Roma, Teatro dell’ Opera, Stagione 2023/2024
“MEFISTOFELE”
Opera in un Prologo, quattro atti e un epilogo, dal Faust di Goethe
di Arrigo Boito
Mefistofele JOHN RELYA
Faust JOSHUA GUERRERO
Margherita, Elena MARIA AGRESTA
Marta, Pantalis SOFIA KOBERIDZE
Wagner MARCO MIGLIETTA
Nereo LEONARDO TRINCIARELLI
Direttore: Michele Mariotti
Regia: Simon Stone
Maestro del Coro: Ciro Visco
Scene e Costumi: Mel Page
Luci: James Farncombe
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento Teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con Teatro Real di Madrid
Roma, 27 Novembre 2023
Il Teatro dell’Opera di Roma ha inaugurato la Stagione 2023/2024 con il debutto operistico in Italia del rinomato regista Simon Stone nella nuova produzione di “Mefistofele” di Arrigo Boito. Questo spettacolo, realizzato in collaborazione con il Teatro Real di Madrid, ha visto il direttore musicale della Fondazione Capitolina, Michele Mariotti, impegnato sul podio, affrontando il titolo per la prima volta. La presenza scenica di un regista dallo stile stravagante come Simon Stone, unita all’eccezionale interpretazione di Mariotti, ha innegabilmente contribuito a generare un notevole evento mediatico nel panorama musicale della Capitale. La regia di Stone si presenta come un’espressione viscerale e istintiva, chiaramente plasmata da una prospettiva estrema e altamente personale sulla contemporaneità. Questo approccio, caratterizzato da una profonda consapevolezza e onestà, si distingue per la sua totale assenza di restrizioni. Va sottolineato che l’impianto registico non solo non costituisce un ostacolo per la partitura e il libretto, ma, soprattutto nella seconda parte dello spettacolo, agisce come una fonte di arricchimento del contesto, fornendo riflessioni più profonde e mettendo in evidenza elementi capaci di catturare l’attenzione in modo particolarmente incisivo. Sotto la guida di Stone, la rappresentazione della tentazione e del peccato emerge senza alcun giudizio morale, ma piuttosto come veicoli di crescita e sviluppo. Al contempo, l’imposizione di un’esistenza presumibilmente irreprensibile si rivela come un velo che spesso cela una profonda frustrazione. Queste due dimensioni antitetiche si intrecciano in modo tangibile nella sua regia, creando un equilibrio delicato tra l’oscuro e il luminoso, il peccaminoso e l’evolutivo. La solitudine, il distacco sociale e l’abbandono della comunità e degli ideali comuni costituiscono le forze motrici che allontanano l’essere umano da Dio, trasformandolo nell’autentico individuo dannato. Stone si propone come un narratore/maestro, volendo offrire al pubblico l’opportunità di esplorare la complessità della condizione umana attraverso le lenti affinate di una sua personalissima prospettiva artistica. Ci conduce in una dimensione dove il pensiero dicotomico si frantuma, consentendo l’abbraccio di sfumature più ricche nei sentimenti dei vari personaggi in scena, e riesce a farlo con maestria attraverso la potenza evocativa delle immagini, che in questa contemporanea era storica assumono un ruolo quasi catartico. Non è un caso che il suo approccio venga spesso definito visionario e quindi poco compreso. A coloro che contestano il suo modo di dirigere, Stone risponde : “Vi consiglio un concerto dei Rolling Stones o una vecchia produzione con Pavarotti, nella comodità del vostro salotto televisivo”. I cantanti sul palco si muovono con grande libertà, improvvisando, ascoltando e interpretando la musica e le proprie emozioni senza seguire un costrutto registico rigido. In questo modo, ricreano una dimensione di movimento all’interno dello spazio scenico, perfettamente in sintonia con il tema dello spettacolo. Le composizioni scenografiche e gli abiti ideati da Mel Page si intrecciano in modo armonico con la visione registica, delineando uno scenario caratterizzato da una predominante tonalità bianca, con un’estetica asettica ed ossessiva. Inizialmente, tale ambientazione riflette la noia insita nella circolarità tra piacere e rettitudine. Successivamente, questa si evolve, trasformandosi progressivamente in uno spazio contaminato dal sangue di un maiale sgozzato, fino a giungere al culmine nella configurazione di una sala comune di uno spizio. Un elemento distintivo è rappresentato da una vasta vasca colma di palline di plastica colorate, concepita come una sorta di piscina “emozionale” per i vari personaggi. Le suggestive luci curate con maestria da James Farncombe si distinguono per la loro capacità di integrare in maniera armoniosa l’aspetto visivo con quello sonoro, plasmando un’esperienza di grande leggibilità. La partitura complessa di Arrigo Boito si distingue per la sua intricata trama musicale, lontana da qualsiasi linearità nelle dinamiche espressive. Il merito di questa riuscita interpretazione va innanzitutto al Maestro Michele Mariotti, che con competenza ha saputo cercare e ricreare, grazie alla straordinaria coesione dell’orchestra, l’atmosfera narrativa perfetta per dar vita alle diverse scene del racconto musicale. Il viaggio musicale proposto dall’orchestra di Mariotti guida il pubblico attraverso una sorprendente varietà di ambientazioni, dalle solenni schiere celesti alle ardenti passioni dei desideri terreni, fino alle melodie luciferine ed irriverenti che accompagnano Mefistofele e i suoi seguaci durante il Sabba. L’orchestra diventa così una tavolozza di colori, con sfumature cangianti che si alternano tra tonalità pastello e pennellate più marcate, creando un’esperienza sonora ricca di contrasti e intensità. Incisivo, seppure non sempre a fuoco e non troppo disinvolto in scena il Mefistofele di John Relya. Joshua Guerrero (Faust), ha delle buone doti interpretative e sente con forza il personaggio, seppure molto spesso la sua linea di canto risulti povera di colori. Maria Agresta (Margherita/Elena) si conferma come una interprete di rango, grazie a un fraseggio che unisce intensità ed emotività, mantenendo sempre una linea di canto elegante e raffinata, in particolare nei punti più drammatici della partitura. Prova positiva per gli altri interpreti: Sofia Koberidze (Marta/Pantalis), Marco Miglietta (Wagner), e Leonardo Trinciarelli (Nereo). Tuttavia, accanto al personale successo del M° Mariotti, è il Coro ad essere l’altro grande trionfatore della serata, incluso quello delle voci bianche. Nessuna sillaba del complesso testo di Boito sfugge a questo straordinario ensemble, che si distingue per un’omogeneità sorprendente in termini di bellezza e precisione. A guidare magistralmente questo preparatissimo coro è il Maestro Ciro Visco. Al termine dello spettacolo, si sono levati calorosi applausi in riconoscimento del coro e dei solisti, accompagnati da ovazioni per il maestro Mariotti. Tuttavia, il regista Simon Stone (lo si dava per scontato) è stato “buato” dal pubblico, reazioni che egli ha accolto con straordinaria eleganza, esprimendo a tutti gratitudine e sorrisi cortesi. PhotoCredit Fabrizio Sansoni- Teatro dell’Opera di Roma.