Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2023-2024
“LES CONTES D’ HOFFMANN”
Opera fantastica in un prologo, tre atti e un epilogo su Libretto di Jules Barbier, dal dramma omonimo di Jules Barbier e di Michel Carré e da E.T.A. Hoffmann
Musica di Jacques Offenbach
Hoffmann IVAN AYON RIVAS
La Muse PAOLA GARDINA
Nicklausse GIUSEPPINA BRIDELLI
Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto ALEX ESPOSITO
Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinacchio DIDIER PIERI
Olympia ROCÍO PÉREZ
Antonia CARMELA REMIGIO
Giulietta VÉRONIQUE GENS
La Voix FEDERICA GIANSANTI
Nathanaël CHRISTIAN COLLIA
Spalanzani FRANÇOIS PIOLINO
Hermann, Schlémil YOANN DUBRUQUE
Luther, Crespel FRANCESCO MILANESE
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Frédéric Chaslin
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Light designer Alessandro Carletti
Coreografia Chiara Vecchi
Ballerini: Kevin Bhoyroo, Anastasia Crastolla, Silvia Gattafoni, Coralie Murgia, Andrea Carlotta Pelaia, Francesco Scalas, Nicola Trazzi
Trampoliere: Figaro Su
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Opera Australia, Royal Opera House Covent Garden Foundation, Opera National de Lyon
Venezia, 30 novembre 2023
Da Sidney – dove è stata proposta al pubblico nel luglio di quest’anno – è sbarcata in laguna la messinscena, ideata dal vulcanico Damiano Michieletto per Les Contes d’Hoffmann di Jacques Offenbach, titolo assente dal cartellone della Fenice da circa trent’anni. Sul podio uno specialista per quanto riguarda questo titolo: Frédéric Chaslin, che proprio a Venezia debuttò nei Contes, nel 1994. Michieletto concepisce i Contes come una “ricerca del tempo perduto” da parte del protagonista, che ripercorre – nei tre atti – tre fasi della propria vita (infanzia, giovinezza, età adulta), incentrate su altrettante figure femminili (Olympia, Antonia, Giulietta). Tre donne, da lui vagheggiate, ma deludenti, in quanto possedute dalle forze del Male (Coppeluis, Dappertutto, Miracle). Peraltro anche da vecchio – tale appare nel prologo e nell’epilogo – prova l’ennesima delusione: Stella – reincarnazione dei personaggi femminili dei racconti – gli toglie definitivamente ogni speranza d’amore, sicché la lascia in balia di Lindorf – in cui rivive la satanica malvagità di Coppeluis, Dappertutto e Miracle –, rinunciando all’amore per dedicarsi all’Arte. Nello spettacolo – animato da molti personaggi e arricchito da qualche contributo video – non si coglie un’epoca di riferimento: il coro indossa costumi di taglio moderno e gli spazi sono strutture lineari, improntate ad un razionalismo “geometrico”. Suggestive le luci. Notevole il ruolo delle coreografie e del coro. La messinscena è colorata, ricca di elementi surreali, appartenenti al mondo fantastico di Hoffmann, come topi, fate con le ali, donne mascherate, diavoletti con le corna, un trampoliere. I luoghi dove si svolgono i tre atti sono realizzati con cambiamenti di scena all’interno di uno spazio in cui ricorrono alcuni riferimenti simbolici: in particolare, delle nicchie da cui escono diversi elementi fantastici tipicamente hoffmanniani. La storia di Olympia – ambientata in un’aula scolastica, dove Spalanzani è il maestro e Cochenille il bidello – è particolarmente divertente. Michieletto vede nella bambola meccanica una bambina geniale, che Hoffmann-scolaro s’illude di poter amare, prima che Coppelius la faccia a pezzi. Nell’atto di Antonia – che si svolge in una scuola di danza – si assiste ad un amore più consapevole: Hoffmann vuole aiutare la ragazza – trasformata dal regista in ballerina, con qualche incongruenza rispetto al libretto, dove è indicata come cantante – a ritrovare fiducia in se stessa, ignaro delle trame di Dapertutto. La vicenda di Giulietta si svolge in un palazzo veneziano, dove l’avvenente cortigiana, sobillata dal dottor Miracle, tenta di impossessarsi dell’immagine riflessa di Hoffmann, che verrà intrappolata dietro uno specchio. Di primissimo livello è risultata la compagnia di canto. Tra le voci maschili, mattatore della serata è stato Alex Esposito – cui erano affidati i ruoli dei “cattivi”: Lindorf, Coppélius, Le docteur Miracle, Dapertutto – che ha unito indubbie doti di attore a una vocalità di prorompente vigore espressivo, omogenea in tutta l’estensione e dal bel timbro scuro, calandosi efficacemente nell’aura satanica dei personaggi. Altro protagonista è stato Ivan Ayon Rivas nei panni di Hoffmann, di cui ha saputo rendere le inquietudini amorose, gli incanti e le delusioni, svettando con sicurezza negli acuti e muovendosi in modo credibile sulla scena, in una prestazione piena di pathos romantico, forse lievemente penalizzata da un timbro ancora acerbo. Assolutamente irresistibili le parti “brillanti” (Andrès, Cochenille, Frantz, Pitichinacchio), interpretate da Didier Pieri con leggerezza vocale, unita alla tipica verve dell’Offenbach dei Bouffes-Parisiens. Strepitose le voci femminili. Applausi a scena aperta per Rocío Pérez, che ci ha regalato un Olympia un po’ bambina e un po’ bambola meccanica, sfoggiando una voce da soubrette pura nel timbro ed estesa, senza forzare, fino alla zona sovracuta. La cantane spagnola si è imposta, in modo spettacolare – tra numeri e formule matematiche, che uscivano dalla lavagna e dal soffitto – nella funambolica “Les oiseaux dans la charmille”, ricca di colorature. Autorevole Carmela Remigio come Antonia, un personaggio di cui ha reso, grazie ai suoi eccellenti mezzi vocali di soprano drammatico – sempre impiegati con finezza interpretativa –, il dissidio interiore tra l’amore per l’arte e quello per la vita. Sottilmente sensuale e trasgressiva, ma talora fredda nel gesto come nella voce, la Giulietta di Veronique Gens, nell’atto veneziano. Dolce, insieme a Nicklausse e al coro, nella celeberrima barcarolle. Positiva anche la prestazione offerta da Paola Gardina (La Muse) e da Giuseppina Bridelli (Nicklausse) – che hanno esibito una vocalità sempre espressiva –, oltre che dai restanti membri del cast: Federica Giansanti (La Voce), Christian Collia (Nathanaël), François Piolino (Spalanzani), Yoann Dubruque (Hermann, Schlemill) e Francesco Milanese (Luther, Crespel). Ineccepibile il Coro, anche dal punto di vista scenico. Frédéric Chaslin ha guidato con autorevolezza i cantanti e l’orchestra – anch’essa in gran forma –, proponendo una lettura ricca di temperamento, capace di trovare il giusto accento nell’esprimere gli aspetti tragici e leggeri della splendida partitura offenbachiana, con particolare cura riguardo al suono e all’adeguatezza stilistica. Applausi ed ovazioni alla fine.