Torino, Teatro Regio, Sala Piccolo Regio G. Puccini.
“UN MARI À LA PORTE”
Operetta in un atto. Libretto di Alfred Delacourt e Léon Morand. Edizione in lingua originale francese. Orchestrazione di Alessandro Palumbo
Musica di Jacques Offenbach.
Florestan Ducroquete PAVEL ŽAK*
Suzanne KSENIA CHUBUNOVA*
Rosita HAMÉLIE HOIS*
Hanri Martel MATTEO MOLLICA
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Riccardo Bisatti
Regia Anna Maria Bruzzese
Scene Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Andrea Rizzitelli
*Artisti del Regio Ensemble
Nuovo allestimento del Teatro Regio Torino.
Torino, 6 ottobre 2023
L’operetta, atto unico di Jacques Offenbach, Un mari à la porte, per la prima volta al Regio, fin dalla lettura della locandina fa presagire una divertente serata di teatro. Il Piccolo Regio è una sistemazione ideale per queste pièce, orchestra ridotta, scenografia essenziale e funzionale e un Regio Ensemble che garantisce affidabilità per una buona riuscita complessiva. Con queste premesse, ci si chiede perché sia una sala così poco impiegata. Una stagione, parallela a quella della sala grande, che spaziasse dal seicento all’oggi potrebbe essere un’iniziativa di formidabile promozione culturale. È poi quasi da un quarto di secolo che il Regio non allestisce un concerto vocale, nel Piccolo un pianoforte e una voce ci starebbero a meraviglia. Per l’operetta, nonostante l’architettura sobria e lineare che non riporta ai fasti e alle leziosità di fine 800, è quel che ci vuole. L’ambiente risulta ideale per questa primizia torinese di Offenbach ove si raccontano le vicende di Suzanne, in lite col marito nel giorno delle nozze, rinchiusa nel salotto di casa, con l’amica Rosita e con un improbabile intruso, Florestano, musicista perdigiorno, che in fuga dai debitori si è inopinatamente calato dal camino. Azzeccatissime le scene di Claudia Boasso e le luci di Andrea Rizzitelli che disegnano un interno borghese ottocentesco, la casa di un avvocato benestante, con due poltrone e un sofà tappezzati in vistoso damascato rosso che fanno pendant con la copertura di un tavolino e con i tendaggi scarlatti che contornano la porta finestra. Servizi da tè, di smagliante ceramica bianca, sui due tavolini, un doppiere dorato sulla mensola di un gran caminetto e tutt’intorno una quadreria di impressionisti famosi. Riproduzioni certamente, visto che le parcelle dell’avvocato difficilmente consentirebbero l’acquisto degli originali. Lussuosi tappeti persiani, stesi sul pavimento, completano il bel quadro. I costumi di Laura Viglione abbigliano con dovizia e meraviglia le due protagoniste, la sposa Suzanne indossa un abbacinante bianco, tutto tulle e falpalà, l’amica Rosita un violaceo vorticare di sete con abissale decolté. L’abbondanza femminile di tessuti viene temperata dalla morigeratezza maschile, due abiti da passeggio come ci si immagina fossero nell’ottocento. L’unico vezzo del marito Henri Martel, in perorazione fuori dalla porta, è l’immancabile altissimo cilindro che nelle operette fa sempre ridere. Florestan (sic!), l’altro maschio precipitato dal camino, per evidenti motivi pratici, non indossa cappello. La regia di Anna Maria Bruzzese li fa tutti muovere con la precisione di un orologio ma vacilla di fronte alla difficoltà di rendere credibili i dialoghi parlati. La lingua francese, in balia di un cast poliglotta ma non francofono, si trasforma in un gramelot affannoso che disorienta la platea. Gli inefficaci soprattitoli sono troppo minuti e veloci e quindi ardui da seguire e inadatti a trasmettere il clima e il carattere degli scambi di battuta. Antonio Stallone, citato dalla locandina come direttore dell’allestimento, crediamo abbia attivamente contribuito al buon esito dei 50 minuti dello spettacolo. Per l’operetta, che c’è giunta nella versione canto-pianoforte, s’è resa indispensabile un’orchestrazione, qui affidata ad Alessandro Palumbo. Di fronte al palco, a livello della platea, sono schierati una dozzina di formidabili strumentisti della sempre eccellente Orchestra del Teatro Regio, se ben ricordo: un quintetto d’archi, qualche legno, un’arpa e dei timpani. L’affidabilissimo e talentuoso maestro Riccardo Bisatti regge le sorti musicali della serata. Sarà un’orchestrazione troppo compassata, sarà la necessità del direttore di mantenere la quadratura degli insiemi e dei tempi ma ci è parso che, per un’operetta che si svolge a Parigi, scarseggiassero le bollicine. Danze poco frizzanti e troppo cadenzate, insiemi, come il terzetto e il grande quartetto, tenuti alla briglia per evitare deragliamenti hanno rischiato la monotonia marginata solo dalla flessibilità della bacchetta. La prestazione canora e attoriale di tutti e quattro i cantanti del Regio Ensemble è stata più che apprezzabile. Hamélie Hois, interprete dell’amica Rosita e vera protagonista canora della pièce, a dispetto di un’indisposizione annunciata ad inizio serata, ha sciorinato la brillantezza di soprano leggero che le è propria. Nella sua Valse Tyrolienne ha scalato vette, ornato gruppetti, elargito, su e giù per il pentagramma, esilaranti trilli, ha così galvanizzato e divertito il pubblico. Suzanne, la sposa che irritata, novella Lisistrata, vuol fare andare in bianco il marito nel dì delle sue nozze, è Ksenia Chubunova, mezzosoprano o soprano lirico dal caldo timbro e dalla buona dotazione di armonici. Della partitura ha poco da gestire in proprio ma partecipa efficacemente agli insieme. È assai abile e pronta nel correggere e nascondere quelle che son parse incipienti increspature dell’intonazione. Pavel Žac è un tenore a cui la cubatura del Piccolo Regio è assolutamente congeniale. Fa, nel corso del trio, con voce chiara, fraseggio elastico e convincente una autopresentazione in cui si qualifica come un venticinquenne perdigiorno, dedito, tra giochi e lotterie, a comporre molta musica, proprio come Offenbach. Žac sfuma il personaggio ancor più di moderato patetismo nell’idiomatico, più nel titolo che nella sostanza, Lamento di Florestano. È il baritono Matteo Mollica che, con assertiva voce baritonale, completa il quartetto vocale. Lui è il Mari à la porte che, rientrato finalmente per la cena, contribuisce al buon esito complessivo con poche battute di suo e una partecipazione essenziale al grand’insieme della buona notte. Tutto esaurito per la prima. A giudicare dalle poche risate, si qualifica come un pubblico divertito, ma alla torinese, moderatamente. I numeri musicali vengono sì applauditi come pure il finale, ma solo fino alla riaccensione delle luci di sala. Poi tutti velocemente via. Foto Andrea Macchia