Bologna, Comunale Nouveau, Stagione Opera 2024
“MANON LESCAUT”
Dramma Lirica in quattro atti su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica, dal romanzo Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut di A.F. Prevost
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut ERIKA GRIMALDI
Lescaut CLAUDIO SGURA
Renato Des Grieux LUCIANO GANCI
Geronte di Ravoir GIACOMO PRESTIA
Edmondo PAOLO ANTOGNETTI
Il maestro di ballo BRUNO LAZZARETTI
Un musico ALOISA AISEMBERG
Un lampionaio CRISTIANO OLIVIERI
Un comandante di Marina COSTANTINO FINUCCI
L’oste/Un sergente degli arcieri KWANGSIK PARK
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttrice Oksana Lyniv
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Nuova Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 26 gennaio 2024
Terzo e fatidico titolo del catalogo pucciniano, trascurato talvolta perché oscurato dalla popolarità del quarto (La Bohème), è il lavoro che per la sua irruente originalità, a dispetto degli auto imprestiti, ha consacrato Puccini fra i massimi operisti di tutti i tempi. E Puccini l’ha ricambiato dedicandogli infinite rifiniture: finite soltanto dalla morte, di cui quest’anno ricorre il centenario. I complessi del Comunale sono ideali per questo Autore: un’orchestra dal suono magmatico, denso, lucente, muscolare, che guarda alla Mitteleuropa; ma con una sensibilità alla tenerezza melodica, alla cantabilità, intimamente italiana. E il coro duttile e pastoso che non delude mai. La direzione di Oksana Lyniv è appassionata e lucida; certo, nell’equilibrio fra buca e palcoscenico favorisce la prima. La protagonista è Erika Grimaldi, a Bologna già ascoltata come Maddalena di Coigny e Leonora di Vargas, e sempre lodata per la voce di grande bellezza, rotonda, piena, morbidissima, e per il gusto sobrio dell’espressione. Accanto a lei sta Luciano Ganci: tenore di gran squillo, timbro lucentissimo, e un turgore che conosce tuttavia alcune sfocature, specie d’intonazione, che talvolta sa mascherare riconducendole a ragioni espressive. Ha accenti drammatici molto convincenti, che possono ricordare Di Stefano, e poi alcune appassionatissime scivolate, che di nuovo possono ricordare Di Stefano: e piacciono terribilmente al godereccio pubblico bolognese. Lescaut è l’ottimo Claudio Sgura, che scopre a tratti un’insospettabile oscillazione nella messa di voce. Impeccabile invece il Geronte di Giacomo Prestia, fuori classe assoluto, esempio di stile ben al di là delle notevoli e note doti vocali. Bene le parti di fianco, specialmente il luminoso e saldo Edmondo di Paolo Antognetti. La regia di Leo Muscato si concentra sull’ultimo atto, lo stesso cui Puccini rimette mano poco prima di morire, come si diceva all’inizio, nel ‘24. E quest’ultimo atto veramente funziona. Il profilo del deserto americano, sezionato da abili tagli di luce, scandisce lo spazio inusuale del Comunale Nouveau come non era mai stato fatto nella sua breve storia. Il boccascena cinemascope si presta ottimamente a questo orizzonte così vasto e schiacciato nell’altezza, disegnato dalla scenografa Federica Parolini, e poi moltiplicato ai lati dalle quinte specchianti. I protagonisti cadono a terra prostrati dalle fatiche del dramma, ma tentano infine di ricongiungersi trascinandosi faticosamente. Questa scena, all’apparenza così vuota, è la più piena di teatro. Negli altri atti interviene l’attrezzeria a ricreare i vari ambienti, il pavimento del deserto non prestandosi a cambi scena. La storia viene raccontata con semplicità e sapienza, in uno spostamento temporale non molto convincente in verità (segnalato principalmente dai bei costumi curati da Silvia Aymonino), ma con qualche idea brillante. Ad esempio. Il pubblico dei minuetti di Manon è composto di eleganti signori invece che di abati adusi ad adorare in silenzio: perdendosi così il malizioso sorrisetto anticlericale. Di questi, però, uno si attarda ad uscire di scena: è Des Grieux, che così camuffato è riuscito ad introdursi nella casa di Geronte, e ora fa giustamente trasalire Manon che se lo vede alle spalle, riflesso nello specchio. Il clima generale di questa serata, che pure è l’inaugurazione della stagione, sconsiglia il ricorso ad espressioni enfatiche quali entusiasmo, euforia, acclamazione, e simili: le paillettes non mancano, ma vincono il nero e la sobrietà. Foto Andrea Ranzi