Sassari, Teatro Comunale: “Il Barbiere di Siviglia”

Sassari, Teatro Comunale, Stagione Lirica 2023
IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva MATTEO FALCIER
Bartolo MARCO SOLINAS
Rosina ROSA BOVE
Figaro DOMENICO BALZANI
Basilio TIZIANO ROSATI
Berta FRANCESCA PUSCEDDU
Fiorello DARIO SOGOS
Ambrogio GAVINUCCIO RUDA
Un ufficiale PAOLO MASALA
Orchestra e Coro dell’Ente de Carolis
Direttore Roberto Gianola
Direttore del coro Salvatore Rizzu
Regia Victor Garcia Sierra
Scene Paolo Vitale
Costumi Marco Guinon, Allison Quinones
Disegno luci Tony Grandi
Nuovo allestimento dell’Ente de Carolis
Sassari, 3 novembre 2023
Per mettere su l’ennesimo Barbiere bisognerebbe avere innanzi tutto un’idea produttiva forte, che può essere scenica o musicale, poi un cast equilibrato e infine dei bravi conduttori per portare avanti tale idea in maniera coerente e ottimale. Per il capolavoro rossiniano, secondo titolo in programma per la stagione lirica autunnale organizzata a Sassari dall’Ente de Carolis, tale idea, secondo l’eclettica presentazione del libretto di sala, sarebbe stata individuata in un omaggio al grande Fernando Botero, pittore ben presente nell’immaginario collettivo quanto facile da ridurre a un decorativismo superficiale, incapace di cogliere la natura metafisica e antirealistica della sua arte, le cui volumetrie deformate si riflettono prima di tutto in un immobilismo riflessivo e poetico e poi nell’inconscio di chi sa guardare ben oltre le sue figure tondeggianti. Niente di tutto ciò comunicava purtroppo il rutilante spettacolo di Victor Garcia Sierra che come “miracolo artistico” ha riciclato la stessa idea di un suo precedente bell’allestimento, però con esito decisamente più modesto, riducendo Botero a un brand spendibile ma nulla più. Le scene molto semplici di Paolo Vitale sembrano identificare l’artista essenzialmente per alcuni dettagli e, soprattutto, l’uso di colori acidi e contrastanti, che rimandano più a un mondo infantile che al suo raffinato gioco prospettico. Non si riconoscono infatti né la qualità timbrica, né le allusioni della sua pittura e meno che mai l’ineffabile magico che i poeti visivi possono sincreticamente avere in comune con quelli musicali. Sono inoltre piuttosto vaghi presunti elementi comuni con Rossini (sempre dal libretto di sala) come “l’efficacia e semplicità del messaggio poetico” “nonché la trasversale riconosciuta universalità del gradimento”: il che potrebbe accomunare i Beatles, Stanlio e Ollio, Dante e Charlie Brown. Anche i costumi di Marco Guinon e Allison Quinones, pur ripresi da opere di Botero, ma senza il filtraggio immaginario dell’artista, tradotti nella realtà tornano a essere un elemento qualunque, senza alcuna particolarità; il risultato è una piatta rappresentazione vagamente ispanica, in cui di boteriano ci sono solo le didascaliche comparse di alcune sue opere, totalmente superflue nell’economia dello spettacolo. Su ciò si innesta la solita regia di gag che da Ponnelle in poi costituiscono il bagaglio più usuale, ma appesantite da tempi sbagliati, scene, controscene e comparsate anche sulla sinfonia iniziale che tendono a sovrapporsi fastidiosamente alla narrazione musicale, senza contare i superflui esotismi e persino il kitsch della ballerina di flamenco con tanto di nacchere sopra il finale dell’opera. Se gli aspetti scenici hanno avuto i loro problemi, non minori sono stati quelli musicali: Roberto Gianola ha diretto in maniera meccanica e pesante, con piani sonori minimi piuttosto elevati e senza evidenziare l’infinità di direzioni agogiche e dinamiche richieste dalle frasi. Evidenti inoltre le imprecisioni ritmiche, specialmente nelle ripartenze, fino a veri e propri incidenti, come nella stretta dell’aria della “Calunnia”, che hanno messo in difficoltà buca e palcoscenico. Gli interpreti in questo senso sono stati sicuramente penalizzati, ma va detto che la compagnia di canto avrebbe dovuto essere scelta con maggior omogeneità ed equilibrio. Stilisticamente corretti, i protagonisti Matteo Falcier e Rosa Bove sono stati i più penalizzati dalla mancanza di elasticità agogica del direttore che ha sicuramente limitato le loro possibilità espressive specialmente nelle celebri arie di esordio, ma hanno comunque disegnato dei personaggi vocalmente convincenti. Insolito il debutto in un ruolo “maturo” così importante, quello di Bartolo, per il giovane Marco Solinas che ha comunque mostrato una disinvoltura notevole e una vocalità interessante in buona evoluzione. Molto atteso all’esordio nel suo territorio, dopo tanti anni di carriera, il baritono algherese Domenico Balzani ha padroneggiato soprattutto col mestiere il ruolo iconico di Figaro, mentre è apparsa addirittura sovrabbondante nell’equilibrio generale la sontuosa vocalità di Tiziano Rosati, un Basilio che nella timbrica e nel volume ha richiamato certi grandi interpreti storici del ruolo che rimpiangiamo tutti. Francesca Pusceddu è da segnalare per la grazia mozartiana con cui ha cantato la deliziosa aria di Berta e anche Dario Sogos ha svolto il ruolo di Fiorello con buona disinvoltura. Al netto delle difficoltà di cui sopra, buone le prove del coro dell’Ente Concerti de Carolis, preparato da Salvatore Rizzu, e dell’omonima orchestra che ha ben risolto le note e insidiose problematiche poste da Rossini agli strumentini. Alla fine dello spettacolo applausi cortesi per tutti, con un’evidente preferenza per il don Basilio di Rosati; ma l’autentica ovazione è stata per Gavinuccio Ruda che ha impersonato il muto personaggio di Ambrogio: dovrebbe far riflettere.