Milano, Teatro alla Scala: “Peter Grimes”

Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’opera e balletto 2022/2013
PETER GRIMES”
Opera in un prologo e tre atti su libretto di Montagu Slater, dal poema “The Boroughdi George Crabbe
Musica di Benjamin Britten
Peter Grimes BRANDON JOVANOVICH
John, a boy TOMMASO AXEL VERSARI
Ellen Orford NICOLE CAR
Captain Balstrode ÓLAFUR SIGURDARSON
Auntie MARGARET PLUMMER
First Niece KATRINA GALKA
Second Niece TINEKE VAN INGELGEM
Bob Boles MICHAEL COLVIN
Swallow PETER ROSE
Mrs. Sedley NATASCHA PETRINSKY
Rev. Adams BENJAMIN HULETT
Ned Keen LEIGH MELROSE
Hobson WILLIAM THOMAS 
A Lawyer RAMTIN GHAZAVI
A Fisherwoman ELEONORA DE PREZ
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttrice Simone Young
Maestro del Coro Alberto Malazzi
Regia Robert Carsen
Drammaturgia Ian Burton
Scene e costumi Gideon Davey
Coreografia Rebecca Howell
Video Will Duke
Luci Robert Carsen, Peter Van Praet
Milano, 21 ottobre 2023
Da undici anni “Peter Grimes” mancava alla Scala, un’attesa forse non eccessiva, vista la frequenza con la quale la prima vera opera di Britten ha trovato accoglienza nel teatro milanese (altre quattro volte, compresa la prima fuori dall’Inghilterra nel 1947). Il ritorno di quest’opera inglese è segnato dalla regia di Robert Carsen, curatissima e coerente quanto a nostro avviso poco adatta a questo dramma: la vicenda di “Peter Grimes“ è di per sé cupa, evocativa, fin cerebrale, e crediamo che una regia altrettanto cupa e scarna non faciliti la fruizione di questo capolavoro novecentesco; scene e costumi curati da Gideon Davey sono di una modernità francescana: una scena minimale di legno scuro, accompagnata da panche di legno scuro, e tavoli e sedie e un bancone tutti dello stesso legno scuro, fra cui si muovono i marinai del borough vestiti di blu scuro, grigi antracite e grafite, neri e marroni, e al di sopra della quale vengono proiettate immagini in bianco e nero. Sentiamo la mancanza di un tocco pittoresco – si sarebbe, ad esempio, potuto mantenere l’ambientazione di inizio Ottocento, o caratterizzare in maniera più colorata i personaggi femminili, al posto di trasformarle in prostitute di provincia inguainate in pelle nera. La sensazione in certi momenti è quello di un impasto di colori scuri che affatica lo sguardo, più che di un piacevole ton sur ton. La regia di per sé è senza dubbio ben costruita – e non potrebbe che essere così, trattandosi di Carsen – soprattutto nelle scene a due; le coreografie di Rebecca Howell, invece, ci convincono meno: per quanto ben orchestrate, risultano meno amalgamate con il tessuto scenico di quanto ci sarebbe bisogno. Il piano musicale, invece, gode dell’apporto illuminante di alcuni artisti, in primis Simone Young, vero valore aggiunto sell serata. La direttrice mostra infatti una profonda empatia musicale con la partitura britteniana, che interpreta con misuratissimo equilibrio e al contempo intenso trasporto; va ricordata, in ogni caso, la natura eminentemente sinfonica dell’opera, che lascia larghissimo spazio all’azione del concertatore: la Young, in tal senso, sceglie la via dell’estetica e della minuziosa resa coloristica, a scapito forse di un ritmo più incalzante, ma garantendosi un risultato sonoro potente e malioso allo stesso tempo, che non tralascia di ancorare a sé anche gli artisti in scena. Fra di essi il vero sfavillante vincitore della serata è il coro del Teatro alla Scala, ben istruito dal maestro Alberto Malazzi: l’omogeneità del suono, l’attenzione al fraseggio collettivo e l’oggettiva bellezza delle parti scritte per esso garantiscono alla compagine scaligera di emergere chiaramente quale vera protagonista. Altra artista che emerge positivamente è Nicole Car, nella parte di Ellen Orford: da un lato il personaggio sa attrarsi il favore del pubblico, ponendosi come l’incarnazione della speranza, l’unica che accordi un briciolo di fiducia al protagonista; d’altra parte, l’adamantino talento della Car si staglia sul resto del cast: il colore tondo e pastoso della voce, la linea di canto sufficientemente morbida, che si flette sul buon fraseggio, la luminosa proiezione del suono rendono la sua prova la più applaudita. Accanto a lei si distinguono senz’altro anche Ólafur Sigurdarson (Balstrode) e Peter Rose (Swallow), interpreti attenti e dalla spiccata intelligenza musicale – dote essenziale per cantare l’opera contemporanea – oltre che dotati di importanti mezzi vocali in grado di fondersi adeguatamente con la potente resa orchestrale. Anche Brandon Jovanovich, nel ruolo eponimo, sfodera una voce imponente, di colore brunito e ricca di armonici: tuttavia la prova del protagonista scivola in una un’interpretazione forzata che ne affatica la voce a tal punto da fargli perdere spesso l’intonazione, in particolare nella zona acuta, già nel secondo atto. Difficoltà a coniugare intonazione e leggibilità del suono caratterizza anche la prova di Natascha Petrinsky (Mrs. Sedley), mentre le altre interpreti femminili (Margaret Plummer, Katrina Galka e Tineke Van Ingelgem, la Zietta e le due Nipoti) riescono a mostrare bella linea d canto e acuta capacità interpretativa solo nel mirabile quartetto del secondo atto, mentre tendono a scomparire nelle scene dall’orchestrazione più ricca. La performance complessiva del cast, in ogni caso, è pienamente funzionale alla riuscita dell’opera, che si nutre dei momenti di insieme e che sa fare breccia proprio in virtù di questi e della brillante concertazione. Il pubblico, in larga parte straniero – e su questo ci sarebbe da riflettere, ma per una volta glissons – mostra vivacemente di apprezzare sugli applausi finali. Foto Brescia & Amisano