Napoli, Teatro “Bellini”: “Sanghenapule, vita straordinaria di San Gennaro”

Napoli, Teatro Bellini, Inaugurazione Stagione 2023/2024
SANGHENAPULE. VITA STRAORDINARIA DI SAN GENNARO”
Testo e drammaturgia Mimmo Borrelli, Roberto Saviano
Con: MIMMO BORRELLI, ROBERTO SAVIANO
Regia Mimmo Borrelli
Scene Luigi Ferrigno
Costumi Enzo Pirozzi
Luci Salvatore Palladino
Musiche, Esecuzione, Elettronica Gianluca Catuogno, Antonio Della Ragione
Sound design Alessio Foglia
Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in collaborazione con il Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Napoli, 17 ottobre 2023
Sangue. Sangue che nasce e muore, che rinasce e, poi, muore nuovamente. Sangue che si rapprende, e che, però, non intende rinunciare ad una sua pasoliniana «disperata vitalità»; sangue che, come preso da una strana e spiritualistica febbre, torna a «brillare», fresco, ardente e «nuovo». È il Sangue del «Cristo dei Napoletani»: San Gennaro. Un mistero che, proprio perché tale, deve essere osservato con sguardo puramente «dogmatico», irrazionalistico, ed attraverso un certo «romanticismo religioso», sia pure in un senso puramente aconfessionale della locuzione. Un «romanticismo» determinato da una pagana sacralità, «formalmente» costruita attraverso un sistema d’immaginifiche «contraddizioni» che, parafrasando ancora Pasolini, sono potentemente e disperatamente necessarie. Non soltanto immaginifiche, ma anche fortemente realistiche o tendenti alla costruzione d’un mondo linguisticamente e realisticamente «contraddittorio». Sanghenapule è un’ «opera-seminario», in sei atti – o fatti – di sangue, scritta da Roberto Saviano e Mimmo Borrelli; un’opera determinata da un impianto potentemente dicotomico: strutturalmente, assume la forma d’una sequenza d’interventi dal taglio seminaristico o documentaristico, e dal tono stupendamente narrativo, scritti e raccontati da Roberto Saviano – che s’alternano cadenzatamente a episodi d’azione o, meglio, d’attiva letteratura drammatica, scritti e «cantati» dal poeta-drammaturgo-attore-regista Mimmo Borrelli. Letteratura «attiva» perché, parafrasando Carmelo Bene, scompagina sé stessa, scappa da una formalizzazione severa dell’impaginazione, pur essendo «costretta» in una forma poetica costruita metricamente attraverso l’utilizzazione del verso alessandrino: tale costruzione – proprio per le norme formali e strutturali a cui è sottoposta –, in verità, potrebbe apparire come irrimediabilmente irrealistica o quantomeno astrattamente realistica. E, invece, il «modo» in cui viene verbalmente esposta da Borrelli riesce ad annullare, almeno illusoriamente, la forma metrica entro cui il materiale poetico è costretto. Altra magica contraddizione; ma, tra un po’, ci arriveremo. L’organizzazione e la disposizione del materiale linguistico avvengono entro uno schema poetico estremamente variegato, costituito da innesti espressionistici e sfavillanti: emerge nitidamente l’invenzione squisita d’un linguaggio «altro», parzialmente ex novo, la cui formazione avviene attraverso la costruzione d’un vestito sintattico puramente dialettico, determinato da una cangiante ed ibrida tessitura strutturale, che prevede un reiterato latinismo d’invenzione ed un lirismo poetico di derivazione sette-ottocentesca. Il sangue aggrumatosi del Santo appare come un agglomerato paradigmatico d’ogni f(atto) di sangue che ha fatalmente determinato la Storia napoletana: il sangue dei protomartiri cristiani; il sangue dei màrtiri repubblicani del 1799; l’ «emorragia dell’emigrazione» novecentesca; il sangue d’una città sventrata dalle bombe del Secondo Conflitto Mondiale; il sangue degli agguati camorristici. Tutto, tutto