Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2023/24
“SEAGULL DREAMS – I SOGNI DEL GABBIANO”
da “Il gabbiano” di Anton Čechov traduzione e collaborazione artistica Alessandro Anglani
Arkadina PAMELA VILLORESI
Kostja VINCENZO PALMERI
Sorin GEOFFREY CAREY
Nina GIORGIA INDELICATO
Šamraev GIUSEPPE RANDAZZO
Maša MONICA GRANATELLI
Trigorin MIGUEL GOBBO DIAZ
Medvedenko GIUSEPPE BONGIORNO
Adattamento, Regia, Scene, Costumi e Video Irina Brook
Luci Antonio Esposito
Produzione Teatro Biondo Palermo in collaborazione con Dream New World – Cie Irina Brook
Milano, 28 novembre 2023
“Seagull Dreams” di Irina Brook spinge a una riflessione metateatrale molto chiara: fino a che punto attualizzare un testo che ha più di cent’anni può essere non solo esteticamente interessante, ma anche d’aiuto all’esatta comprensione di quel testo? “Il gabbiano” di Cechov che è in scena all’Elfo di Milano in questo periodo è sia ultramoderno nell’ambientazione (con tanto di date, tra il 2016 e il 2018, l’uso di proiezioni e chiamate su Zoom) sia nell’approccio fortemente postdrammatico tanto di moda oggi – riscaldamento degli attori e cambi di scena a vista, pezzi recitati al microfono, interpreti che entrano ed escono dal personaggio, un paio di canzoni cantate live: nulla di nuovo né di particolarmente sconvolgente, eppure qualcosa non scatta. Chi non conosce l’originale rimane disorientato dall’ostentazione di cotanta modernità (a volte al limite del buon gusto, come l’imbarazzante scena di sesso online tra Arkadina e Trigorin), chi lo conosce vorrebbe forse una maggiore aderenza non tanto con il 1895, quanto con una lingua, un portamento certo più sofisticato di quello propostoci da questo cast (che non ci risparmia scurrilità di vario genere). Cast che, beninteso, vede alcuni interessanti talenti affiancare Pamela Villoresi, vera mattatrice e protagonista della serata nel ruolo dell’Arkadina, totalmente un’altra categoria rispetto ai colleghi – e certo non staremo qui a sciorinarne le ragioni: la Villoresi è una riconosciuta grande attrice del nostro tempo e qui tale si riconferma; la ricerca che Irina Brook opera sui tipi umani e i loro linguaggi (già tratto distintivo di suo padre Peter) la porta a mescolare attori d’impostazione classica ad altri connotati linguisticamente, e se il Sorin di Geoffrey Carey tutto sommato è convincente nel suo accento anglosassone, coerente al personaggio del vecchio hippy, il Medvedenko di Giuseppe Bongiorno, invece, ci suona troppo stonato nella sua cadenza meridionale, come la Maša di Monica Granatelli, che oltre alla dizione centroitalica, calca (o non corregge) una parlata borgatara, smozzicata e nervosa; probabilmente queste scelte di pronuncia vogliono sottolineare il ceto inferiore, giacché anche Giuseppe Randazzo nel ruolo di Šamraev presenta un chiaro accento lombardo, tuttavia non ci sembra né un espediente particolarmente riuscito, né del tutto rispettoso della nobiltà delle parlate vernacolari (tanto più che i dialetti in Italia sono stati per secoli lingua familiare indistintamente di ricchi e poveri). Buona prova attoriale dà Vincenzo Palmeri nella parte di Kostja, per quanto a volte eccessivamente livoroso, o en souplesse, in pieno contrasto con le due attrici con le quali si deve misurare, che, in un modo nell’altro, incarnano, invece, una recitazione più naturale nel suo essere drammatica – la già citata Villoresi da una parte, e Giorgia Indelicato nel ruolo di Nina dall’altra, probabilmente la seconda interprete più apprezzata della serata, in grado di una prova ricca di sfumature ma comunque nell’alveo dell’equilibrio e del controllo di sé; infine, quasi ingiudicabile la prova di Miguel Gobbo Diaz, un Trigorin online e con le battute ridotte al minimo. Bella, invece, la scena, sempre a cura della regista, piuttosto ricca di mobili, oggetti, attrezzeria di vario genere, della cui utilità non siamo del tutto persuasi, ma in grado di ricreare con precisione un interno dei nostri giorni; bello anche l’effetto che sullo sfondo ricreano in molti teli bianchi appesi a file alternate; interessanti e funzionali alla scelta registica le proiezioni, specie quelle sulla pièce di Kostja, che, in tanta modernità, da aspirante drammaturgo si trasforma in aspirante videomaker. L’effetto complessivo è quello di un testo alla ricerca di nuovi linguaggi, nuovi mezzi di espressione, ma questa ricerca in fin dei conti si ferma alla superficie, giacché è solo su di essa che lavora la regia: la drammaturgia è lievemente stravolta nell’iniziare con la veglia funebre sul corpo di Kostja, per poi scivolare in un lunga analessi tutto sommato parallela al testo cechoviano, se non fosse per lo stralcio quasi totale di uno dei protagonisti, Trigorin (per il resto si tagliano solo alcuni personaggi secondari); la proposta scenica è semplicemente attualizzata; ci verrebbe dunque da chiedere dove stiano i “dreams” del titolo, se non emergono dalla scena e nemmeno dalla drammaturgia. Forse, come tutto, in questa produzione, giacciono nel punto di vista della regista – ma, purtroppo, lì rimangono, senza arrivare al pubblico. Si replica fino al 03 dciembre, poi qui. Foto Rosellina Garbo