Genova, Teatro Carlo Felice: “Edith”

Genova, Opera Carlo Felice, Stagione 23/24
ÉDITH”
Opera lirica in un prologo e due atti, su libretto di Guido Morra.
Musica di Maurizio Fabrizio
Édith Piaf SALOME JICIA
Marcel Cerdan FRANCESCO PIO GALASSO
Jake LaMotta CLAUDIO SGURA
Clifford Fischer BLAGOJ NACOSKI
Franckie Corbo GIOVANNI BATTISTA PARODI
Marie Hannequin ALENA SAUTIER
Marinette Cerdan VALENTINA COLETTI
Joe Longman MANUEL PIERATTELLI
Harry Burton MARCO CAMASTRA
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice di Genova
Direttore d’orchestra Donato Renzetti
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Elisabetta Courier
Scene a cura degli Allievi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti
Costumi Francesca Marsella
Luci Luciano Novelli
Nuovo allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in collaborazione con l’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova
Genova, 17 dicembre 2023
L’iniziativa (di per sé lodevole) dell’Opera Carlo Felice di Genova di commissionare un’opera lirica su Édith Piaf si rivela non del tutto riuscita. Sia chiaro: “Édith” di Maurizio Fabrizio è un prodotto lontano da qualsivoglia esperienza transavanguardistica o post-moderna, e per questo le pertengono una naturale eufonia e semplicità drammaturgica. Il suo limite maggiore, tuttavia, sta proprio nell’essere un prodotto di “Fabrizio/Morra”, ossia di una delle nostre migliori coppie di autori di musica leggera, padri di tanti grandi successi; ed “Édith” suona proprio come una lunga ballata sanremese, con i suoi salti di di terza, il suo accompagnamento arpeggiato, i suoi cambi di tonalità prevedibili e altre amenità musicali che, lo ripetiamo, non la rendono un brutto prodotto, quanto un prodotto molto già sentito (le citazioni pucciniane si sprecano, ma in generale quelle postromantiche, le stesse che, per l’appunto, origineranno il fenomeno della romanza, “mamma della canzone”). Sul piano testuale, Guido Morra ci propone un libretto dalla struttura drammaturgica abbastanza solida, ma dalla musicalità a tratti ben più che naïf – inserimento di parole monosillabiche per facilitare la metrica, diverse rime su verbi all’infinito, l’uso a volte di parole non del tutto semanticamente centrate – per proporci un libretto tutto (o quasi) in rima baciata, che suona come un esercizio di stile, come molti libretti degli ultimi cent’anni non suonano. Lo stesso manierismo affligge, comunque, anche la partitura, tanto che già il secondo atto risulta cantabile, poiché di fatto ultra prevedibile. Insomma, al progetto manca ispirazione, paradossalmente, giacché, per trarre un’ispirazione originale, compositore e librettista avevano disposizione l’intera discografia della più grande cantante francese, di cui il pubblico non ha avuto il piacere di ascoltare una nota, se non acutamente rielaborata in alcuni passaggi sinfonici, spesso di inizio di un’area o di un duetto, o qualche parola qua e là riconducibile ai testi più famosi. Eppure, anche questo snobbare l’operazione rapsodica, o perlomeno parzialmente tale, ritorna anche nella drammaturgia, che di fatto, prevede la presenza in scena del personaggio Édith Piaf, solo per la metà del tempo, si rifiuta di approfondirne gli aspetti biografici (figuriamoci quelli artistici) per raccontare un solo evento di una delle vite più multisfaccettate e sorprendenti del Novecento francese, ossia l’amore della cantante per il pugile Marcel Cerdan; l’importanza data al personaggio di Cerdan e ai suoi incontri di boxe, persino a quelli cui Édith non assiste, è fuori luogo, a nostro avviso, in un’opera intitolata semplicemente “Édith” – forse sarebbe stato più onesto intitolarla “Édith e Marcel”, o trovare un titolo che comunque lasciasse trasparire il disinteresse storiografico per la cantante. In ogni caso, l’assetto scenico di questa “Édith“ (curato da Elisabetta Courier) ci è parso singolarmente felice: uno spazio neutro semplice ma efficace, che con pochi interessanti accorgimenti (giochi di tessuti e di corde) diventa appartamento, ring, camerino, mediante l’uso di oggetti di scena e figuranti accuratamente scelti e posizionati; il finale, con grandi riproduzioni della Piaf che scendono dall’alto riempiendo di fatto la scena finalmente celebra la grande interprete, senza risultare inutilmente agiografico. Le luci di Luciano Novelli sono state il vero valore aggiunto alla scena degli Allievi dell’Accademia Ligustica di Belle Arti: puntuali, fascinose, interpreti sia della Stimmung emotiva che della cornice più esteriore di ciò che succede in scena. Spiace invece constatare come la costumista Francesca Marsella non abbia prestato molta attenzione ai personaggi dei pugili, che pone in scena con indosso delle canottiere, quando sia Cerdan che La Motta, essendo pugili professionisti, erano tenuti a gareggiare a petto nudo. La compagine musicale di quest’opera si è espressa variamente: il maestro Donato Renzetti alla conduzione dell’orchestra non ha dato il meglio di sé, fornendo una prova indiscutibilmente corretta (e ci mancherebbe!), ma fredda, distante dalle prove di concertazione appassionate e rigorose cui Renzetti ci ha abituati – ma forse, trattandosi di un’opera originale, questo distacco è inevitabile. L’orchestra del Carlo Felice è suonata coesa e intonata, forse coi fiati talvolta un po’ sopra le righe, ma ha saputo sostenere bene sia cantanti che momenti sinfonici; la prova del coro, invece, per quanto ci sia parsa positiva, non è pienamente giudicabile, poiché ci siamo ritrovati di fronte a quindici soli coristi a causa di uno sciopero sindacale. La protagonista Salomé Jicia è stata una bella conferma: voce squisitamente lirica, il colore naturale e cristallino del soprano georgiano ha saputo anche irrobustirsi, scurirsi per interpretare al meglio una personalità come quella della Piaf; accanto a lei, Francesco Pio Galasso, nella parte di Cerdan, purtroppo ha fornito una prova piuttosto discontinua, caratterizzata da acuti periclitanti e suoni ingolati lungo tutta la tessitura; Claudio Sgura, invece, si è messo bene in luce come Jake La Motta, grazie alla vocalità piena, una bella aderenza alla linea di canto e un fraseggio efficace; buona pure la prova di Blagoj Nacoski (Clifford Fischer), tenore certo dalla voce non grandissima ma ben portata e attento alla resa espressiva. Fra i ruoli di lato emergono positivamente Alena Sautier (Marie Hannequin) mezzosoprano scuro dall’apprezzabile proiezione vocale, e Giovanni Battista Parodi (Frankie Corbo) basso dalla dizione ben scandita e la buona propensione interpretativa. Considerate le brillanti prove canore e la pregevole cornice scenica, dispiace constatare che, con maggiore coraggio drammaturgico e musicale, questo progetto avrebbe potuto raggiungere sia una maggior compiutezza che una migliore accoglienza.