Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Michele Mariotti
Violoncello Ettore Pagano
Pëtr Il’ič Čajkovskij:”Romeo e Giulietta”. Ouverture fantasia in si minore per orchestra; Aram Il’ič Chačaturjan: Concerto-Rapsodia per violoncello e orchestra. Igor Stravinskij: “Jeu de Cartes”. Musiche da balletto in tre mani.
Torino, 12 gennaio 2024
L’ottimo impaginato di questo concerto svela il felice accostamento di due geni del panorama musicale russo, che ne risultano molto più accostabili di quanto, pigramente, siamo portati a pensare: Čajkovskij e Stravinskij. Nei due lavori presentati sono colti in svolte problematiche delle loro vite creative. Nel 1880, anno dell’Ouverture Giulietto e Romeo, Čajkovskij, quarantenne, tenta nuove vie che lo emancipino sia dall’accademismo filo-occidentale professato dei Conservatori delle due capitali russe, recentemente fondati dai fratelli Rubinstein, sia dal “richiamo della foresta” del gruppo dei 5. Gli sono sicuramente da suggerimento e stimolo, l’omonima Sinfonia Drammatica di Berlioz, che la precede di pochi mesi, e le fantastiche elaborazioni dei poemi orchestrali di Liszt. Opere di cui Pëtr Il’ič era a conoscenza, oltre che per la circolazione delle partiture, grazie ai suoi numerosi viaggi culturali attraverso i paesi dell’ovest europeo. Stravinskij nel 1936 vive a Parigi, ha ormai abbandonato da quasi due decenni la fase “barbarica” dei Ballets Russes e ormai anche quella neo-classica, è alla ricerca di altri mondi e altri stimoli. A breve si risposerà e andrà a vivere in America. Balanchine, migrante russo, creatore dell’American Ballet, gli commissiona un nuovo lavoro per il MET e lo mette in condizione di riallacciare dei legami oltreoceano che l’aiutino a preparare il terreno per stabilirvisi. Le varie biografie annoverano l’avidità di denaro e il gioco d’azzardo come le passioni che più hanno presa sul compositore; l’emolumento promesso e l’argomento della nuova commissione le soddisfano ambedue. Caratteristiche che accomunano i due spartiti sono la manifesta teatralità e lo splendore orchestrale dato dalla sovrana maestria dell’orchestrazione. Berlioz e Liszt, per un verso, Rimskij-Korsakov per l’altro hanno profondamente pesato sull’innata capacità e sensibilità dei due russi di manipolare timbri, tempi e sonorità dell’orchestra. Michele Mariotti, sul podio di un’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, al massimo dello spolvero, con Roberto Ranfaldi violino di spalla, conferisce un taglio decisamente drammatico e teatrale ad ambedue le pagine. Tempi che tendono ad estremizzarsi agli opposti, così come le sonorità. Ad un lento-lento e piano-piano dell’avvio, in vero dal suono un po’ troppo sgranato, del Romeo e Giulietta, segue un rapinoso forte fortissimo, della parte centrale che poi si lascia ripiombare nell’appassionato spegnersi del finale. Nel Gioco di carte, l’autore immagina tre mani al poker, il balletto non c’è ma comunque Mariotti ce lo mostra con un danzare elegante delle braccia e un sinuoso muoversi della figura. L’Orchestra, galvanizzata, lo segue stretto-stretto in tempi e ritmi mobilissimi. Dei fortissimo contundenti irrompono comunque anche quando potrebbero meglio risultare se cautamente attenuati, ma la perizia nei contrasti di Mariotti, navigato operista, non si fa domare docilmente. Vale poi, per tanta parte del pubblico, che lo sottolinea con l’intensità degli applausi, quanto Susanna afferma ai riguardi di Cherubino … in verità egli fa tutto ben quello ch’ei fa. Chačaturjan e il suo Concerto-Fantasia per Violoncello e Orchestra, risultano estranei allo stretto rapporto tra gli autori e le opere di cui sopra. La presenza del Concerto per violoncello si giustifica solamente con la brillante prova di Ettore Pagano, formidabile ventenne violoncellista romano, che esalta l’opera al massimo grado. Lo strumento che imbraccia, di paternità ignota, le note di sala, difformemente dalla consuetudine, non ne fa cenno, ha un suono potente, bello e “rotondo” per ricchezza di armonici, suono che corre e copre completamente gli spazi dell’Auditorio RAI. Le virtù che, in modo inappropriato, qui si attribuiscono allo strumento sono certamente da ascriversi soprattutto al polso, alle dita e alla sensibilità di chi lo imbraccia. Il Concerto, dopo un avvio orchestrale sommesso, lascia spazi al solista per alcune pagine di eccitante virtuosismo. Seguono pochi minuti di dialogo strumento-tutti per poi ulteriormente acconsentire al violoncello una lunga parentesi di fraseggio virtuosistico e appassionato. Il pezzo si chiude poi con una pagina di concorde e collettiva animazione. Mariotti ha tenuto saldamente la linea orchestrale su un percorso coeso che avrebbe potuto, se mal governato, tralignare in una serie di episodi sconnessi. Ne sarebbe uscita eccessivamente penalizzata una composizione che nei fatti non brilla per l’accattivante inventiva. Legni, ottoni, percussioni hanno potuto dare all’orchestra di Chačaturjan quella verve supplementare che forse sarebbe difficoltoso ricavare dalla sola pagina scritta. Come sempre accade, con un solista formidabile, il pubblico “esige” dei fuori programma, nell’occasione Pagano ne ha concessi due, da lui stesso annunciati, purtroppo in modo inintelligibile: una lamentosa cantilena armena in cui, alla malinconica suggestione del pianto del violoncello, si unisce il triste vocalizzare del solista; segue e conclude un’indiavolata pagina in pizzicato, che riecheggia ritmi e vibrazioni di sapore esotico. Il successo è stato convinto, pur se il pubblico, forse vittima degli stravizi festivi o dei sintomi della sempre incombente influenza, si mostrava falcidiato da abbondanti defezioni.