Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
GINGER E FRED
di Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli
Con Monica Guerritore, Massimiliano Vado
e con (in o. a.)
Alessandro Di Somma, Mara Gentile, Nicolò Giacalone,Francesco Godina
Diego Migeni, Lucilla Mininno, Valentina Morini, Claudio Vanni
scenografia Maria Grazia Iovine
costumi Walter Azzini
coreografie Alberto Canestro
light design Pietro Sperduti
regista assistente Leonardo Buttaroni
direttore allestimento Andrea Sorbera
adattamento e regia Monica Guerritore
Roma,16 Gennaio 2024
Nel suggestivo scenario del Teatro Quirino, uno dei capolavori cinematografici di Federico Fellini prende vita grazie all’ adattamento, regia e interpretazione di Monica Guerritore, affiancata da Massimiliano Vado, in “Ginger e Fred”. Questo spettacolo è ispirato alla storia di due iconici ballerini di avanspettacolo, originariamente portati sul grande schermo da Giulietta Masina e Marcello Mastroianni. Un film che, nel 1986, si è aggiudicato ben quattro prestigiosi David di Donatello. La trama ci riporta indietro di oltre quarant’anni, quando Amelia Bonetti e Pippo Botticella, noti con il nome d’arte “Ginger e Fred”, incantavano il pubblico con il loro “tip tap” nei locali di avanspettacolo. Una coppia che, seppur su scala più modesta, incarnava il fascino dei celebri ballerini d’oltreoceano, Fred Astaire e Ginger Rogers. Mentre lei, rimasta vedova in una cittadina del Nord, e lui, vivacchiando al meglio, si erano perduti di vista, la TV nazionale li riporta fortunosamente alla ribalta. Il riavvicinamento avviene in un albergo, trasformato in un frenetico quartier generale televisivo. Qui, Pippo fatica a riconoscere la sua ex-compagna ed amica Amelia, e i due si trovano travolti da una legione di partecipanti al programma natalizio, una variegata miscela di dilettanti, giovani, anziani, imitatori e personaggi bizzarri. Nonostante la loro esperienza e la consueta preparazione, Fred e Ginger, ormai anziani, si ritrovano a malapena a provare i loro passi distintivi. La decisione di Amelia di riproporre il “tip-tap” è guidata dalla volontà di rivedere l’amato Pippo, già abbandonato dalla moglie e affetto dalla malattia. La passione per la performance e il denaro sembrano ora perdere di rilevanza. La tensione cresce mentre i due ballerini, ansiosi ma fiduciosi grazie alla sicurezza di Amelia, si esibiscono sotto i fari abbaglianti dello studio televisivo. Tuttavia, quando il successo sembra certo, la luce improvvisamente si spegne. Nel buio, Pippo propone di abbandonare tutto, considerando l’esibizione patetica e vagamente ridicola. Amelia resiste, la luce ritorna e la coppia conclude il suo numero tra gli applausi. L’epilogo dell’esperienza teatrale vede Pippo accompagnare Amelia alla stazione. Una parentesi turbolenta e affettuosa giunge al termine, con i due che si salutano, forse per sempre: “Perchè Federico ha voluto cos'”. Siamo proiettati in un mondo sospeso nel tempo, dove la scena curata da Maria Grazia Iovine non si sforza di descrivere, ma abilmente allude a un contesto che trascende il presente. Le luci di Pietro Sperduti, deboli e stanche, risplendono come i residui di una festa ormai svanita nel passato nella prima parte dello spettacolo. In primo piano, le insegne di una discoteca riminese, simbolo di notti trascorse in un vortice di musica e movimento. L’Eden Rock, emblema di un’epoca ormai passata, si erge come il palcoscenico di questa vicenda. È qui che Ginger e Fred fanno il loro ingresso, immersi in un ambiente che grida il suo passato con un’eleganza logora. Le luci, una volta sfavillanti, ora proiettano ombre nostalgiche sui personaggi centrali di questa trama. Questo scenario non è solo uno spazio fisico, ma una dimensione emotiva e narrativa. Ginger e Fred, immersi in questo ambiente intriso di storia, portano con sé il peso della conclusione. Il mondo sfavillante e trash della Tv che li accoglie nella seconda parte è un palcoscenico che svela la fine di un’era, una rappresentazione teatrale della nostalgia e della transizione, ma anche di un futuro fatto di supefiacilità, arroganza e improvvisazione. L’eccellenza delle performance è indiscutibile, ma in questo intricato labirinto di scene e dialoghi, il filo conduttore della trama sembra disperdersi a tratti, smarrendo la sua strada in un intreccio troppo fitto ed alle volte non sempre necessario. Monica Guerritore, figura poliedrica che si è fatta carico dell’adattamento, della regia e dell’interpretazione, dimostra una determinazione incommensurabile. Nonostante le avversità che hanno preceduto la prima, tra cui la sostituzione dell’interprete principale a causa di un infortunio, si concede al pubblico con un trasporto palpabile. La sua interpretazione si distingue per la sua moderazione, un’approccio contenuto e, al contempo, intimamente rivoluzionario che cattura immediatamente l’attenzione della sala. Fresco di prove e catapultato sul palcoscenico quasi all’improvviso, Massimiliano Vado viene guidato con maestria dalla regia e dalla collega in scena. Quelle che potrebbero apparire come incertezze si trasformano, grazie alla maestria della regia ed al suo talento chiaramente, in punti di forza che accentuano la fragilità e la tenerezza del personaggio interpretato. I due protagonisti si distinguono non solo nella recitazione, ma brillano anche nei passaggi coreografici curati con attenzione da un impeccabile Alberto Canestro. Quasi totalmente credibile il resto del cast. Fellini, con la sua consueta genialità, derideva il mondo della TV senza sapere, ma forse immaginando, che il peggio, ossia la spazzatura di questi infausti anni catodici, stesse per riversarsi nell’etere. Personaggi mostruosi e stravaganti, sosia, esibizionisti: nulla manca in questo circo mediatico, un misto di inquietante spettacolo e frenetica Babele che inghiotte la realtà, per poi vomitarla sugli schermi, travestendola e interrompendola con la fastidiosa interruzione pubblicitaria. È un bolo disgustoso, pronto ad essere ingerito dallo spettatore affamato di stimoli visivi. In questa dimensione in cui ognuno si sforza di apparire diverso da sé, coloro che si trovano davanti alle telecamere rinunciano alla propria autenticità, indossando i costumi del Personaggio. Diventano una sorta di pasto scadente, cucinato per lo spettatore inconsapevole, desideroso di divorarlo avidamente. La televisione si trasforma così in uno specchio distorto, in cui la realtà si piega ai capricci dei personaggi mediatici, creando uno scenario caotico e surreale che si dipana attraverso gli schermi, pronto a inghiottire chiunque si avvicini con la sua inesorabile frenesia. Il pubblico, caloroso e partecipe, non ha esitato a consacrare un trionfo personale a Monica Guerritore. Qui per tutte le informazioni.