Parma, Festival Verdi 2023:”I Lombardi alla prima crociata”

Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2023
“I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Temistocle Solera dal poema omonimo di Tommaso Grossi

Musica di Giuseppe Verdi
Arvino ANTONIO CORIANÒ
Pagano MICHELE PERTUSI
Viclinda GIULIA MAZZOLA
Giselda LIDIA FRIDMAN
Pirro LUCA DALL’AMICO
Un priore ZIZHAO CHEN*
Acciano LORENZO MAZZUCCHELLI
Oronte ANTONIO POLI
Sofia GALINA OVCHINNIKOVA*
*Allievi dell’Accademia Verdiana
Filarmonica Arturo Toscanini
Orchestra Giovanile della Via Emilia
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia, scene, costumi e video Pier Luigi Pizzi
Luci Massimo Gasparon
Coreografie Marco Berriel

Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 15 ottobre 2023
“La scena sesta della Parte III principia con una sorta di Concerto per violino con passi virtuosistici e cadenza in uno stile di pessimo gusto (…): solo quando entrano le voci, col Recitativo Qui posa il fianco, il violino, al quale Verdi aveva voluto affidare un così incongruo preludio, accompagna, quasi fosse un altro carattere in scena, nel modo più degno, una scena piena di profondo pathos”. Così Isotta nel suo Verdi a Parigi curiosamente anticipava l’intuizione registica di Pizzi: far del violino (e quindi dell’ottima Mihaela Costea) “un altro carattere in scena”. Molta critica, anche illustre, ha trattato con indolente sufficienza, se non con approssimativa ferocia, il cosiddetto giovane Verdi. E massimamente sui Lombardi, schiacciati fra Nabucco ed Ernani, doveva gravare il pregiudizio. A Pizzi invece appare chiaro l’opposto: “a torto si giudica I Lombardi come il seguito di Nabucco (…) è invece un’opera per molte ragioni sperimentale”. Ha ben ragione. Lombardi ha per fonte letteraria quella “diavoleria di crociate e di Lombardi” il cui Autore, Tommaso Grossi, “ed io” dice il lombardo Lisander nell’XI dei suoi Promessi “siamo come fratelli”.

E l’opera tutta trasuda letteratura: a partire dalle scenografie sante della Liberata, allestite da quel Torquato, fonte che spande del librettar sì largo fiume, nonché light designer del notturno nel melodramma romantico: “Era la notte”…“O belle, a questa misera, / tende lombarde, addio!” piange e sospira la lombarda Giselda nei Lombardi, e similmente la principessa d’Antiochia Erminia: “O belle a gli occhi miei tende latine” nella Liberata, VI, 104. Giselda è Lidia Fridman, la diva rossa e longilinea la cui immagine ha ormai “un non so che” (Tasso, ancora) di intimamente pizziano. E la voce è di grande volume, piena, non morbidissima ma con quel mirabile, torbido turgore, romanticissimo, che è della strega come della Santa: e così è soave e angelico il belliniano incedere di Se vano è il pregare, sferzante e tremendo il piglio tutto verdiano di No! Giusta causa — non è Iddio. Il suo Oronte è Antonio Poli, tenore dalla voce vasta e potente: un diamante grezzo ora finemente lavorato sulla lezione di Meli e Carreras, con una varietà sorprendente di intenzioni, colori e mezzevoci incastonati in un fraseggio elegante e contrastato, pacato e vibrante. Ma il mattadore è Michele Pertusi, l’autentico basso verdiano, e per di più parmense, con quell’impasto vocale grumoso e brumoso che manda in deliquio gli indigeni, e piace tanto anche a chi viene da lontano per inseguire la mistica verdianità del luogo. Pirro degno del suo Pagano è Luca Dall’Amico, dalla voce morbida e scura. Dolcissima ma sonora e luminosa la Viclinda di Giulia Mazzola. Antonio Corianò è l’Arvino combattivo e combattuto dalla voce nettissima, squillante, e solida. Completano la compagnia Zizhao Chen e Lorenzo Mazzucchelli (Priore e Tiranno di Antiochia).  La sola analogia con Nabucco, sempre secondo Isotta, è il coro O Signore dal tetto natio “pur essendo al modello addirittura superiore per rifinitura”. Quello del coro è un protagonismo mascherato: una volta di lombardi, una volta di sgherri, una volta di musulmani, ma in scena è sempre l’ottimo Coro del Regio, diretto dal Maestro Faggiani. Il Maestro Francesco Lanzillotta dirige l’edizione critica a cura di David R. B. Kimbell in perfetto equilibrio fra rigore e passione. Nelle note di direzione pone l’accento sull’estrema attualità dell’opera, e benché in generale l’opera non abbia alcuna necessità d’essere per forza attuale, in questo caso è davvero impossibile non riconoscere quanto lo sia. Pizzi sembra concordare, con un finale meta teatrale in cui ciascuno abbandona il proprio personaggio, e a riaprire quello squarcio doloroso e oscuro che forse collega il passato e il futuro, con cui iniziava lo spettacolo, vengono una bambina e un bambino, bianco vestiti e bellissimi, portando violino ed archetto. Pubblico impizzito. L’inquilino dell’atelier di Tiziano (Pizzi), dopo aver asciugato la scena dipinta da un certo logoro bozzettismo di maniera, e dopo aver scandagliato la scena costruita fino alle più intime impalcature, si serve ora dell’immagine digitale su led-wall con lo stesso gusto, lo stesso stile grafico e netto che lo rendono subito riconoscibile. Questi Lombardi al XXIII Festival Verdi sono la prova che non si tratta di un’opera da mettere in scena per curiosità intellettuale, per prestigio o per raffinatezza. Al contrario: è un’opera che per l’esuberanza focosa, generosa e sapida della musica, per la narrativa incalzante e discontinua, per la magnificenza da Grand Opéra che l’azione suggerisce e per l’attualità dell’argomento non può che incontrare il favore sincero di un pubblico gaudente.