A Firenze un Convegno sulla difficile situazione dell’attività cameristica nel nostro Paese, alla ricerca di nuove prospettive

Sabato 16 dicembre, presso il Saloncino del Teatro della Pergola di Firenze, si è tenuto un Convegno dal titolo: «Oltre un Secolo di Musica Insieme: una riflessione sul presente e uno sguardo sul futuro dell’attività cameristica in Italia». Organizzato dagli Amici della Musica di Firenze, si è rivelato una full immersion di interventi. Una prima parte, presieduta da Stefano Passigli e moderata da Michele Lai, ha trattato problemi normativi ed economici del settore musicale italiano riflettendo sul sistema che influisce sui finanziamenti. Successivamente, presiedendo Andrea Lucchesini, pur ritornando sugli effetti dell’algoritmo, si è dato più spazio agli aspetti artistici. Protagonisti i rappresentanti delle maggiori società concertistiche italiane, agenzie e operatori del settore, provenienti da diverse città. L’evento nella sede fiorentina sembrava non casuale poiché il 28 maggio 1847 vi fu rappresentato Enrico Howard del livornese Abramo Basevi, (medico, compositore, critico musicale, direttore dell’Istituto musicale, attuale Conservatorio “Cherubini”, ecc.) che diede vita alle riviste L’Armonia (1856) e Boccherini (1862), fondando la Società del Quartetto di Firenze (1861) dopo l’esperienza delle Mattinate Beethoveniane. Tali iniziative, oltre a concorsi di composizione per quartetto, divennero exemplum per la nascita di altre realtà simili in Italia. Non si trattò sic et simpliciter di promozione musicale ma di una vera e propria apertura culturale intenta al coinvolgimento di un vasto pubblico.Oggi di quell’esperienza, a parte la memoria musicologica, è rimasto ben poco. Tranne sporadiche iniziative registrate da realtà come Perugia, Firenze, Prato, Radio Rai e poche altre, ci si affida ad eventuali incontri con il pubblico e/o a note di sala, secondo uno standard, probabilmente, non più rispondente alle attuali esigenze dell’ascoltatore. Nel frattempo chi frequenta i concerti, in particolare di musica da camera, è conquistato dalla grande offerta d’ascolto (YouTube, Rai e televisioni straniere e Rete Toscana Classica), non va a teatro ma predilige il costo zero. Tuttavia, indipendentemente da ciò e dai generi, ascoltare musica dal vivo è quasi imprescindibile. Alcuni intervenuti registrano l’assenza di abbonati e studenti dei Conservatori. Pur sembrando paradossale, probabilmente, non tutti sono a conoscenza che in genere gli allievi più dotati delle istituzioni AFAM sono valorizzati come interpreti in rassegne concertistiche talvolta concepite per loro e, in alcuni casi, risultano vincitori di importanti concorsi. Ne consegue che la frequentazione agli eventi organizzati da altri enti dipende dalle proposte e dalla possibilità di ‘apprendere’, rispetto all’offerta formativa dei Conservatori. Per incrementare le presenze, da opinione comune, serve puntare sulla qualità, non sempre facile da individuare e promuovere, cercando altresì di accorciare lo iato tra pubblico e artisti, figure bifronti. Oggi la notorietà va di pari passo con visibilità e spietata concorrenza. Gli artisti, anche i più idealisti, hanno dovuto abbracciare la logica del mercato: più dirigo, più suono, più compongo, ecc., divento famoso, sottraendo però tempo allo studio, necessario a performances di alto livello. Spesso a qualcuno basta raggiungere lo status del proprio ambito professionale per considerarsi un essere superiore. Se poi tale situazione viene ‘incensata’ e rafforzata, non di rado si coniano simili giudizi: «ho ascoltato la “Patetica” di…; la “Pastorale” di…» citando il pianista o il direttore, anziché Beethoven, autore di entrambe le opere. Di contro, il pubblico eterogeneo dei concerti oggi desidera rendersi conto di cosa si cela dietro la narrazione dell’interprete; preferisce ragionare intorno alla musica per avvicinarsi al messaggio e alla poetica del compositore, come accade per gli altri linguaggi artistici. Ecco che l’esigenza di ‘sbirciare’ e riferirsi alla partitura, attraverso un’operazione quasi esegetica, può diventare l’altra strada. Grazie al dialogo dei saperi, anche chi è privo di alfabetizzazione musicale, mediante una guida esperta, può comprendere alcuni aspetti strutturali e formali, pur elementari, che regolano una composizione, talvolta anche prima di chi identifica la musica con lo strumento o è sprovvisto di una buona cultura perché, com’ è noto, ‘pari [non] sono.’ Ripensando alle criticità emerse nel convegno, l’impressione era quella di trovarsi di fronte a un bel ‘nodo avviluppato’ che può essere sciolto solo da specifiche competenze, tempi adeguati ed iniziative coraggiose. C’è bisogno di figure che sappiano avvicinare, motivare e far amare la musica da camera (e non solo), intercettare esigenze e motivazioni degli ascoltatori e siano trait d’union tra programmazione e fruizione. Urge investire sul pubblico in quanto anche con proposte originali di programmi e artisti, non si realizza niente con le sale vuote. Segnaliamo un intervento di autocritica interessante: «non mi piace l’omologazione dei programmi» sollevando il problema delle difficoltà nel preferire quanto ha già avuto successo in altre città anziché avventurarsi in ciò che «il pubblico non ne vuole sapere»; pertanto c’è da chiedersi se vadano privilegiati programmi di autori tra i più eseguiti e con i soliti strumenti in veste solistica o all’interno del gruppo cameristico perché solo raramente si assiste ad un concerto in cui si dà pari dignità a strumenti come la viola, il contrabbasso, il corno, il fagotto, ecc. Gli operatori sono altresì responsabili in quanto le loro scelte sono determinanti ai fini della conoscenza, della considerazione degli strumenti anche dal punto di vista timbrico, rievocando Schoenberg (Farben) o Kandinskij, noti per aver coltivato il rapporto musica-colore. In questa specie di narrazione (rondeau), ecco il refrain a ribadire deontologia e audacia nell’azione degli operatori. Molte carriere sono state create o cancellate grazie o per colpa di chi ha ‘incensato’, a volte esageratamente, o contribuito a rendere invisibile un artista perché, anche per scelta, fuori dal circuito degli agenti o dei direttori artistici. In attesa di un prossimo convegno in primavera, non resta che affidarsi all’appello di bachiana memoria quaerendo invenietis, non indirizzato agli interpreti ma a coloro che – con onestà intellettuale – non smettono di cercare nuove soluzioni nel complesso mondo musicale.