Arezzo, Basilica di San Domenico, Fondazione Guido d’Arezzo
Coro della Fondazione Guido d’Arezzo
Soprani I: Velia Moretti de Angelis, Cristina Picozzi, Dan Shen; Soprani II: Carolina Intrieri, Francesca Lo Verso, Silvia Vajente;
Contralti I: Andrea Arrivabene, Marta Frigo, Cora Mariani; Contralti II: Gianna Ghiori, Gianluigi Ghiringhelli, Rossella Ciacchero;
Tenori I: Davide Galleano, Roberto Rilievi, Zhi Qia Zhang;Tenori II: Vincenzo Di Donato, Emanuele Petracco, Baltazar Zuniga;
Bassi I: Mattia Comandone, Diego Maffezzoni, Marco Grattarola; Bassi II: Renato Cadel, Donato Di Croce, Lorenzo Tosi
Direttore Luigi Marzola
Basso continuo: Violoncello, Gioele Gusberti; Violone, Matteo Cicchitti; Organo, Dimitri Betti
Giovanni Gabrieli (1557-1612): “Cantate Domino” (Secondo libro delle Sacrae Symphoniae, Venezia, 1615); “O magnum mysterium” (Concerti di Andrea e Giovanni Gabrieli, Primo Libro, Angelo Gardano, Venezia, 1587); “Domine exaudi orationem meam” (Primo libro delle Sacrae Symphoniae, Venezia, 1597); “Deus in nomine tuo” (Secondo libro); “Jubilate Deo” (Promptuarium musicum, Pars tertia, Strasburgo, 1613). Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809-1847):”Te Deum” in re maggiore per soli, doppio coro e basso continuo, op. 101
Arezzo, 17 dicembre 2023
Presso la Basilica di San Domenico di Arezzo, piuttosto gremita, si è tenuto il battesimo del Coro della Fondazione Guido d’Arezzo con un programma decisamente interessante. Varcata la soglia della Basilica si percepiva una certa magnificenza ove, attraversando l’unica navata, guardando in qualsiasi direzione, si potevano cogliere elementi di ‘grande splendore’ con affreschi, altari, cappelle, vetrate e quant’altro. Posizionato il doppio coro, secondo la canonica divisione delle voci, accolto dal Crocifisso di Cimabue (Cappella maggiore), con al centro gli strumenti del gruppo del basso continuo (violoncello, violone e organo), è bastato il gesto deciso del direttore Luigi Marzola per dare inizio alla prima parte del concerto dedicato alla produzione vocale sacra di Giovanni Gabrieli. È stata un’immersione nel «corpo delle voci» e occasione imperdibile per ascoltare alcuni exempla del laboratorio compositivo veneziano ove si sperimentavano importanti caratteristiche della policoralità tra XVI e XVII secolo. Sopra le fondamenta (basso continuo) si stagliava il fluido germinare del contrappunto che, nella logica della variatio, si manifestava nel rapporto imitativo tra le singole parti, nell’alternanza dei cori o tra episodi omoritmici (occasione per percepire maggiormente il testo) per arrivare, grazie alla completezza dell’organico ed esplicitato dal gesto ampio ed incisivo del direttore, alle grandiose sonorità della cadenza finale. Repertorio decisamente arduo nel saper coniugare verticalità e orizzontalità di una scrittura così raffinata sul piano dell’ascolto ove, in alcuni momenti, non era facile percepire esattamente la natura e il rapporto consonanza-dissonanza. Tuttavia l’effetto era solenne sia per densità che intensità del suono e, nell’intreccio polifonico, a tratti sembrava che gli angeli musicanti, negli affreschi di entrambi i lati e poco distanti dal coro, partecipassero. Il Te Deum di Mendelssohn ha espresso la distanza temporale di oltre due secoli dalle composizioni gabrieliane, svelando la feconda natura compositiva di un diciassettenne unitamente a significative relazioni con la musica della grande tradizione. Scritto a Berlino il 5 dicembre 1826, la prima avvenne il 12 febbraio 1827 presso la Singakademie am Unter den Linden. La meritoria proposta di questa partitura, oltre a valorizzare le voci, ha costituito l’occasione per avvicinare il pubblico al repertorio sacro di un musicista più conosciuto per altri generi musicali (ouvertures, concerti per strumento solistico e orchestra, musica da camera, sinfonie, ecc.). Sfogliando il catalogo delle sue opere, non sfugge la presenza di fughe (la prima è del 1820) tanto da ricordare sia il suo grande interesse per questa forma che, più in particolare, per la musica di Bach. Proprio agli inizi del XIX secolo, la biografia bachiana redatta da Johann Nikolaus Forkel (1802) e la ripresa della Matthäus-Passion (Berlino, 1829, Sing-Akademie), curata da Mendelssohn, sanciscono l’inizio della Bach-Renaissance. Nella partitura in programma non era difficile percepire richiami alla policoralità veneziana e alle grandi architetture barocche, in un lavoro ove protagonista è il Soprannaturale, codificato nel linguaggio musicale del tempo. Nel gioco dei rimandi colpiva già dal primo numero la tonalità d’impianto di re maggiore (simile al Magnificat bachiano) e la presenza di strutture formali ascrivibili alla fuga (anche in altri numeri) che, nel caratterizzare l’architettura sonora, sembravano avvicinare l’ascoltatore al connubio contrappuntistico-armonico del modello bachiano. Nel Tibi omnes angeli, per l’effetto del rimbalzo delle voci (gioco imitativo), emergeva un turbinio vocale (volo degli angeli) tale da immaginare una visione celestiale. Mediante la scrittura per doppio coro nel Tibi Cherubin i due quartetti (femminile e maschile) simboleggiavano non solo il dialogo tra le voci ma anche tra due entità e nature diverse, desiderose d’incontrarsi fino a fondersi nelle otto voci ove erano ancora percepibili tracce della policoralità veneziana. Con l’ultimo numero, Fiat misericordia tua, e il ritorno alla tonalità d’impianto, si costituiva una reductio ad unum tanto da poter rintracciare materiale e procedimenti compositivi già utilizzati. L’ufficialità dell’evento rientra in quel luminoso mosaico in cui il Coro rappresenta un altro tassello della Fondazione Guido d’Arezzo che, nella continuità della grande tradizione corale, porta avanti con tenacia e profitto. Dulcis in fundo, il concerto ha assunto le caratteristiche di un ‘manifesto’ di un progetto (coro) che, nato sotto buoni auspici grazie all’autorevolezza del direttore Luigi Marzola, aspira al raggiungimento di grandi risultati.