Roma, Teatro Ambra Jovinelli: ” Il delitto di via dell’Orsina”

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
“IL DELITTO DI VIA DELL’ORSINA”

di Eugène-Marin Labiche
traduzione Andrée Ruth Shammah e Giorgio Melazzi
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
Con Massimo Dapporto, Antonello Fassari, Susanna Marcomeni
e con Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella, Luca Cesa-Bianchi
musiche Alessandro Nidi
scene Margherita Palli
costumi Nicoletta Ceccolini
luci Camilla Piccioni
produzione Teatro Franco Parenti, Fondazione Teatro della Toscana
Roma, 05 dicembre 2023
“Il Delitto di via dell’Orsina”, attualmente in cartellone presso il Teatro Ambra Jovinelli, si presenta come una raffinata commedia nera tessuta con ingegno, vitalità e intrattenimento.
Quest’opera, fra gli atti unici più celebri dell’illustre Eugène Labiche, riconosciuto come il nobilmente padre del vaudeville, incarna l’elegante maestria di un talento prolifico e sopraffino. Labiche si distingue per la sua abilità nel rivelare, attraverso intricate geometrie di equivoci e farse, il lato ridicolo che giace discretamente sotto il tappeto della rispettabile borghesia. Due ex compagni di scuola, Oscar Zancopè (Dapporto) e Mistenghi (Fassari), si ritrovano dopo una misteriosa rimpatriata di classe caratterizzata da spensieratezza, svago e azioni effimere, prontamente cancellate dalla memoria a causa degli eccessi alcolici. All’epoca, Zancopè era comunemente noto come il “somaro” della classe, ma oggi gode di una posizione agiata nella società come uomo sposato appartenente all’aristocrazia. Mistenghi, ricordato come il “secchione”, ha invece intrapreso la carriera di cuoco, adattandosi a uno stile di vita più precario. I due si risvegliano inaspettatamente nello stesso letto, incapaci di recuperare i ricordi della notte precedente, tranne per un diffuso senso di euforia. Mentre Mistenghi trascorre il pranzo da Zancopè, l’atmosfera familiare si dissolve quando la moglie di Zancopè, già contrariata per il caos precedente, legge ad alta voce un giornale. L’articolo riporta la tragica uccisione di una donna la sera precedente, delineando indizi su due assassini già perseguiti dalla polizia. Inaspettatamente, Zancopè e Mistenghi si convincono di essere i responsabili del delitto. Prigionieri dai sensi di colpa, iniziano a pianificare la dissimulazione delle prove, ma la verità sembra destinata a emergere. La situazione peggiora ulteriormente quando un cugino acquisito rivela di aver visto i due amici in un locale la sera del presunto omicidio. La rimpatriata, originariamente caratterizzata da comportamenti sconsiderati, si trasforma così in un drammatico accusa di femminicidio. Tuttavia, la svolta nella vicenda avviene quando si scopre che il giornale in questione riportava fatti avvenuti vent’anni prima. Ignari di questa informazione, Zancopè e Mistenghi preferiscono affrontare il peggio di sé stessi piuttosto che affrontare coraggiosamente la realtà. In questo spettacolo, il contrasto tra aristocrazia e popolo, nonché tra senilità e gioventù, rivela una comune sete di divertimento senza eccessivi pensieri o responsabilità. La servitù, con la sua attenzione e curiosità verso la nobiltà, crea una sorta di dialettica hegeliana, arricchendo il racconto con gesti e battute che rievocano tradizioni di un tempo passato. Sebbene l’ambientazione sia cambiata, alcune concezioni morali e modi di pensare rimangono sorprendentemente immutati. La regia di massima enfatizza l’attualità emotiva del testo, focalizzandosi sulle personalità dei protagonisti più che sugli eventi storici. Lo spettacolo promette divertimento, ma il suo epilogo, anticipato dagli spettatori che riconoscono fin da subito l’equivoco, si sviluppa in modo imprevedibile, lasciando dietro di sé una dolce amarezza. Andrée Ruth Shammah, nella sua veste di regista e coautrice dell’adattamento insieme a Giorgio Melazzi, preserva la struttura della pochade e del gioco avvincente degli equivoci, ma imprime una svolta noir, disseminando inquietudini nell’ombra. La rielaborazione dell’opera ha comportato significativi cambiamenti, trasponendo la commedia dalla Francia del secondo Ottocento all’Italia di epoca fascista, nei primi anni Quaranta. Un elemento chiave di questa trasformazione è stato l’introduzione del personaggio del domestico anziano, Amedeo, magistralmente interpretato da Andrea Soffiantini, il quale si affianca e interagisce con il giovane servitore Giustino, interpretato con maestria da Christian Pradella. Per questa aggiunta, la regista ha attinto da opere di Labiche e ha introdotto ulteriori elementi originali, suggeriti anche dagli stessi attori durante le prove dello spettacolo. La rielaborazione della commedia conserva la vitalità e la fluidità dell’originale, sostenuta da un impianto scenico che si distingue per la sua bellezza e per la notevole pulizia e chiarezza. Le scenografie infatti di Margherita Palli sono caratterizzate da tradizionali tagli prospettici, conferendo profondità agli spazi e incorniciando con precisione il movimento registico. Altrettanto di pregio sono i costumi di Nicoletta Ciccolini, che si distinguono per la cura nei dettagli e materiali, contribuendo in modo significativo a valorizzare l’ensemble scenico complessivo. Non da meno, le illuminazioni di Camilla Piccioni risultano notevoli, enfatizzando i momenti di tensione con giochi di luce avvincenti e rendendo leggeri gli istanti più frivoli della drammaturgia. La sincronia tra gli attori è straordinaria in questa commedia corale, dove Massimo Dapporto si distingue per la sua brillante interpretazione, esprimendo un’eleganza ed un attenzione alla gestualità non comune. La sua performance, divertente e ironica, risplende sul palcoscenico, e la sua voce tenebrosa e ammaliante si unisce alle parti comiche interpretate da Antonello Fassari. Quest’ultimo, spiritoso ed esaltante con una mimica facciale irresistibile, riesce a incarnare sia la coscienza severa che quella spensierata. Oltre al formidabile cast di attori principali e  comprimari, la vera sorpresa di questa commedia è l’utilizzo delle musiche di Alessandro Nidi. In un’ora e un quarto, lo spettatore non assiste solo alla prosa, ma anche a suggestioni di operetta e canto corale, rendendo l’intera performance un’irresistibile calamita teatrale. Il pubblico ha dimostrato il proprio apprezzamento per i due attori protagonisti con applausi scroscianti e numerose chiamate in scena, decretando senza alcun dubbio il successo dello spettacolo. Lo spettacolo, concepito nelle sale prove del Teatro Ambra Jovinelli, giunge al termine di un tratto temporale di tre anni, durante i quali ha consolidato la propria presenza nelle principali sale teatrali italiane. La sua ultima esibizione, segnando la conclusione di questo ciclo, avrà luogo nella Capitale. L’addio a Roma rappresenta un punto di svolta nell’itinerario dello spettacolo, che, pur chiudendo questa importante fase, lascia dietro di sé un legato significativo nell’ambito della scena teatrale contemporanea italiana.