Parma, Teatro Regio, Festival Verdi 2023
“Il TROVATORE”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna GIOVANNI MEONI
Leonora FRANCESCA DOTTO
Azucena CLEMENTINE MARGAINE
Manrico RICCARDO MASSI
Ferrando ROBERTO TAGLIAVINI
Ines CARMELA LOPEZ*
Ruiz DIDIER PIERI
“Il TROVATORE”
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto dal dramma El Trovador di Antonio Garcìa Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il Conte di Luna GIOVANNI MEONI
Leonora FRANCESCA DOTTO
Azucena CLEMENTINE MARGAINE
Manrico RICCARDO MASSI
Ferrando ROBERTO TAGLIAVINI
Ines CARMELA LOPEZ*
Ruiz DIDIER PIERI
Un messo ENRICO PICINNI LEOPARDI
Un vecchio zingaro SANDRO PUCCI
Un vecchio zingaro SANDRO PUCCI
*Allieva dell’Accademia Verdiana
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Davide Livermore
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Davide Livermore
Scene Giò Forma
Video D-Wok
Costumi Anna Verde
Luci Antonio Castro
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Teatro Comunale di Bologna
Parma, 1 ottobre 2023
Luci Antonio Castro
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Teatro Comunale di Bologna
Parma, 1 ottobre 2023
Il Trovatore nazional popolare della pira, delle incudini, del notturno romanticissimo e degli acuti con le gambe larghe. O il Trovatore degli intellettualismi, dei racconti di racconti, della sperimentazione, del progressivo scardinamento delle forme chiuse, della filigrana drammatica. Verità entrambe, che devono trovare il modo di coabitarsi.
Delle due, il clima parmense favorisce certo la prima: merito anche della direzione viscerale e bollente di Francesco Ivan Ciampa, con sfavillii e vampe che brillano fra slanci e ritardandi. Ma non si sacrificano le buone maniere, con da capo variati e non tagliati. L’orchestra del Comunale di Bologna asseconda a meraviglia questa lettura con il suo suono denso, corposo e unto, e al tempo stesso vivido e scintillante, lucido. Meno brillante del suo solito invece il coro, con momenti alterni. La protagonista Clementine Margaine scuote imperiosa la pianta del Regio con voce di grande volume e grande robustezza fino a farne cadere il frutto di un successo personale. È vero che al personaggio s’adatta bene questa furia selvaggia, ma pure un poco più di garbo non ne smorzerebbe la potenza drammatica. La di lei non mai incontrata nuora, Leonora, ha la giovane, chiara, fresca e dolce voce di Francesca Dotto: bravissima, con l’unico difetto di sembrare un po’ “lezzera” a quel vecchio abitudinario dell’orecchio parmense. Sarà forse questa da annoverare quale eredità negativa della centenaria Callas? La grana brumosa dell’ampia voce di Riccardo Massi si dissolve negli acuti solidi e brillanti, ma altrove tende ad un che di lamentevole che poco si addice al piglio eroico di Manrico. Dignitoso ma non irreprensibile il Conte di Giovanni Meoni, in sostituzione di Franco Vassallo, colpito da improvvisa indisposizione. Superbo verdiano si conferma Roberto Tagliavini, che unisce alla bellezza del mezzo, tondo, pieno, morbido e gravido di armonici, un fraseggio sempre animato e pensante. Corretti gli inteventi del resto del cast.
La produzione segna il debutto di Davide Livermore a Parma: alla prima accolto dai previsti dissensi. Ma non si può dire che sia un regista eversivo: tutt’altro. Piove una eterna pioggia radioattiva sulle eterne periferie degradate, e sulle eterne rovine industriali fumanti di bombardamenti. Dove s’aggirano eternamente loschi sgherri in inappuntabili completi di pelle e anfibi, capeggiati da baritoni in eterni cappotti e immancabili panciotti. È un perfetto e manieratissimo prodotto della sua bottega: Giò Forma alle scene, D-Wok ai video, Anna Verde ai costumi. Non può mancare lo squallido ospedale (psichiatrico?) di lettucci bianchi scrostati, né un confacente stuolo di pagliacci horror, non senza una spolveratina felliniana. Quanto in fondo questo spettacolo sia convenzionale, nel bene e nel male, salta all’occhio nella gestione delle masse e soprattutto nella recitazione ultramelodrammatica, il vero elefante nella stanza del teatro d’opera di regia. Fra sigarette e telefonate d’affari non manca il più tipico sense of humor livermoriano, con la povera Leonora se ne va prima del da capo della pira, tutta stizzita, perché l’amante le preferisce la (supposta) mamma zingara: “Non reggo a colpi tanto funesti… / Oh quanto meglio sarìa morir!“. Foto Roberto Ricci