Roma, Teatro Ambra Jovinelli Stagione 2023 2024
AGOSTO A OSAGE COUNTY
di Tracy Letts
traduzione Monica Capuani
regia Filippo Dini
con Anna Bonaiuto, Manuela Mandracchia, Filippo Dini, Fabrizio Contri, Orietta Notari, Andrea Di Casa, Fulvio Pepe, Stefania Medri, Valeria Angelozzi, Edoardo Sorgente, Caterina Tieghi, Valentina Spaletta Tavella
dramaturgia e aiuto regia Carlo Orlando
scene Gregorio Zurla
costumi Alessio Rosati
luci Pasquale Mari
musiche Aleph Viola
suono Claudio Tortorici
assistente regia Eleonora Bentivoglio
assistente costumi Rosa Mariotti
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
La prima mondiale di August: Osage County è stata presentata nel giugno 2007 da Steppenwolf Theatre Company, Chicago, Illinois (Martha Lavey, direttore artistico e David Hawkanson, direttore esecutivo). August: Osage County ha debuttato a Broadway, Imperial Theatre il 4 dicembre 2007. Prodotto da Jeffrey Richards, Jean Doumanian, Steve Traxler, Jerry Frankel, Ostar Productions, Jennifer Manocherian, The Weinstein Company, Debra Black, Daryl Roth, Ronald Frankel, Marc Frankel, Barbara Freitag, Rick Steiner e Staton Bell Group. Autorizzazione concessa da A3 Artists Agency 350 Fifth Avenue 38th Floor New York, NY 10118 USA
Questa commedia ruba il titolo a una poesia di Howard Starks (alla cui memoria l’autore dedica questa storia), che racconta di una veglia per un’anziana signora morente. Intorno a lei si riuniscono i suoi cari e le parlano e la ricordano con amore e riconoscenza.
La polvere aleggia pesante;
le cicale raschiano interminabilmente il cuore,
nessuna pioggia da tre settimane, nessuna vera brezza tutto il giorno.
Nella stanza buia, le persiane sopportano cupamente la luce,
mentre gli osservatori guardano la vecchia signora morire.
C’è un’atmosfera calda, evidentemente pesante a causa di ciò che sta per accadere, ma il luogo è accogliente e sarà di conforto alla malata nel suo trapasso.
Gli osservatori guardano le sue vecchie mani e mormorano:
quanti biscotti e padelle di sugo?
Quanti bambini sono stati calmati e punture di api imbrattate di blu?
Tutto sembra suggerirci amore e consolazione nell’ultimo saluto a una vecchietta, e quindi a un mondo, ad una realtà che sta morendo.
Questo è uno dei molti elementi bizzarri che ci propone Tracy Letts, poiché la sua commedia dall’omonimo titolo, è assolutamente priva di tutti questi elementi, o almeno così sembra. Per tutto il tempo assistiamo a scontri, vendette, frustrazioni e rancori antichi e mai sopiti, all’interno di una grande famiglia, dove regna una matriarca malata di cancro, perfida e dipendente dai medicinali, che non fa altro che confrontarsi violentemente con tutti i suoi famigliari, per prime le sue figlie, e vicendevolmente gli uni contro gli altri. Regna un odio furioso in casa Weston, nutrito dalla degenerazione di ogni singola personalità che la abita, fomentato dai personali fallimenti, dalle invidie e dalle delusioni di una vita intera, dove la rabbia e l’aggressione sembrano essere gli unici linguaggi possibili, l’unico codice consentito per comunicare in quella famiglia. Una realtà selvaggia e primordiale sembra animare una famiglia disfunzionale (come è stata definita) alle prese con l’ultimo atto del suo travagliatissimo percorso. Hanno tentato di amarsi, hanno provato a dialogare, hanno cercato per anni di comprendersi, adesso basta, dopo quel giorno (che corrisponde al giorno in cui viene seppellito papà, suicidatosi pochi giorni prima) ogni vincolo familiare risulterà definitivamente spezzato, e probabilmente non si rivedranno mai più. Sembra che l’autore però desideri farci leggere tutto questo con gli occhi del poeta al quale ha rubato il titolo, come se ci suggerisse un’indulgenza che istintivamente rinunceremmo a provare, proprio perché siamo suoi contemporanei: purtroppo conosciamo fin troppo bene