Roma, Teatro Manzoni Stagione 2023- 2024
C’È UN CADAVERE IN GIARDINO
di Norm Foster
con Sergio Muniz e Miriam Mesturino
e con Luca Negroni, Maria Cristina Gionta, Giuseppe Renzo, Valentina Maselli
Regia di Silvio Giordani
Scene di Mario Amodio
Costumi di Lucia Mariani
Luci Giorgio Rossi
Produzione: Centro Teatrale Artigiano e Dianact
Roma, 05 Ottobre 2023
L’acclamata pièce teatrale “C’è un cadavere in giardino”, frutto della penna del celebre commediografo canadese Norm Foster, fa la sua prima apparizione sul palcoscenico italiano, esattamente al Teatro Manzoni di Roma nella versione di Pino Tierno e Consuelo Versace . Il fulcro della trama ruota attorno a una coppia di attori teatrali che, trasformandosi in maestri del self-help a livello nazionale, vedono la loro esistenza pacifica mutare in un’irriverente commedia dell’assurdo mentre cercano di celare un cadavere. La trama si addensa quando si introducono elementi di intrigo, cadaveri, apparizioni della polizia, figure giornalistiche e una cameriera di particolare eccentricità. Indiscutibilmente, l’elemento catalizzatore del testo teatrale di questa commedia risiede nella sua notevole capacità di convertire elementi inquietanti, come un omicidio, in una fonte di pungente ironia. Questa trasformazione avviene grazie alla levità di un linguaggio acuto e incisivo almeno nella sua versione originale. Le circostanze drammatiche della morte diventano un fertile terreno per il sarcasmo e la satira, offrendo al pubblico un metodo singolare di affrontare temi tenebrosi. Con arguzia e brillantezza, la sceneggiatura di Foster mette alla prova infatti le convenzioni e i pregiudizi, trasfigurando il tragico in comico e il macabro in divertente. Sotto la regia di Silvio Giordani, l’adattamento del testo di Foster “C’è un cadavere nel giardino ” mostra un tentativo di armonia, sebbene siano presenti innovazioni creative prevedibili durante la fase di traduzione. Le modifiche apportate, a volte divergenti in termini di intenzioni e tono rispetto all’opera originale, contribuiscono a un risultato complessivamente accettabile, nonostante una coerenza intermittente e una tendenza alla ripetizione che risulta banale e noiosa. Nel contesto dell’umorismo contemporaneo, è comune imbattersi in battute incentrate su temi sessuali o doppi sensi. Tuttavia, l’uso di tali temi rischia di diventare scontato. Un esempio evidente è l’erezione post-mortem del cadavere del giardiniere, che è diventata il fulcro di uno spettacolo per quasi un atto intero, riducendo la sceneggiatura a una serie di battutine ripetitive e prevedibili. A tratti, la trama sembrava impantanarsi in un ciclico torpore, senza suggerire un’evoluzione dinamica. Questo ha generato fasi di prolungata apatia, dove l’ossessione della ripetizione ha oscurato l’avanzamento della storia. La scenografia di Mario Amodio è statica e manca di meriti estetici significativi. Il giardino, elemento chiave nel titolo, funge da catalizzatore narrativo, sebbene appaia distante e sfocato. Questa semplificazione nella progettazione scenografica non mette in risalto la trama o le performance degli attori, al contrario, soffoca il meccanismo comico che dovrebbe essere dinamico, veloce e ritmato. Le luci di Giorgio Rossi sono statiche: sempre posizionate nello stesso punto, mai fluttuanti: si accendono o si spengono. Nonostante le solide premesse che suggeriscono uno spettacolo pieno di aspettative, c’è un rapido declino nell’interpretazione. Sergio Muniz, uno degli attori principali, offre una performance forzata e innaturale, con momenti di imbarazzante incomprensione a causa di una dizione indecifrabile. La sua presenza fisica, pur imponente, non sembra sufficiente per compensare le sue evidenti difficoltà interpretative. D’altro canto, Miriam Mesturino, pur offrendo una performance solida e coerente, si rifugia in uno stile recitativo più accademico. In tutta sincerità, è necessario riconoscere che l’approccio al secondo atto risulta più audace e disinvolto, esprimendosi con una naturalezza meno costruita e più spontanea. Questo squilibrio tra le aspettative iniziali e il risultato finale crea quindi un divario di qualità che non può essere ignorato. Benché l’opera originale sia stata costruita su fondamenta solide, l’esecuzione dell’interpretazione degli attori non ha raggiunto l’eccellenza anticipata, causando una diminuzione nel tono complessivo dello spettacolo. Nonostante tutto, consapevoli della sua mancanza di memorabilità, ha comunque offerto agli spettatori un breve sollievo dai loro problemi e pensieri. Fornire intrattenimento, in sé, non è un compito minore. Applausi da parte del pubblico in sala per tutti gli attori, con un elogio speciale e assolutamente meritevole per Maria Cristina Gionta nel ruolo della serva psicotica.