Legnago, Teatro Salieri, Danza – Stagione 2023/24″
“CALLAS CALLAS CALLAS!”
l’Opus Ballet racconta Maria Callas
Coreografie Adriano Bolognino, Carlo Massari, Roberto Tedesco
Light designer Giacomo Ungari
Direzione artistica Rosanna Brocanello
Interpreti:Matheus Alves De Oliveira, Giuliana Bonaffini, Aura Calarco, Emiliano Candiago, Rebeca Zucchegni, Ginevra Gioli, Gaia Mondini, Riccardo Papa, Frederic Zoungla
Produzione COB Compagnia Opus Ballet in cproduzione Fondazione Festival La Versiliana
Legnago, 2 dicembre 2023
La diva che visse d’arte e morì d’amore, rimane viva in chi ama l’artista che nell’arte ci mette amore. In fondo la vita artistica di un talento è come quella di un fiore reciso: bella, intensa e breve, ma allo stesso tempo molto delicata se corrotta da qualche eccesso. Ma forse è proprio questo, il vivere intensamente le passioni, senza pensare che queste possano travolgere il nostro successo professionale che ci rende un mito; un’anima bella che rimane dentro il ricordo di tutti quelli che, nel corso del tempo, vogliono prendersene cura. Oggi Maria Callas avrebbe compiuto 100 anni e Teatro Salieri ha voluto omaggiarla con un trittico coreografico a cura dell’Opus Ballet di Firenze: tre balletti che tratteggiano un diverso aspetto dell’icona del canto lirico più famosa al mondo.
Callas e l’arte
La prima coreografia, firmata da Adriano Bolognino, a nostro parere, la più riuscita delle tre, inscena la Callas nelle sue famose movenze plateali, e lo fa riproducendole nel loro divenire ripetuto e cadenzato come lo può essere un canto, grazie a cinque danzatrici in abito nero, da grand soirée. Ognuna compie l’atto anzi tempo a quella che la segue, così che rimanga nell’occhio dello spettatore un’unica immagine: come fosse dentro a un “taumatropio” per cui vediamo ciò che persiste sulla nostra retina. È la Callas che sul palco diventa Diva, quella che sa essere attrice e soprano insieme, per quel suo interpretare fin nelle espressioni più intime i personaggi tragici delle opere liriche più famose. Il sottofondo sonoro sembra quello di un grammofono, a tratti con la sua inconfondibile voce, una scelta adatta a ricreare l’atmosfera di questi gesti, sospesi nella memoria; che oggi possiamo vedere nei rari contributi video (pubblicati su YouTube) delle performance della Divina. Molto brave le danzatrici a suggerire con le posture i virtuosismi del canto, che ricreano uno stile, un carattere: una personalità, fragile e forte insieme.
Callas e il cuore
“Mio cuore, tu stai soffrendo” canta Rita Pavone sul refrain di un battito cardiaco creato da un basso, mentre in scena si muovono, con incedere sincopato e compulsivo 8 ballerini (5 femmine e 3 maschi) vestiti in silhouette rossa, che riproduce la famosa forma stilizzata del cuore. L’atmosfera creata stavolta da Roberto Tedesco, inscena tutti gli amori della Callas, anzi mostra come lei vivesse di forti passioni. Da una parte abbiamo l’amore per il canto (la perfezione) e quello per la vita sfarzosa (il lusso); mentre dall’altra, c’è l’amore travagliato per Onassis e Pasolini, che consideriamo come esempi opposti di mancata abnegazione. Un “balletto tormentato”, possiamo dire, da queste figure un po’ inquietanti per quella visiera che ne cela la testa, forse a dire che l’amore rende ciechi, non perché rende gelosi, quanto perché rende vulnerabili. Sul finale intuiamo come il declino artistico della Callas coincidesse con quello fisico: una morte rimasta nel mistero, per un decesso imputato proprio ad un arresto cardiaco.
Callas e il mito
L’ultima coreografia avrebbe voluto ricreare il mito della Divina Callas, invece quella di Carlo Massari dell’Opus Ballet ci è sembrata più una sua caricatura, per niente ossequiosa, anzi un po’ sciocca per l’aver insistito sui luoghi comuni, oltre che su una colonna sonora fin troppo evocativa (“habanera”). Lo stereotipo della Callas è una ballerina di danza classica, alta e smilza, vestina di bianco; una Anna Pavlova (“Morte del cigno”) senza tutù che viene trasportata in lungo e in largo per il palco come un trofeo. Siamo forse noi spettatori che la solleviamo e la portiamo con noi, che la riproduciamo con una foto, o con un disco e che la osanniamo ricoprendola di rose rosse gettandole sul palco alla fine delle sue innumerevoli esibizioni: quella rosa rossa, un ibrido ideato nel 1965 da Marie-Louise Meilland, porta il nome “Maria Callas”. Foto Paolo Bonciani