Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Mondi riflessi”, 23 settembre-27 ottobre 2023
“DALLA TARANTELLA ALLA SEVILLANA”
Violoncello Louis Rodde
Pianoforte Gwendal Giguelay
René de Boisdeffre: Suite orientale pour violoncelle et piano, op. 42; Louis Vierne: Soirs étrangers, op. 56; Franz Liszt: “La Lugubre Gondole”; Auguste Tolbecque: Sérénade et Saltarelle pour violoncelle et piano, op. 7; Maurice Ravel: Deux Mélodies hébraïques: Kaddisch; Jacques Offenbach: Danse bohémienne pour violoncelle et piano, op. 28
Venezia,12 ottobre 2023
Ancora una volta le suggestioni prodotte da esperienze vissute “altrove”, estranee al proprio mondo – siano esse improntate al buonumore o alla malinconia – erano alla base della rassegna musicale proposta dal Centre de Musique Romantique Française, in questo concerto presso la sua sede veneziana – il Palazzetto Bru Zane –, continuando a stupirci con i suoi “Mondi riflessi”. Protagonista – con il valido apporto del pianoforte – era il violoncello, che ha dato un saggio della sua duplice vocazione: strumento d’elezione dei romantici per esprimere lo spleen, la malinconia, si è dimostrato anche capace di scatenarsi, cedendo all’esuberanza di certe danze orientali o boeme, che hanno appagato il gusto per l’evasione. Come d’abitudine, protagonisti della serata erano due giovani interpreti di grande talento: in questo caso, il violoncellista Louis Rodde e il pianista Gwendal Giguelay. Unitisi da qualche tempo in un duo molto apprezzato, hanno dimostrato, anche al pubblico, che gremiva la deliziosa sala dei concerti del palazzetto veneziano, di possedere una solida preparazione, oltre a più che promettenti doti interpretative, mettendo in luce la varietà delle emozioni, evocate dai brani in programma, tutti, si può dire, di rara esecuzione. Un suono pieno e rotondo del violoncello si è apprezzato in Suite orientale di René de Boisdeffre, nella quale, peraltro – a parte qualche cromatismo e alcuni timidi accenni di scale modali – non si è colta alcuna eco dell’Oriente, pur indicato, più o meno esplicitamente, dal titolo del lavoro e da quelli dei tre numeri, in cui questo si articola: Sous les palmiers, una ninnananna, che richiama il tema della Sinfonia incompiuta di Schubert; Chanson arabe, vicina alla musica dell’Est Europa; infine, Dance orientale, caratterizzata da passi saltellanti, talora rafforzati dai pizzicati del solista. Ancora una particolare cura del suono – insieme a padronanza tecnica e duttilità nell’affrontare pagine di carattere diverso – si è colta nei Soirs étrangers di Louis Vierne: in Grenade, che evoca, in un ritmo di danza, l’altera città andalusa; in Sur le Léman, con la sua melodia screziata di armonie rare; in Venise, dove la città lagunare viene evocata dall’immancabile barcarola; nel incantato Steppe canadien, che sembra una preghiera di fronte all’infinito; nel conclusivo Poissons chinois col suo flusso continuo di note, quasi la trasposizione sonora di un tormentato disegno su lacca. Con La lugubre gondole (Die Trauergondel) – uno dei pezzi più suggestivi dell’ultimo Liszt, estremamente moderno, con tratti di atonalità e politonalità – Louis Rodde con le sue cupe meditazioni nel registro grave del violoncello – cui si aggiungevano i dolenti accordi del pianoforte, sempre sensibile e partecipe –, ci ha immerso in un’atmosfera di rara intensità emotiva. E non poteva essere diversamente, trattandosi di un un brano – scritto nel 1882, mentre Liszt era ospite di Wagner a Palazzo Vendramin – che sembra quasi presagire la morte dell’autore del Parsifal, avvenuta poco dopo la partenza di Liszt da Venezia. Sentimento romantico e spericolato virtuosismo si sono alternati nell’interpretazione di Sérénade et Saltarelle di Auguste Tolbecque: lirica la prima parte – un andantino molto espressivo –; trascinante la seconda – che reca l’indicazione: Presto e spiritoso –, dove sia il pianoforte di Gwendal Giguelay che il violoncello di Louis Rodde hanno egregiamente affrontato difficoltà tecniche a tratti veramente ragguardevoli. Impagabile Louis Rodde nell’imitare, con le inflessioni “nasali” del suo strumento, i vocalizzi, che risuonano tradizionalmente nelle sinagoghe, evocati dalla prima delle Deux Mélodies hébraïques di Maurice Ravel: Kaddisch – che trae il nome da quello di una preghiera per i morti in testo aramaico –, proposto nella trascrizione per violoncello e pianoforte di Orfeo Mandozzi. Gran finale con la virtuosistica Danse bohémienne di Jacques Offenbach, rimasta pressoché sconosciuta fino alla fine del XX secolo, in cui il violoncello ha soggiogato il pubblico, sfoggiando brillanti sonorità nell’iniziale Andante maestoso e poi scatenandosi sempre più nel successivo Allegretto dai toni rustici, che presenta il tema della danza, citata dal titolo e, a un certo punto, prefigura l’attacco del galop di Orphée aux Enfers – fondamentale ancora una volta l’ineccepibile accompagnamento dell’esperto Gwendal Giguelay. Caloroso successo a fine serata, e un fuoriprogramma: Sérénade di Mel Bonis.