La Quinta di Mahler per Robert Trevino con l’orchestra RAI

Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino.Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore 
Robert Treviño
Corno obbligato Ettore Bongiovanni
Charles Ives: “The Unanswered Question”; Gustav Mahler: Sinfonia n.5 in do diesis minore
Torino, 3 novembre 2023
Il Maestro Treviño, Direttore ospite principale dell’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, si ripresenta sul podio dell’Auditorio con un pezzo curioso (Domanda Senza Risposta) che l’americano Charles Ives compose nel 1906, revisionato e riorchestrato poi dallo stesso autore nel 1930. Ives, un imprenditore assicurativo di successo della Costa Est degli USA, si dilettava di composizione dopo un apprendistato musicale come esecutore col padre. In famiglia si esercitavano con due strumenti eseguendo lo stesso pezzo con tempi e tonalità differenti. Il padre testava così l’abilità del figlio a tenere ritmi e tonalità contrastanti. Su queste basi e con la sicurezza che gli proveniva dall’essere estraneo al mondo musicale dell’accademia, Ives ha composto 5 sinfonie, pezzi per orchestra e per banda, 2 quartetti ed altra musica da camera e per pianoforte. Le sue partiture, con pochissime esecuzioni a carico, rimasero per un lungo tempo giacenti in un baule. Ritiratosi dagli affari nel 1930, smise anche di comporre. Il mondo musicale americano, che scarseggiava di figure nazionali di riferimento, cominciò a dargli un po’ di visibilità intorno agli anni ’50 con esecuzioni di alcuni suoi lavori da parte della New York Philharmonic guidata da Leonard Bernstein. Noto è l’episodio in cui si narra quanto Ives e moglie fossero stupiti e felici per aver ascoltato, nel 1951, dalla radio della cuoca, un’esecuzione della sua seconda sinfonia. Domanda senza risposta è un piccolo brano con durata inferiore ai 7 minuti. Gli archi, come sfondo, piano con sordina, mormorano cantilenando, una tromba silenziata, dai corridoi, fuori dalla sala, lancia gruppetti di note che paiono col punto interrogativo e di contro, dalla balconata, 4 flauti, ognuno seguendo una propria scala cromatica, battibeccano senza dare risposte. Ci si è sforzati ad appioppare al pezzo significati oscuri e misteriosi, la realtà è che si tratta di un micro-brano d’effetto, suggestivo e non spiacevole. L’esecuzione, voluta da Treviño a luci spente, ha contribuito ad accrescerne il fascino, solo fiochi led sui leggii spezzavano le tenebre in cui era immersa la sala. Il non folto pubblico ha mostrato applaudendo di aver apprezzato la proposta. Al mini Ives seguono, dopo una piccola pausa per rimpolpare l’orchestra, i quasi 70 minuti della 5° sinfonia di Mahler. Treviño dopo la 6° sinfonia presentata la scorsa stagione e prima della fantomatica 10° in programma la prossima settimana, torna a confrontarsi con Mahler. La 5°, grazie all’adagietto che Visconti ha inserito in Morte a Venezia, è la partitura mahleriana che gode di maggiore notorietà e che i vari interpreti hanno maggiormente caratterizzato con una loro specifica visione. L’interpretazione di Treviño ci lascia disorientati: la valenza tecnica è spettacolare e sorprendente nell’illustrare, come forse meglio non si potrebbe, la partitura che però si sviluppa, con difficoltà di avanzamento, nell’assoluta assenza di suggestioni emozionali e psicologiche. Bel suono, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, è in ciò sempre portentosa, ma sgranato e dissociato: le varie sezioni e i vari solisti paiono suonare all’interno di bolle incomunicabili tra loro, come fosse un grande quadro dipinto con pennellate giustapposte di colori puri non miscelati e non interagenti tra di loro. Se il senso della pittura si può cogliere con un colpo d’occhio complessivo che copre l’insieme, la sequenza musicale, snodandosi nel tempo, è estranea a questa sintesi se non viene promossa da un’accorta gestione di timbri e intensità. Ogni episodio deve trovare una sua via d’integrazione con quello che precede e con quello che segue. Ci pare significativo a tal proposito l’esito dell’emblematico adagietto ove il direttore, abbandonata la bacchetta per dare, con le mani libere, più sinuosità al suono degli archi, lascia irrompere la sonorità eccessiva ed isolata dell’arpa che ne compromette l’atmosfera che si vorrebbe tranquilla e sognante. Tra bacchette mahleriane viscerali e calcolatrici, Robert Treviño deve ancora trovare una stabile collocazione, per ora pare propendere per una salda ingegneria costruttiva, più attenta alla perfezione dei particolari che non a rinsaldare la struttura e a dar continuità al racconto. Paiono ancora incerti la collocazione spazio-temporale e la destinazione d’uso dell’edificio in costruzione. Se questa ipotizzabile integrale mahleriana con l’OSN RAI dovesse realizzarsi, ci augureremmo che quanto ancora oscuro ed indefinito trovi la sua risoluzione. Per l’intanto vanno ribadite le lodi all’orchestra nel suo insieme e ai vari interventi solistici, troppo numerosi per essere citati singolarmente. Si ricordano comunque lo sfolgorante corno di Ettore Bongiovanni super impegnato e con citazione in locandina, i timpani di Biagio Zoli che danno man forte al podio a mantenere la quadratura ritmica; i violoncelli poi, col caldo timbro vellutato dei loro interventi, contribuiscono ad attenuare la sensazione di isolamento delle varie sezioni orchestrali. Il pubblico della serata che è tornato, dopo l’exploit dell’inaugurazione di stagione, ai numeri a cui sfortunatamente ci stiamo assestando nel post-covid, ha applaudito convinto e con entusiasmo. Particolarmente beneficiati le parti che hanno giocato da solisti, quindi legni e ottoni che godono di una buona tifoseria. All’applauso caloroso del pubblico a Treviño, si sono uniti, riconoscenti per il bel lavoro compiuto, tutti gli orchestrali.