La danza tra pedagogia, istruzione, formazione. Intervistiamo a questo proposito Carmen Palumbo, Professore Associato di Metodi e didattiche delle Attività Motorie (settore M-EDF/01) presso il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione dell’Università degli Studi di Salerno. Dal 2006 svolge attività didattica in ambito universitario, nazionale ed internazionale, presso la Facoltà di Scienze della Formazione, il Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione. È stata docente a contratto di Pedagogia e Pedagogia applicata alla danza presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma.
Professoressa, quali sono i Suoi campi di interesse e di azione?
Le mie attività di ricerca si indirizzano principalmente alla didattica del movimento nelle diverse fasce di età, anche con riferimento al movimento inclusivo. In qualsiasi processo cognitivo non si può mai prescindere dal corpo, parte integrante del processo di conoscenza. Per il bambino provare a sperimentare altri linguaggi, oltre a quello della parola, rappresenta una delle chiavi di volta del processo di conoscenza, nel momento in cui si sperimentano più sensi. L’educazione attraverso i sensi si accompagna alla capacità di transitare attraverso linguaggi diversi ed è qui che trova spazio l’intima connessione con la danza, che rappresenta il linguaggio creativo del corpo per eccellenza. Difatti, quando ho pubblicato nel 2013 il mio primo libro (che adesso è in ristampa in una edizione aggiornata) La Danza educativa: Dimensioni formative e prospettive educative, edito da Anicia, ho cercato di ricostruire le possibili relazioni tra le basi fisiologiche del movimento e la sfera espressiva ed emozionale, evidenziando come la danza-educativa possa rappresentare la disciplina che consente in maniera pregnante di conciliare armonicamente lo sviluppo motorio con quello espressivo ed emozionale, dando “corpo” al mondo fisico sommerso di ciascuno e consentendo la manifestazione delle dimensioni più profonde della natura umana, incapaci di emergere nelle altre attività.
Numerosi progetti didattici chiamano in causa la danza nelle scuole: cosa ci può dire al riguardo?
L’esperienza fisica che il bambino compie nelle diverse esperienze motorie funge da infrastruttura per il pensiero che si sta sviluppando, tanto che illustri neuroscienziati come Rizzolatti e Sinigaglia hanno affermato che alla base del nostro apprendimento esiste una natura motoria e che il cervello che agisce è anche e soprattutto un cervello che comprende. La danza coinvolge la mente, il corpo, le emozioni, lo spirito e i bambini sono detentori di grandi quantità di energia: gli educatori dovrebbero utilizzare questa modalità di apprendimento intrinseca. Il movimento è una condizione naturale della persona umana, per cui l’utilizzo nella didattica della danza creativa/educativa deve rappresentare una possibilità educativa da non sottovalutare. Nella mia attività didattica ho formato e continuo a formare futuri educatori di nido, futuri docenti di scuola primaria, futuri docenti di sostegno, studenti di scienze motorie, ballerini e futuri docenti di danza dei Licei coreutici e sempre puntualizzo con loro l’esigenza di imparare a educare a “partire dal corpo” fornendo gli strumenti utili per farlo.
Qual è il principale problema che si verifica?
In questo periodo di avvio dell’anno scolastico mi domando spesso come sia possibile che i genitori, talvolta così scrupolosi per la formazione dei propri figli, possano invece essere così “distratti da altro” nella scelta dei professionisti ai quali affidarli. Nella vita quotidiana questo accade soprattutto nella scelte delle scuole di danza, abbagliati semmai, da luccichii, extra-sconti e pubblicità nelle quali si professa la liberazione da regole ed obblighi, quali quelli di portare a termine un percorso fino alla fine. Potremmo essere contenti del fatto che i nostri figli vogliano abbandonare la scuola o cambiarla perché un’altra è più frequentata, con meno regole da rispettare o perché c’è l’amica del cuore? Saremmo pronti a rispondere che certe decisioni spettano a noi, che contano i docenti migliori. E allora perché quando si tratta di scegliere ad esempio una scuola di danza non si cercano i docenti presumibilmente più formati?Quali sono le fasce di età più delicate? I bambini: se è certo che per la tecnica dei corsi superiori può bastare un buon ballerino, non è così quando parliamo di fasce di età tanto delicate, che prevederebbero la conoscenza di almeno cenni di auxologia, fisiologia del movimento, pedagogia e psicologia, perché la pratica della danza implica avere la padronanza del proprio corpo per sviluppare le capacità di comunicazione e di movimento, prima ancora dei talenti. Vedo diverse pubblicità di corsi per formare istruttori di gioco-danza: non ho mai approfondito i contenuti, ma non credo siano mai stati allineati ai percorsi formativi di chiunque abbia accesso ai ruoli educativi.
E in merito alla formazione del personale specializzato?
Nel corso del tempo, per diventare docenti dal nido fino alla secondaria di secondo grado, si è passati dai diplomi alle lauree e dalle lauree all’aggiunta dei 24 CFU prima e dei 60 CFU ora, con attività formative dove la formazione pedagogica, didattica, psicologica, sociologica e antropologica diventa conditio sine qua non alla base di ogni didattica disciplinare e questo vale anche per l’Accademia Nazionale di Danza, perché non si può prescindere da determinate conoscenze e competenze. Se nelle attività di gioco-danza si mette in atto l’intelligenza motoria, che è alla base del dialogo, della comunicazione motoria e della scoperta e costruzione dei ruoli socio-motori (Le Boulch, 1952), un educatore di tale attività (perché appunto non lo definirei mai un istruttore) che voglia operare nei contesti formativi dovrebbe, a partire dagli aspetti teorici, tecnico-pratici e metodologici della disciplina, integrare gli aspetti della psicomotricità educativo relazionale e gli aspetti indispensabili alla progettazione e implementazione di pratiche inclusive ed efficaci.
Per la formazione accademica invece?
La questione cambia: un ballerino professionista ha le carte in regola ma, quando si tratta di “educare”, non si può prescindere dalle conoscenze psico-pedagogiche. Infatti al Teatro alla Scala di Milano è stato attivato un percorso specifico per l’insegnamento con i Corsi di laurea triennale e biennale dove, come in Accademia Nazionale, sono previsti CFU di pedagogia e psicologia proprio per formare a 360 gradi chi dovrà insegnare e occuparsi di corpi da formare.