i rapporti descritti nella commedia, appartengono visceralmente al nostro vivere quotidiano, sono saldi e ben radicati alla disfunzionalità delle nostre famiglie, nei modi più disparati e nelle modalità più o meno riconoscibili. In questa commedia si alza il velo dell’omertà e del subconscio, si svela tutto il “non detto” e il “non visibile” e ciò che era indicibile, viene gridato violentemente. Letts ci chiede la grazia di Starks nel leggere questa storia, proprio come se vegliassimo un’anziana signora che ci ha amato e coccolato per tutta la sua esistenza, e lo chiede proprio a noi, che osserviamo inermi, e talvolta persino divertiti, la parabola discendente di questo gruppo di consanguinei. Letts ci chiede di fare i conti con ciò che siamo, oggi, nell’intimo dei nostri rapporti famigliari e nell’intimo di noi stessi; mette a confronto almeno tre generazioni, credo, con lo scopo di fare luce su come e quanto siano cambiate le rispettive vite in rapporto al mondo, senza che ci sia stato il tempo e l’opportunità di gestire e comprendere i molteplici mutamenti all’interno della propria casa. I vecchi di questa storia provengono da un passato orribile e faticoso, fatto di privazioni e sudore; successivamente, grazie ai sacrifici e a un po’ di talento, hanno goduto di una prosperità gioiosa, che nella storia corrisponde alla nascita di un libro: una fortunatissima raccolta di poesie intitolata Allodola. L’arte poetica del nostro capofamiglia si è espressa attraverso il candido canto dell’amore verso una stabilità raggiunta, sociale, economica e sentimentale, e così ha generato tre figlie meravigliose, che avrebbero dovuto soltanto rispondere a questo canto con un coro ancora più melodioso e appassionato. Invece il mondo è cambiato ancora e tutto si è ammalato, e le disgrazie, la povertà, le fatiche vissute dai genitori non sono e non potevano essere trasmesse ai figli: così è iniziata la crisi di questa famiglia e l’impossibilità di comprendersi reciprocamente; sono iniziate le speranze deluse, la mancanza di ideali, di obiettivi, le violenze, i rimorsi, le chiusure, da entrambe le parti e gli uni contro gli altri. Come in Čechov, certamente assistiamo ad uno scontro generazionale all’interno di una famiglia e certamente lo guardiamo, come Čechov, con l’occhio benevolo suggerito dal nostro autore. Ma credo che la lezione e l’intima familiarità con l’autore russo arrivi più in profondità. Questa storia ci permette di guardare, spesso violentemente, il percorso personale di ognuno di noi, fin qui raggiunto, attraverso le varie epoche che ci sono suggerite dai diversi personaggi. Chi o cosa siamo o siamo stati o saremo in rapporto alle aspettative, i desideri e le sconfitte che proiettiamo sugli altri e in particolare su coloro che occupano più intimamente la nostra vita? Quando siamo stati Jean nei confronti della madre? Quanto è presente in ognuno di noi quel senso di fuga e di isolamento di Ivy, scarsamente apprezzata da chiunque in famiglia? E quanto conosciamo le aspettative di Violet nei confronti delle figlie? Attraverso i personaggi di Letts abbiamo la possibilità di confrontarci con una parte di noi, che ha a che fare con ciò che riflettiamo sulle persone che ci circondano, alle quali inevitabilmente consegniamo un pezzetto del nostro essere, fatto di tutto ciò che ci nutre e ci avvelena in quel preciso momento. Questo si arricchisce del confronto, espresso nelle maniere più disparate, e qui inizia la condivisione. Tutto questo processo sembra essere molto ammalato nella nostra epoca, sembra soffrire di un cancro incurabile, come quello alla bocca di Violet, che ci impedisce di comunicare, appunto, di ristabilire l’umana trasmissione tra gli individui: sembra costantemente e quotidianamente alla vigilia di un’apocalisse, proprio come l’opera drammatica di Anton Čechov. Filippo Dini