Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Agosto a Osage County” per la regia di Filippo Dini

Roma, Teatro Ambra Jovinelli, Stagione 2023/ 2024
AGOSTO A OSAGE COUNTY
di Tracy Letts

traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
Violet Weston ANNA BONAIUTO
Beverly Weston FABRIZIO CONTRI
Barbara Fordham, figlia di Beverly e Violet MANUELA MANDRACCHIA
Bill Fordham, suo marito FILIPPO DINI
Jean Fordham, loro figlia CATERINA TIEGHI
Ivy Weston, figlia di Beverly e Violet STEFANIA MEDRI
Karen Weston, figlia di Beverly e Violet VALERIA ANGELOZZI
Mattie Fae Aiken, sorella di Violet ORIETTA NOTARI
Charlie Aiken, suo marito ANDREA DI CASA
Charlie Piccolo Aiken, loro figlio EDOARDO SORGENTE
Steve Heidebrecht, fidanzato di Karen FULVIO PEPE
Lo sceriffo FABRIZIO CONTI
Johnna Monevata VALENTINA SPALETTA TAVELLA
drammaturgia e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
assistente regia Eleonora Bentivoglio
assistente costumi Rosa Mariotti
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale 

Roma,18 Ottobre 2023
Inaugurando la stagione teatrale all’Ambra Jovinelli, il palcoscenico accoglie “Agosto a Osage County”, un pregevole esempio di drammaturgia americana contemporanea, adattato dall’opera originale di Tracy Letts, debuttata nel 2007 su Broadway e in seguito trasposta in pellicola nel 2013. La traduzione italiana è opera di Monica Capuani, e sotto l’abile regia di Filippo Dini, l’opera si svolge in un ritmo incessante, evitando eccessi melodrammatici. La desolazione dell’Oklahoma, terra di estrema aridità, richiama l’immagine della “Waste Land” di T.S. Eliot, fungendo da potente metafora per l’intera produzione. Vi ritroviamo Barbara e Bill, coppia sul punto di separarsi, che tornano a Osage in seguito alla misteriosa scomparsa di Beverly Weston, padre di Barbara. La casa ancestrale dei Weston si trasforma nel teatro del loro scontro, un ring dove Barbara affronta il marito, assistendo al suo definitivo distacco. La scenografia di Gregorio Zurla segmenta la casa in vari ambienti, creando un clima di claustrofobia quando le pareti si chiudono o un senso di familiarità quando si aprono su una cucina dalle piastrelle bianche o un salotto con carta da parati a strisce. Il testo, nonostante il tono apocalittico e quasi tragico, provoca spesso ironiche risate tra il pubblico. Questa paradossale contraddizione si manifesta nel tessuto denso di malevolenza e nichilismo che permea la storia, insieme alla risonanza di situazioni familiari che molti possono riconoscere nelle proprie esperienze personali. La storia ruota attorno a una famiglia complessa e disfunzionale, un microcosmo che riflette aspetti comuni a molte altre famiglie apparentemente più normali. La narrazione inizia con la scomparsa del patriarca, un poeta vittima dell’alcolismo, lasciando dietro di sé Violet, sua moglie, una donna intrappolata tra l’uso di oppiacei e anfetamine. Le loro figlie, insieme ai loro rispettivi mariti e figli, aggiungono alla trama una moltitudine di 15 personaggi, ciascuno con le proprie peculiarità e problemi. Ogni personaggio è un pezzo di un mosaico complesso e affascinante: una famiglia che, nonostante i suoi difetti e le sue manchevolezze, riesce a toccare le corde più intime degli spettatori. Nell’opera “Agosto a Osage County”, Filippo Dini si ispira a Čechov per creare un dramma familiare che, nonostante si svolga in un territorio abitato un tempo dai nativi americani e permeato dal profumo delle torte di noci pecan, richiama alla mente i drammi borghesi europei del secolo scorso. La famiglia protagonista, tormentata dalle avversità della vita e dalle scelte individuali, non solo evoca le opere del celebre medico russo per le incessanti conversazioni e la casa come centro vitale ineludibile, ma anche le opere di Ibsen per la capacità di modellare il presente sulla base di un passato oscuro e sepolto. Alcuni parenti non si sono visti per anni, chi è rimasto ad Osage è oppresso dal peso della vita, mentre chi ha deciso di allontanarsi convive con il rimorso. Ora, un’azione inaspettata del capofamiglia li costringe a riunirsi e a ricevere la notizia del suo possibile suicidio da uno sceriffo. La compagnia, composta da attori e attrici di notevole affiatamento, contribuisce