conservato in quelle ampolle. E tutto questo sangue viene immesso, innestato, con estrema potenza esemplificativa, in una costruzione drammaturgica dal carattere «dialogico» (almeno formalmente) e compartimentata in f(atti) di teatro e sangue e in «introduzioni» narrative – soltanto che (altra «poetica» contraddizione strutturale), da questo rapporto dialogico tra mondi linguistici e stilistici totalmente opposti emerge, con estrema nitidezza, una irrimediabile «incomunicabilità» – sia pure, a mio avviso, intenzionale – tra Storia, rappresentata dai vari interventi documentaristici, e Poesia, rappresentata dai vari episodi dal carattere teatrale. Ciò emerge non soltanto per una evidente «differenza» stilistica, ma anche perché la letteratura poetica appare, anche e soprattutto in questo caso, come categoria «eterna», che autonomamente sopravvive e che pone sé stessa «fuori dalla Storia» – volendo, qui, riutilizzare un concetto di Cioran –, proprio perché costruita attraverso un linguaggio «altro», «surrealistico», in netta contraddizione (interna) col tagliente «realismo» dei temi storici trattati. E per stessa ammissione del poeta Borrelli: «Napule è nu munno ca nunn’accetta/chi fa lo professore de verità…» (in Napoli purgatorio di sangue in terra, raccolta poetica inedita, inserita nel libretto di sala). Ma, dal momento che le contraddizioni strutturali, come detto prima, sono necessarie, «tout se tient», per citare il linguista de Saussure: «tutto si tiene», strutturalmente e linguisticamente, almeno in questo caso. E «tutto si tiene» attraverso l’arte oratoria di Saviano: immediata, variegata nei toni e mai monotona, attraverso cui espone una scrittura ispirata ed ottimamente funzionale al racconto storico. E «tutto si tiene» attraverso l’arte «canora» di Borrelli. Egli non recita, egli «canta», interpretando ora il Santo Patrono, ora il suo boia, ora Lucifero, ora un emigrante napoletano, ora Domenico Cirillo, martire della Repubblica Napoletana… Adopera la voce in un modo potentemente «espressionistico»: ogni parola passa attraverso un variegato processo d’intonazione, e ciò consente ad ogni parola d’acquisire un’autonomia comunicativa che scavalca il carattere contenutistico del testo: le parole vanno, dunque, a costituire una lingua «altra», un linguaggio puramente sonoro: una ossessa «lamentazione» pagana, protostorica e dal tono fortemente «processionale». Ogni variazione d’intonazione è immediata, ed è determinata da «urti» linguisticamente fisici, che l’attore produce battendosi liturgicamente il petto: gesti linguistici – facenti parte d’un disegno registico e d’un linguaggio scenico estremamente «sintetici», sia pure costituiti da gesti e movimenti fortemente e reiteratamente nervosi. Linguaggio scenico determinato anche dagli appropriati costumi di Enzo Pirozzi, e dalle scene – disegnate da Luigi Ferrigno – riproducenti, in modo onirico ed estremamente fiabesco, l’area vulcanica della Solfatara puteolana, ove San Gennaro fu decapitato; scene morbidamente illuminate da Salvatore Palladino. Accanto o, meglio, «sotto» la partitura poetica e drammatica agisce costantemente un’altra partitura, quella sonora, scritta ed eseguita da Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione: una scrittura contrappuntistica contrassegnata da una freschezza espressionistica, entro cui s’intrecciano suoni e ritmi folcloristici e spiritualistici – progettati da Alessio Foglia, e riprodotti attraverso tamburi, tastiere, canne d’organo e campane tibetane. Un pubblico, sorprendentemente numeroso ed attento, decreta il trionfo d’un gioiello della letteratura teatrale contemporanea. Foto Lorenzo Ceva Valla