Milano, Teatro Franco Parenti: “Parlami come la pioggia”

Milano, Teatro Franco Parenti, Stagione 2023/24
PARLAMI COME LA PIOGGIA”
Di Tennessee Williams
Traduzione di Masolino D’Amico
con Valentina Picello, Francesco Sferrazza Papa
Regia Andrea Piazza
Scene e Costumi Alice Vanini Tomola
Musiche originali Andrea Cotroneo
Produzione Teatro Franco Parenti
Milano, 22 ottobre 2023
La situazione dei diritti d’autore di Tennessee Williams in Italia è complessa; senza entrare in cavilli burocratici, basti sapere che non è semplice portare in scena i molti (si tratta quasi di una cinquantina) testi del massimo drammaturgo americano ancora mai visti sui nostri palcoscenici. Salutiamo dunque con estremo favore l’iniziativa del Teatro Franco Parenti di offrirci due atti unici inediti, accompagnandoli con altri tre già visti o pubblicati – “Il figlio di Moony” messo in scena a Torino nel 2013, “Questa proprietà è condannata” presente nella raccolta “I blues” di Einaudi, e “Auto-da-fè”, tradotto e passato praticamente inosservato una cinquantina di anni fa. Accostare questi cinque brevi testi non è operazione peregrina: infatti per lo meno tre di essi – “Ogni venti minuti”, “Il figlio di Moony” e “Parlami come la pioggia e lascia che ascolti” – sono accomunati dal tema della coppia disfunzionale, tanto caro a Williams. Non solo, essi si profilano in realtà come germi di personaggi poi sviluppati in altre pièce più onerose: Moony e sua moglie non sono forse lo stadio primigenio di Stanley e Stella Kowalski del “Trama chiamato desiderio”? Così come i personaggi dell’ultimo atto corrispondono in pieno a Jane e Tye di “Vieux Carré”, e l’invasata Mrs. Duvenet è la versione povera della terribile Violet Venable di “Improvvisamente, l’estate scorsa”, entrambe segnate dal desiderio dei loro figli omosessuali di autodistruggersi in maniere orrende. Lodevole dunque l’iniziativa, quanto lodevoli le interpretazioni dei due protagonisti, Valentina Picello e Francesco Sferrazza Papa, con la prima decisamente più magnetica e intensa del secondo – ma non può che essere così col teatro di Williams, che si regge sulle sue donne-monstra: Picello ha una facilità estrema ad attraversare i suoi cinque personaggi, rimanendo tuttavia fedele alla sua fisicità e alla sua vocalità (e per questo forse ci convince meno nella parte dell’adolescente Willie di “Questa proprietà è condannata”, quella più distante da lei per età ed immagine). Sferrazza Papa accanto a lei resta sempre un po’ in ombra: di certo gli sono più congeniali personaggi dolci come Tom, o tormentati come Eloi, piuttosto che il rude tagliaboschi Moony; in ogni caso, insieme, i due attori sanno proporre un’interessante gamma espressiva e relazionale, talvolta sapientemente misurata proprio su ciò che più salta all’occhio – la differenza d’età tra loro. Sulla regia di Andrea Piazza, invece, manteniamo qualche riserva: è evidente che si voglia spingere sul concetto della solitudine, attorno alla quale questi personaggi si ritrovano, si amano, odiano, lasciano, incendiano; tuttavia quello che ignora questa regia è l’ironia cui Tennessee Williams raramente rinuncia, anche nei suoi drammi più cupi: questi dieci personaggi si prendono tutti troppo sul serio, mentre avrebbero dovuto sviluppare anche una leggerezza che esacerbasse lo straniamento dello spettatore di fronte a ciò che di tremendo poi si dice e fa. Messi in scena così, questi cinque atti unici sembrano delle semplici variazioni su un tema (piuttosto trito, peraltro), e questo non corrisponde all’intenzione dell’autore, né aiuta lo spettatore ad avvicinarsi ad essi. La scenografia, suggestiva quanto pretenziosa, di Alice Vanni Tomola, aiuta ancora meno: le centinaia di oggetti di cui la scena è disseminata, nell’intento di ricostruire una specie di ufficio oggetti smarriti della vita, in realtà non dialoga minimamente con gli interpreti (che di tutta quella chincaglieria usa sì e no dieci pezzi); bellissime e suggestive, invece, le musiche originali di Andrea Cotroneo, non troppo invasive ma decisamente rilevanti ai fini drammaturgici. Infine ci si consenta una piccola nota sulla traduzione, curata dal “mostro sacro” Masolino D’Amico: “This property is condemned” in America è il cartello che si mette fuori dagli edifici inagibili; tradurlo come “Questa proprietà è condannata” non conferisce solo un ulteriore senso di stigma sociale – come fosse una casa “maledetta” – ma è anche errato sul piano del significato. Ci auguriamo che il grande anglista provveda presto alla correzione. In replica fino al 5 novembre. Foto Luca Del Pia