Verona, Teatro Filarmonico:”Il parlatore eterno” e “Il Tabarro”

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2023
IL PARLATORE ETERNO”
Scherzo comico in un atto su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Amilcare Ponchielli
Lelio Cinguetta BIAGIO PIZZUTI
Susetta GRAZIA MONTANARI
Dottor Nespola MAURIZIO PANTÒ
Aspasia FRANCESCA CUCUZZA
Sandrina SONIA BIANCHETTI
Egidio SALVATORE SCHIANO DI COLA
Caporale dei gendarmi FRANCESCO AZZOLINI
IL TABARRO”
Opera in un atto su libretto di Giuseppe Adami
Musica di Giacomo Puccini
Michele GEVORG HAKOBYAN
Giorgetta MARTA TORBIDONI
Luigi SAMUELE SIMONCINI
Il Tinca SAVERIO FIORE
Il Talpa DAVIDE PROCACCINI
La Frugola ROSSANA RINALDI
Venditore di canzonette MATTEO MACCHIONI
Prima amante GRAZIA MONTANARI
Voce di tenorino DARIO RIGHETTI
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Gianna Fratta
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Stefano Trespidi (Il parlatore eterno)
Scene Filippo Tonon (Il parlatore eterno)
Regia Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi
Costumi Silvia Bonetti
Luci Paolo Mazzon
Allestimento della Fondazione Arena di Verona
Verona, 19 novembre 2023
A due anni dall’edizione trasmessa in streaming, causa Covid, torna al Filarmonico l’inedito dittico di Ponchielli e Puccini; del primo il delizioso scherzo musicale Il parlatore eterno, scritto durante la tormentata gestazione de I lituani quasi di getto ed unico lavoro comico del compositore cremonese. Con richiami al teatro di Rossini e Donizetti, il lavoro di Ponchielli vede un solo personaggio principale in scena e tutti gli altri a fargli da contorno con interventi di modesta entità in quello che è di fatto un monologo iniziale che poi si apre ad un concertato con intervento di coro e pertichini. In venticinque minuti di musica, alternati ad interventi parlati, il logorroico protagonista muove il suo canto su tempi brillanti e serrati arrivando persino a toccare il tema dell’emancipazione femminile. La scenografia scarna ed essenziale di Filippo Tonon, tesa a favorire libertà di azione e movimento alla vis comica e sulla quale campeggia la grande scritta con la data della prima esecuzione (Lecco, 18.X.1873) trova completezza nell’idea registica di Stefano Trespidi che parte da un ideale ponte sospeso tra la commedia dell’arte e la commedia borghese per esasperare la petulante nevrosi di Lelio Cinguetta, la candida ingenuità di Susetta e la rassegnazione di Nespola e Aspasia ridotti al silenzio. L’esasperante protagonista ha avuto in Biagio Pizzuti un eccellente mattatore scenico e vocale grazie anche alla brillantezza del timbro e alla scioltezza declamatoria. Attorno a lui, seppur relegati ad interventi contenuti e d’insieme, vi erano la Susetta di Grazia Montanari e il bravissimo Francesco Azzolini (caporale dei gendarmi) oltre a Maurizio Pantò, Francesca Cucuzza, Sonia Bianchetti e Salvatore Schiano Di Cola (rispettivamente Nespola, Aspasia, Sandrina ed Egidio). Al brillante scherzo comico di Ponchielli è seguita la vicenda cupa e sanguigna de Il tabarro con i suoi tratti veristi che sfociano nell’inalienabile omicidio a sfondo passionale. L’atmosfera voluta e creata da Puccini per mezzo di dissonanze timbriche e con suoni caratteristici (la sirena di un rimorchiatore, i clacson, il suono dell’organetto), oltre all’inizio fluttuante di richiamo debussyano, ha trovato nella scenografia stilizzata di Leila Fteita e nella regìa di Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi la rispettosa sintesi delle didascalie originali pur posticipando l’azione nel 1940 come testimoniano i costumi di Silvia Bonetti. Il barcone che occupa il primo piano della scena, la passerella ed il molo dove si incontrano le coppie innamorate ma anche la possibile via di fuga per Giorgetta da una vita itinerante divenuta per lei insopportabile fanno da sfondo all’infelicità e alla frustrazione e la malinconia notturna. Di buon spessore interpretativo i tre protagonisti, a partire da Gevorg Hakobyan, un Michele passionale e volitivo pur rassegnato alla desolazione di un amore perduto: voce bella e pastosa ma non sempre a fuoco nel registro acuto. Giorgetta era la brava Marta Torbidoni, dal timbro vellutato e di temperamento, la cui luminosità interpretativa risulta efficacemente sospesa tra il gelido rapporto coniugale e l’ardente desiderio per Luigi. Quest’ultimo, reso da Samuele Simoncini con accenti di viva passionalità si inserisce nell’azione come elemento scardinante di un matrimonio ormai unilaterale sul piano affettivo; penalizzato nel recente Amleto di Faccio da una parte impervia e vocalmente povera di dinamiche, ha qui convinto pienamente con una prova verace e sanguigna. Di buona fattura la Frugola di Rossana Rinaldi, così come Saverio Fiore e Davide Procaccini, rispettivamente il Tinca e il Talpa, hanno confermato le doti già espresse in altre produzioni veronesi. A completare il cast Matteo Macchioni (Venditore di canzonette), Grazia Montanari (Prima amante) e Dario Righetti (Voce di tenorino). Alla guida dell’Orchestra e il Coro della Fondazione Arena Gianna Fratta conferma quanto di meglio le quote rosa possono offrire nel panorama direttoriale odierno; la sua lettura esalta la verve spumeggiante della partitura di Ponchielli e sa egualmente trarre le fosche tinte della tavolozza timbrica pucciniana con risultati di densità sinfonica di rara fascinazione pur dovendo constatare ancora una volta come l’orchestra tenda a coprire spesso le voci sul palcoscenico. Pubblico non numeroso, forse a causa dello scarso richiamo dei due titoli, ma egualmente generoso di consensi. Repliche il 22, 24 e 26 novembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.