Venezia, Teatro Malibran, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore e solista Louis Lortie
Edvard Grieg: Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, Op. 16; Robert Schumann: Concerto in la minore per pianoforte e orchestra, Op. 54
Venezia, 3 novembre 2023
Due tra i più celebrati concerti per pianoforte e orchestra del repertorio romantico sono stati proposti, al Teatro Malibran, nell’ultimo appuntamento della Stagione 2022-2023 del Teatro La Fenice, che vedeva nella duplice veste di direttore e solista Louis Lortie, universalmente apprezzato per l’originalità interpretativa e l’ampiezza del repertorio: due capisaldi – firmati rispettivamente da Edvard Grieg e da Robert Schumann – accomunati dalla tonalità d’impianto (la minore), oltre che dal piglio irruento con cui si aprono, ma anche legati dal fatto che il giovane Grieg compose il suo concerto avendo come modello forse soprattutto quello di Schumann. Il musicista di Bergen aveva avuto il privilegio di ascoltarlo, poco più che quindicenne, a Lipsia – dove frequentava il conservatorio –, nell’esecuzione di Clara Wieck. È dunque verosimile che il sublime pianismo schumanniano abbia influenzato – seppure in modo non esclusivo – il giovane Grieg quando, nel 1868, si dedicò alla composizione del suo unico concerto per strumento solista e orchestra. Con grande maestria il concertista franco-canadese ha saputo guidare l’Orchestra del Teatro La Fenice con gesti essenziali ma efficaci, senza mai perdere la concentrazione richiesta dal suo contemporaneo ruolo di esecutore alla tastiera. Ne è risultata un’interpretazione – notevole quanto ad adeguatezza stilistica, nitidezza dell’articolazione e dell’armonia, sapienza del tocco – attraverso la quale Lortie ha saputo magnificamente esprimere – col supporto di una compagine orchestrale ancora una volta encomiabile nell’insieme come nelle singole parti – gli aspetti anche contrastanti di questo poema sonoro dai tratti rapsodici, che ha affascinato per la straordinaria vena melodica, l’intensa drammaticità alternata a toni intimi e crepuscolari, la freschezza delle idee musicali, l’eleganza dell’orchestrazione.Un rullo di timpani, una strappata dell’orchestra, una cascata di accordi del pianoforte hanno aperto, in sequenza, con perentorio vigore il concerto dell’autore norvegese, nel cui primo movimento, Allegro molto moderato, ricorrono due temi – il primo, brioso e danzante, presentato dagli archi e dai fiati; il secondo più pacato e cantabile, introdotto dai violoncelli – entrambi mirabilmente esposti dall’orchestra e poi ripresi, con qualche variazione, dal pianoforte. Gli archi in sordina punteggiati da fagotti e corno si sono particolarmente distinti nell’estesa introduzione orchestrale, che dà inizio al secondo movimento, Adagio, creando un’atmosfera incantata, tipica della sensibilità nordica; solo dopo è intervenuto, con intensa espressività, il solista, la cui prestazione è culminata nella ripresa del tema dell’introduzione, dominando poi il resto di questo breve e toccante movimento. Una dinamica dagli esasperati contrasti ha caratterizzato il terzo movimento, Allegro moderato molto e marcato, che si è sviluppato con brillantezza sonora sui ritmi concitati, di tipo binario e ternario, di una danza norvegese, a parte l’episodio centrale – sognante e dall’andamento rapsodico – introdotto con grazia dal flauto e ripreso con dolcezza dal pianoforte. Il concerto si è concluso in un crescendo sonoro – non privo di una certa teatralità soprattutto in certi passaggi del solista –, che è culminato nella riproposizione, in un tono più vigoroso, del tema dell’appena citato episodio centrale.Analogamente suggestiva e tecnicamente prestante è risultata l’esecuzione del concerto di Schumann, la cui composizione – precedente di quasi trent’anni quella del concerto di Grieg – richiese, pur con varie interruzioni, ben cinque anni, dal 1841 al 1845. Nacque così una delle opere più complesse dell’autore tedesco: una partitura di vaste proporzioni, con cui egli si confronta con la tradizione classica, ma non nell’intento di recuperarla, bensì per trascenderla, anche sul piano formale, così da esprimere più liberamente quella pluralità di istanze creative, che si portava dentro e che permea tutto il concerto. Anche in questo caso Lortie ha saputo interpretare, con una compostezza stilistica coniugata ad un acuto senso dei contrasti, la variegata scrittura che caratterizza questo assoluto capolavoro del romanticismo musicale, evidenziandone le tensioni, l’impeto passionale, i momenti di struggente lirismo così come ha saputo mettere in valore le ampie possibilità tecnico-espressive del pianoforte, che Schumann impegna diffusamente in un proficuo, affettuoso dialogo tra solista ed orchestra, all’insegna dell’equilibrio e della reciproca libertà, rifuggendo da ogni gratuito virtuosismo. Il primo movimento, Allegro affettuoso, si è aperto con una perentoria strappata di tutta l’orchestra, cui è seguita l’imperiosa entrata del pianoforte con la sua brillante cascata di accordi. Ben delineati sono apparsi i due temi – il primo affidato dai legni; il secondo, fondato sull’alternanza minore/maggiore, ai violini, tra gli arpeggi della tastiera –; due temi strettamente imparentati tra loro, sicché la loro elaborazione ricorda la tecnica della variazione. Nel gioco di mutazioni e scambi fra solista ed orchestra si è inserito, creando grande suggestione, lo squarcio lirico, in cui i legni – soprattutto il clarinetto – hanno intrattenuto un intimo dialogo con il pianoforte. Dopo la ripresa, il pianoforte ha brillato nell’estesa cadenza, interamente scritta, prima della conclusione del movimento con una una coda, basata sull’idea tematica primaria. Nel movimento centrale, Intermezzo: Andantino grazioso – pervaso da un’atmosfera di delicata intimità – il pianoforte ha dialogato sommessamente con l’orchestra, fino a quando dai violoncelli si è levato un canto disteso, che a poco a poco si è propagato ad altre sezioni – mentre lo strumento solista ha continuato ad inseguire i propri pensieri –, prima di introdurre, tramite un passaggio di straordinario effetto armonico-timbrico, l’ultimo movimento, Allegro vivace – ricchissimo di nuove idee tematiche, a differenza di quello iniziale, pressoché monotematico –, in cui il primo tema dell’Allegro affettuoso si è trasformato in una nuova idea tematica, in maggiore – presentata con brio dal pianoforte –, che più avanti è divenuta il soggetto di un accenno di fuga (brevissimo richiamo alla tradizione). Il finale, sempre più irruento e trionfale – dove il solista ha sfoggiato una ragguardevole padronanza tecnica – è culminato in una una vorticosa coda di elettrizzante slancio. Reiterati applausi con numerose chiamate – e doverose segnalazioni degli orchestrali più “meritevoli” – hanno ottenuto due bis: l’incantevole “Chopin” da Carnaval di Schumann e la prima parte – “incantata” – dell’Adagio dal concerto di Grieg.