alla brillante riuscita dell’opera, con ogni elemento concentrato sulla propria interpretazione.Anna Bonaiuto offre una performance straordinaria, incarnando con dedizione e passione la crudele Violet. Potremmo descrivere questo personaggio come un individuo profondamente afflitto da problemi di tossicodipendenza, con una forte propensione verso sostanze chimiche nocive. La sua condizione psicologica è inquietante, caratterizzata da una turbolenza mentale evidente. Il suo comportamento è contrassegnato da un’aggressività verbale intensa e incisiva che colpisce tutti coloro che la circondano. Tuttavia, la sua figlia prediletta sembra essere il bersaglio preferito di queste sue violente esplosioni verbali . Il personaggio cinico creato da Letts è affascinante, grazie alla brillantezza con cui si esprime e alla capacità di essere sempre profondamente manipolatoria. Manuela Mandracchia interpreta magistralmente Barbara, la figlia maggiore incaricata di identificare il corpo del padre, ormai gonfio per l’immersione nelle acque del lago. Questa donna inizia un doloroso percorso verso l’abisso della madre, si brutalizza, si perde nell’abuso di farmaci sottratti a Violet e deve scappare per evitare di diventare un’ombra errante nella casa. Ogni personaggio combatte contro il proprio male, lottando per sopravvivere e per mantenere un barlume di felicità. È il caso di Ivy, altra figlia quarantenne, interpretata con energia e passione da Stefania Medri. L’immagine di professori universitari con vite travagliate e distrutte è un leitmotiv nelle narrazioni americane, come in “Chi ha paura di Virginia Woolf” di Edward Alby. Ivy, docente universitaria come suo padre e come Barbara in Colorado, è l’unica figlia rimasta ad Osage e si innamora di un cugino, magistralmente interpretato da Edoardo Sorgente. In questo intricato scacchiere di personalità, si distingue uno dei pochi personaggi genuinamente virtuosi della pièce: il costantemente maltrattato dalla fredda crudeltà della madre, la temibile sorella di Violet, Mattie Fae. La sua interpretazione, resa vibrante e accurata da Orietta Notari, è segnata da un disprezzo sproporzionato per lui, radicato in un errore adolescenziale mai perdonato. Allo stile di Ibsen, tale peccato del passato irrompe nel presente come un proiettile diretto verso l’indifesa Ivy. Il dramma di Letts è innescato dalla storia, dalle azioni e dalle decisioni di queste donne, con Karen (Valeria Angelozzi), la terza figlia, che svolge un ruolo più marginale. I protagonisti maschili del racconto, al contrario, si ritrovano schiacciati dall’acume e dalla resilienza delle consorti e prole. Bill (Filippo Dini), marito di Barbara, si dimostra in perenne ricerca di una via di fuga dalle proprie incombenze, mentre Steve, promesso sposo di Karen, emerge come l’elemento maschile più intrigante, magistralmente incarnato da Fulvio Pepe. Charlie Aiken (consorte di Mattie Fae), un subdolo e meschino capitalista interpretato da Andrea Di Casa, tenta di abusare di Jean (Caterina Tieghi), la figlia adolescente di Barbara e Bill.Tutto sembra precipitare, e invece di cercare riconciliazione e amore, si opta per il conflitto e la distruzione. Cercando di ricucire le ferite, emerge la figura di Johanna, la giovane governante, resa viva dai gesti abbastanza precisi e dall’espressione seria e silenziosa di Valentina Spalletta Tavella. Tra il cast forse quella un pò più fragile in termini attoriali.  È lei a portare un barlume di senso comunitario, cucinando per tutti o assistendo nei momenti di bisogno. Nella desolazione finale, quando tutti lasciano la crudele Violet da sola, è questa giovane discendente dei Cheyenne a prendersi cura di lei con un abbraccio premuroso. In questo dissolvimento della famiglia borghese, forse un filo di luce si accende nell’incontro con l’altro, con chi sembra lontano da noi. Con un finale sorprendente che lascia il pubblico in un silenzio stupefatto, lo spettacolo  rivela la sua ultima carta in modo inaspettatamente potente. Questo silenzio, tuttavia, è anche un silenzio di riflessione, di digestione di una storia che ha coinvolto e travolto e si apre con un potente applauso della platea che inonda la sala del teatro. Un successo più che meritato.