Roma, Teatro Argentina: “Clitennestra” da “La Casa dei nomi “di Colm Tòibìn

Roma, Teatro Argentina
CLITENNESTRA

da La casa dei nomi di Colm Tóibín
adattamento e regia Roberto Andò
con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo
Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku, Anita Serafini
coro Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche e direzione del coro Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
coreografie Luna Cenere
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Roma, 10 gennaio 2024
L’ardua impresa di reinventare i classici, ancor più quando si tratta di miti, si presenta come una sfida molto spesso titanica. L’operazione di amplificare ciò che originariamente è sintetico raramente giunge a compimento con successo, e spesso comporta rischi di considerevole portata. La genialità nella penna di Colm Tóibín si dispiega in maniera avvincente e leggera, quasi come gli accenti distintivi di fumettisti che, con pochi tratti, danno vita a mondi magici e con la sua abilità narrativa, riesce a tessere nuove prospettive e interpretazioni dei miti, mantenendo un equilibrio delicato tra innovazione e rispetto per la tradizione. Sa riscrivere gli scenari classici, creando nuovi drammi senza perdersi nei meandri della complessità. Con la penna maneggiata con parsimonia, ma con un impatto straordinario, Tóibín riesce a catturare l’essenza dei numerosi archetipi, rivisitandoli in un contesto contemporaneo senza snaturarne mai la potenza originaria. In questo delicato equilibrio tra antico e moderno, l’autore conferisce nuova vita e significato alle storie tramandate attraverso i secoli, rivelando la sua maestria nel reinventare il patrimonio letterario con un tocco tanto raffinato quanto innovativo. L’arte di Tóibín dona vita a personaggi mitologici così in modi inaspettati. La sua scrittura è un viaggio, una traversata attraverso il misterioso territorio della condizione umana. Con una delicatezza inebriante, incanta gli spettatori, attirandoli nell’incantesimo di un linguaggio che si fa gesto, movimento, vita.
Roberto Andò nell’adattamento teatrale e nella regia ben comprende queste dinamiche e le sposa  con coraggio e senza censure. Nel cuore dell’azione drammatica, Clitennestra emerge inizialmente come vittima del proprio dolore, una protagonista avvolta in una complessità emotiva che si dispiega con forza fin dal primo capitolo. Tuttavia, questa intensità si sgretola quasi istantaneamente, lasciando spazio a un ritratto di madre che si trasforma in una figura sconosciuta. Un’entità potente, ma contaminata negativamente dalle piccolezze dell’amante e da un istinto materno distorto nel corso del tempo. Ciò che svanisce con la stessa rapidità è il panorama immaginifico e simbolico, quello delle figure astratte che di solito orientano la vita terrena e conferiscono significato agli eventi più feroci. Gli Dei, o se preferiamo, la rappresentazione del grande Altro, si eclissa dalla scena, lasciando un vuoto che si fa sentire. Il dramma perde così il suo ancoraggio nel mito e nell’immaginario collettivo, cedendo il passo a una trama terrena intrisa di meschinità e dettagli umani distorti. La lacerazione emotiva iniziale di Clitennestra, che prometteva di essere il filo conduttore di un’epica personale, si dissolve troppo presto, tradendo le aspettative dell’audience che si aspettava di immergersi in un mondo intriso di simbolismo divino. La transizione da una figura dalle sfumature mitiche a una donna di potere delusa e contorta crea una frattura nel tessuto drammatico, trascinando lo spettatore in una realtà terrena e grezza, sprovvista della profondità e della guida simbolica degli Dei. Il palcoscenico, una volta abitato da forze cosmiche e archetipi, si trasforma in un teatro di umanità distorta, priva di riferimenti mitologici. Il risultato è un dramma che perde la sua dimensione epica, relegando la tragedia personale di Clitennestra a una storia di potere e debolezza umana, priva della grandiosità e dell’eternità che solo gli Dei possono conferire. Le luci e le scenografie di Gianni Carluccio, in sintonia con la visione registica, si rivelano non solo esteticamente affascinanti ma anche coerenti con il percorso drammaturgico. La maestria di Carluccio emerge nella capacità di creare ambienti senza tempo, tanto da trasportare il pubblico al di là di una precisa collocazione geografica. L’ universalità del suo linguaggio strutturale agisce come un ponte, distogliendo gli spettatori da contingenti realtà e immergendoli in un mondo teatrale senza confini. La scelta luminosa poi, studiata con cura, non solo enfatizza gli elementi visivi ma si integra armoniosamente con la narrazione. Attraverso anche una magistrale gestione dell’aspetto sonoro e l’impiego di impianti scenici minimalisti e desolati, si crea un’atmosfera che riflette la cecità emotiva di determinati sentimenti narrati. Isabella Ragonese, la talentuosa attrice palermitana, si distingue per la straordinaria capacità di incarnare il suo personaggio con una credibilità che penetra nell’anima, esplorando con maestria ogni sfumatura della disperazione di una madre consapevole della tragica inevitabilità di perdere la propria figlia. Dall’incredulità all’odio cieco, l’interpretazione dell’attrice si distingue per maestria straordinaria. La capacità di mantenere un equilibrio emotivo anche nei momenti più intensi colpisce, e il desiderio di vendetta è reso con forza senza perdere mai di autenticità. Il resto cast si distingue per interpretazioni brillanti, con Ivan Alovisio in primo piano nel ruolo di Agamennone. La sua recitazione, più intima e contenuta rispetto alle colleghe, risulta pregnante e penetrante. Arianna Becheroni (Ifigenia) e Anita Serafini (Elettra) offrono performance toccanti e autentiche. Tuttavia, un sottile filo di recitazione talvolta gridata e frenetica può disturbare, pur mantenendo coerenza con il tema narrativo dominante. Bene anche Denis Fasolo (Achille). Federico Lima Roque (Egisto) non cattura particolarmente l’attenzione, offrendo poco più dell’affascinazione del bilinguismo. Katia Gargano (donna anziana del popolo) emerge con una presenza titanica, enfatizzata dal marcato accento del sud che la collega alle radici greche e alle colonie in terra italica.  Le coreografie di Luna Cenere, accompagnate da brani dei Prodigy e tocchi di Bach, coinvolgono con maestria sia il coro che i protagonisti. La fusione di stili musicali e coreografici apporta un dinamismo contemporaneo alla rappresentazione, infondendo freschezza e innovazione alla produzione. L’applauso caloroso del pubblico è un tributo meritato alla qualità delle performance e all’efficacia delle scelte artistiche. Photo: @Lia Pasqualino. Qui per le altre date.