Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Opera 2023
“IL DILUVIO UNIVERSALE”
Azione tragico sacra su libretto di Domenico Gilardoni
Musica di Gaetano Donizetti
Noè NAHUEL DI PIERRO
Jafet NICOLO’ DONINI
Sem DAVIDE ZACCHERINI
Cam EDUARDO MARTINEZ
Tesbite SABRINA GÁRDEZ
Asfene ERICA ARTINA
Abra SOPHIE BURNS
Cadmo ENEA SCALA
Sela GIULIANA GIANFALDONI
Ada MARIA ELENA PEPI
Artoo WAGNMAO WANG
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia e costumi MASBEDO
Scene 2050+
Luci Fiammetta Baldiserri
Bergamo, 25 novembre 2023
Le azioni tragico-sacre sono una particolare forma teatrale ben presente nella vita napoletana dei primi anni del XIX secolo. Le rigide norme sugli spettacoli dello stato borbonico chiudevano ancora i teatri nel periodo di Quaresima e un escamotage era stato trovato nel proporre lavori di soggetto biblico, con una natura ibrida tra opera e oratorio scenico. Le possibilità di sfruttare il genere in modo moderno e stimolante erano state pienamente mostrate da Rossini nel 1818 con “Mosè in Egitto” e il modello rossinano è ben presente a Donizetti quando per la Quaresima del 1830 mette in scena “Il diluvio universale”.
La natura ibrida tra i generi ancora perfettamente equilibrata nel lavoro rossiniano tende a sbilanciarsi a favore dell’opera nella composizione del bergamasco. Il soggetto vetero-testamentario resta quasi sullo sfondo e la stessa figura di Noè svolge un ruolo in fondo marginale nella drammaturgia dell’opera mentre a farla da padrone sono i tipici intrecci sentimentali del melodramma serio. La stessa duplicità si trova nella musica in cui si alternano pagine di grande intensità sacrale – affidate soprattutto al coro e a Mosè – come la bellissima preghiera che apre l’opera, tra i momenti più profondi e ispirati dell’arte donizettiana – e il canto brillante e virtuosistico, ancora di evidente matrice rossiniana, che domina i personaggi mondani. Forse proprio quest’ambiguità ha limitato la fortuna dell’opera, musicalmente assai rilevante in tutte le sue componenti e che non a caso godeva della piena fiducia da parte dell’autore che ne approntò anche una seconda versione per Genova. Riccardo Frizza trova il perfetto equilibrio tra le varie parti omogeneamente fuse in una visione complessiva senza però perdere il loro specifico colore. Nel complesso si tratta di una direzione brillante, con ritmiche marcate e sonorità terse come nello stile del maestro bresciano. Si apprezza cura nel fraseggio orchestrale che evidenza l’importanza di quest’opera come anello di congiunzione tra il mondo rossiniano e il futuro “Nabucco”. Molto positiva la prova dell’orchestra e da rimarcare quella del Coro dell’Accademia della Scala alle prese con una partitura particolarmente impegnativa.
La sicura guida di Frizza permette anche al cast di rendere al meglio. Nahuel Di Pierro affronta il ruolo di Noè con una bella voce morbida e omogenea e riesce a dare un carattere più umano e sfumato a un personaggio di suo assai monocorde.
Enea Scala brilla nell’impervia parte di Cadmo dalla scrittura ancora tutta rossiniana. Voce brillante, agile e luminosa, colorature nitide e brillanti, acuti sicurissimi. Interprete sensibile e intelligente ha saputo cesellare al meglio il carattere dispotico e vizioso del personaggio, insolito malvagio tenorile e per questo ancora più stimolante. In grande forma ci è parsa Giuliana Gianfaldoni in una delle sue migliori prestazioni. La voce non è grande ma bella e luminosa, l’emissione carezzevole e flautata e la facilità sugli acuti le permettono impeccabili filature ad alta quota. Tolto un sentore di prudenza sulle colorature si è trattato di una prova encomiabile.
Allieva della Bottega Donizetti Maria Elena Pepi mostra un interessante materiale vocale e in ottimo temperamento nei panni della perfida Ada. Perfettamente centrate le numerose parti di fianco in cui compaiono figli e nuore di Noè e Artoo, scherano di Cadmo. Tra questi meritano una nota le voci sonore e ben impostate di Nicolò Donini (Jafet) e Sophie Burns (Abra) e la svettante Tesbite di Sabrina Gárdez.
Anche qui la partenza sembra buona. L’idea dell’umanità intenta a divorare ogni risorsa sorda a rimproveri e appelli è sicuramente efficacie così come alcune delle immagini proiettate – l’intero spettacolo è nel loro stile fatto quasi totalmente di proiezioni tranne una grande gabbia metallica a rappresentare l’arca e qualche arredo – non mancano di suggestione come le lacrime di Sela che diventano rugiada. Il problema è che questi presupposti devono evolvere invece oltre per due ore vengono riproposte all’infinito le stesse immagini di catastrofi naturali e gli stessi dettagli dell’osceno banchetto che si affastellano senza ordine apparente e che vengono ben presto a perdere qualunque effetto risultando solamente ripetitive. Le poche varianti sanno di mero riempitivo – un quarto d’ora di movimenti al rallentatore di una mantide, dettagli di dipinti attualmente in mostra all’Accademia Carrara. Contestazioni già alla fine del primo atto e quando prima del finale la musica si ferma completamente per mostrare per alcuni minuti nell’assoluto silenzio le stesse immagini proiettate dall’inizio opera una parte non piccola del pubblico si scatena.
Regia trascurata e di mero effettismo sul piano della recitazione, costumi anonimi ma di una certa eleganza, come sempre curate le luci di Fiammetta Baldiserri.