Roma, Teatro Parioli inaugura la nuova stagione con “Il caso Kaufmann”

Roma, Teatro Parioli Stagione 2023 2024
IL CASO KAUFMANN
di Giovanni Grasso
Franco Branciaroli, Graziano Piazza, Viola Graziosi
regia Piero Maccarinelli
e con Franca Penone, Piergiorgio Fasolo, Alessandro Albertin, Andrea Bonella
scene Domenico Franchi
luci Cesare Agoni
musiche Antonio Di Pofi
Roma, 25 Ottobre 2023
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’ come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e può essere radicale”. (Hanna Arendt)

Basandosi su una storia vera, quella di Leo Katzenberger e Irene Seidel, “Il caso Kaufmann” rappresenta una trasformazione teatrale del famoso romanzo dallo stesso titolo scritto da Giovanni Grasso, un autore che ha ricevuto molti premi, tra cui il Premio Cortina d’Ampezzo per la narrativa italiana e il Premio Capalbio per il romanzo storico. Questo lavoro aggiunge un altro elemento alla collaborazione tra la penna di Giovanni Grasso e la visione del regista Piero Maccarinelli. Nonostante possa sembrare un semplice romanzo storico, il testo da cui è tratto il dramma è molto di più: ricorda la triste memoria delle leggi razziali, una pagina di storia inumana e folle. Leo, un ebreo osservante e rispettato commerciante, vede la sua vita rivoluzionata dall’arrivo di Irene, la figlia del suo migliore amico. Tuttavia, le leggi razziali promulgate da Hitler a Norimberga proclamano il popolo ebraico come nemico della Germania e bandiscono qualsiasi interazione con gli ebrei. Questo segna l’inizio della fine per gli ebrei. Il mondo attorno ai due protagonisti crolla all’improvviso. L’ammirazione e la devozione che una volta ricevevano si trasformano in sospetto e diffidenza. Alcuni dei lavoratori di Leo, che erano stati più volte beneficiati da lui, guardano con malizia l’amicizia con Irene e iniziano a diffamare il loro rapporto. Il processo che ne segue rivela in modo esemplare come sospetti e voci possano essere trasformati in verità, e come pregiudizi e rancori possano diventare prove. Grasso ha rintracciato i verbali del processo, esponendo la mostruosità del regime nazista e di una società che dipende interamente da Hitler e dai suoi fidati collaboratori, fanatici e orgogliosi. L’amicizia di Kaufmann e Irene si conclude con l’esecuzione ingiusta di un innocente, il primo ebreo condannato alla ghigliottina.  Siamo nel 1941 ,in una cella di massima sicurezza nel  carcere di Stadelheim,  la notte dell’esecuzione avvolge tutto nell’ombra, Kaufmann invoca la presenza del cappellano. Non in cerca di una tardiva riconciliazione con il divino, bensì per affidargli un ultimo messaggio destinato all’amata Irene.  Nel cospetto del sacerdote, nelle ore che precedono l’estremo compimento, Kaufmann ci svelerà la sua tormentata storia, terribile conflitto tra odio ed ingiustizia. In luogo di un mero allestimento teatrale, ciò che si svela agli occhi degli spettatori è un’incursione scenografica nel profondo vuoto, nascosto dietro le pesanti quinte del palcoscenico. Ogni elemento d’arredo assume un valore simbolico, delineando uno spazio, un luogo e un’epoca intimamente legati al filo narrativo: una scrivania d’ufficio, un drappo nazista, una cella, diventano i protagonisti muti di un racconto fatto di oggetti. Ma sono le belle luci di Cesare Agoni a dare vita a questa dimensione in sospeso, arricchendola di vividi dettagli tridimensionali. In questo spazio sospeso, la regia di Piero Maccarinelli pone una maggiore enfasi sul lavoro degli attori, sui loro movimenti ed espressioni. Un’operazione certamente ben eseguita che, unita alla tragica storia raccontata, ha saturato il teatro. Lo ha pervaso di silenzi, di disagi non verbali all’apparire di svastiche  e di angoscia per le emozioni raccontate con grande delicatezza, senza eccessi o facile sentimentalismo opportunista. Un lavoro sempre ben bilanciato ed onesto. Franco Branciaroli si distingue in modo straordinario nel ruolo del protagonista, Lehmann( Leo) Kaufmann Israel. L’essenza della sua performance risiede in un’interpretazione viscerale ma sempre ben concentrata. Non è solo la sua recitazione ad essere ammirevole, ma anche la sua voce unica, capace di modulare, flettere con vivida facilità. In un’epoca in cui l’amplificazione domina anche i teatri più piccoli, Branciaroli dimostra come un attore dovrebbe padroneggiare una tecnica di proiezione che va oltre la mera interpretazione. Buona la presenza scenica di Viola Graziosi. Ogni movimento, espressione del viso, e parola che proferisce cattura l’interesse dell’auditorio, immergendolo nella marea di sentimenti ed eventi che delineano l’esistenza di Irene Seidel. La sua abilità nel portare in vita il personaggio, esprimendo tangibilmente le sue battaglie e aspirazioni, le sue fragilità e la sua forza sono assolutamente singolari se non per qualità per veridicità. Non da meno chiude il terzetto Graziano Piazza (Frate). L’attore si fonde in modo impeccabile nel cerchio affettivo dei due protagonisti, con enfasi (alle volte eccessiva), ma sensata. Il suo senso del tempo, la presenza scenica soprattutto nelle scene più drammatiche della trama, sono i momenti più memorabili. Funzionali gli attori di contorno. Grasso ci conduce in un’indagine profonda sulla trivialità del male, manifestata nella delazione quotidiana, nella fabbricazione di prove inesistenti e nel sadismo di costruire eventi mai avvenuti. Nel suo trattato “Come si diventa nazisti”, William Sheridan Allen identifica l’indifferenza, o meglio, l’ignorare le piccole ingiustizie inflitte ad altri, come il primo sintomo. Questo spettacolo, quindi, si configura come un’acuta indagine sulla maldicenza e sull’ordinarietà del male, concetti magistralmente delineati da Hannah Arendt. Esso esplora l’apatia pervasiva dell’opinione pubblica, il rancore verso le emozioni autentiche e condivise, e l’incapacità di accettare un punto di vista che sfugge alla norma imperante. Al centro del dramma vi sono elementi chiave che evidenziano come, privi di una consapevolezza vivida della nostra storia, corriamo il pericolo di abitare un mondo in cui l’omologazione del pensiero potrebbe zittire la critica e ostacolare la resistenza alla corrosione delle libertà democratiche. Un caloroso applauso per tutti in scena ha risuonato tra gli spettatori alla presenza in sala del Presidente Mattarella.