giovani attori di incredibile talento si muovono come punte di una stella, dirigendo la luce nel cuore drammaturgico e contribuendo così a plasmare la narrazione con grande incisività. Il ritmo dello spettacolo è incalzante, nonostante i necessari rallentamenti imposti dai processi di pensiero. Gli abiti di Margherita Baldoni contribuiscono all’atmosfera, sebbene possano suscitare qualche audace sorpresa, come la redingote ruggine indossata dalla Marigliano, che passa dalla figura dell’inquisitore a quella di una madre tra le zolle rielaborando in scena il solo cappotto. Lo spettacolo, seppur non privo di sfide interpretative, si distingue senza dubbio per la sua straordinarietà e la ricchezza di numerosi spunti. Forse dalla nostra stessa oggettiva piccolezza, l’uomo dovrebbe trarre ispirazione per ristabilire una partenza comunitaria e coesa nell’affrontare la vita. L’augurio finale, “Più Luce!” – le ultime parole di Galileo – accompagna gli spettatori nel loro congedo, senza fornire risposte definitive, ma dipingendo appieno la fragilità umana e, contemporaneamente, la sua forza intrinseca derivante dalla curiosità inesauribile e dalla fortuna (almeno teoricamente) di avere il mondo a disposizione . Photocredit Masiar-Pasquali. Qui per le altre recite.