Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Myung-Whun Chung
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale”; Igor Stravinskij: “Le Sacre du printemps”
Venezia, 15 dicembre 2023
Salutato da un caloroso applauso, è salito nuovamente sul podio dell’Orchestra del Teatro La Fenice – per questo secondo appuntamento della nuova Stagione Sinfonica – Myung-Whun Chung, uno dei beniamini del pubblico veneziano. In programma, due celebri composizioni – la Sinfonia Pastorale di Beethoven e Le Sacre du printemps di Stravinskij –. entrambe incentrate sul tema del rapporto Uomo-Natura, seppur inserito in contesi emotivi e culturali alquanto diversi: un’atmosfera “apollinea” di classica compostezza domina nel capolavoro beethoveniano, un furore “dionisiaco” e barbarico percorre la musica del balletto stravinskiano. La Sesta Sinfonia è un esempio di “musica a programma”. Nondimeno la partitura è “più espressione di sentimenti che pittura”, come precisa l’autore stesso nell’intestazione, a rivendicare le ragioni “assolute” della musica-cassa di risonanza del cuore. In essa il sentimento “panico” prodotto dall’immersione nell’ambiente naturale, si traduce in alta poesia: ogni dimensione “pastorale” di maniera viene trascesa dall’alto sentire di uno spirito eletto, che si placa solo contemplando la Natura e la sua pace. Lo sconquasso di un temporale può interrompere l’idillio, ma ben presto ritorna il sereno e, con esso, il leopardiano “piacer figlio d’affanno”. Rigorosa, finemente espressiva, ricca di colori, capace di indagare ogni valenza introspettiva, si è rivelata l’interpretazione del maestro coreano, ormai in un rapporto simbiotico con l’Orchestra del Teatro La Fenice: al suo chiaro gesto direttoriale si adegua ogni strumento, ogni inflessione, ogni respiro della compagine orchestrale, che forse anche a lui deve il proprio costante affinamento. Il primo movimento Allegro ma non troppo – basato su un semplice tema di derivazione popolare, intonato dai violini – si è svolto in un’atmosfera serena. La stessa che ha pervaso anche il successivo Andante mosso – trasposizione musicale della “Scena presso il ruscello” –, che presenta una semplice melodia, ancora ai violini, preceduta da un fremito degli archi: una frase di ampio respiro, che – come peraltro l’intero movimento – nulla concede al bozzettismo descrittivo, ravvisabile solo nell’onomatopea dell’usignolo (flauto) della quaglia (oboe) e del cuculo (clarinetto), verso la fine di questo tempo. Spensierato l’Allegro, uno Scherzo – nel ritmo ternario di una danza rusticana – intonato dall’oboe e poi dal corno con l’intermezzo di un Trio in due quarti, una sorta di frenetica ronda, interrotta dal tremolo dei bassi. Era il preannuncio del temporale, che rapidamente è scoppiato in tutta la sua violenta teatralità, con l’intervento di tutta la compagine strumentale, fino al graduale ritorno del sereno. Nel successivo Allegretto – dominato da una serena melodia poi variata – si è colto un tono da inno religioso, suggerito anche dall’armonizzazione a mo’ di corale, che pervade tutto il movimento, introdotto da clarinetti, corni e violini primi, per farsi sempre più esaltante anche grazie all’inserimento dei tromboni. Dall’apollinea serenità della Pastorale, si è passati, con Le Sacre du printemps, al più sfrenato impeto dionisiaco. La scrittura stravinskiana vi si snoda, su piani decisamente contrastanti, tra poderosi accordi spasmodicamente ripetuti, cellule melodiche appena variate, squarci dall’atmosfera sospesa. Un lavoro rivoluzionario, ma – come insegna Pierre Boulez – ancora sensile alle potenti attrazioni esercitate dai tipici poli armonici (tonica, dominante, sottodominante). I temi presenti in partitura – taluni basati su modi di sole cinque note – rientrano in un diatonismo assai primitivo. La vera novità del Sacre riguarda il parametro ritmico. Stravinskij utilizza il materiale musicale – fatto di elementi piuttosto semplici e maneggevoli –, per immergere l’ascoltatore in un’esperienza del tutto nuova e sconvolgente sul piano del ritmo: una scelta diversa rispetto a quanto avveniva a Vienna, dove il rinnovamento musicale, basato sulla serialità, non intaccava più di tanto l’organizzazione ritmica tradizionale. Anche qui Myung-Whun Chung ha brillato – insieme all’orchestra –, dominando con indiscutibile autorevolezza la complessa partitura stravinskiana, da cui ha fatto emergere tutta la tellurica energia, che la distingue, insieme al particolare fascino timbrico. Estraniante, in apertura del primo tableau (L’adoration de la terre), è risultato il fagotto nel registro acuto, intonando l’enigmatica melodia lituana, seguito da corno inglese, oboe e tromba piccola, nell’evocazione di un mondo primordiale. Un’ossessiva pulsazione ritmica ha caratterizzato la sezione successiva, costituita da Les Augures printanières. Danses des adolescentes, fondata sulla sovrapposizione di due accordi a distanza di semitono, ripetuti con un ritmo che rompeva la simmetria delle battute. Qui, come altrove, il ritmo si è affermato in piena autonomia nella costruzione della forma musicale; il che si è rilevato anche nel successivo frenetico Jeu du rapt, dominato dalla lotta fra diverse misure in ottavi. La pulsazione è rallentata in Rondes printanières, mentre in Jeux des cités rivales il ritmo si è fatto di nuovo concitato, con un motivo già esposto in Jieu du rapt, ripreso dai corni. In Cortège du Sage. Le Sage la sonorità dell’orchestra si è arricchita per l’intervento di tam-tam e grancassa, finché tutto si è placato su un accordo di fagotti, timpano e controfagotto. La prima parte si è chiusa con Danse de la terre, in cui si sono sprigionate le forze della natura. La seconda parte, Le sacrifice, si è aperta con rarefatte suggestioni timbriche: flauti, oboi, corni e archi hanno prodotto sonorità glaciali, fondate su un intreccio di due temi, che si sono poi presentati separatamente in Cercles mystérieux des adolescentes e in Action rituelle des ancêtres. Bagliori primordiali hanno accompagnato la Glorification de l’Élue, tra potenti colpi di percussione e violenti accordi. Dopo Evocation des ancêtres e Action rituelle des ancêtres, la Danse sacrale (L’Élue) col suo ritmo ossessivo, ha scandito l’implacabile progressione con cui la vittima sacrificale da sola, completamente stremata a causa del suo parossistico danzare, arriva ad immolarsi per il bene comune. Interminabili applausi ed entusiastiche acclamazioni per il maestro e l’orchestra.